Giovanni Francesco Asperti, di origini bergamasche, aveva acquisito il nome di guerra “Hiwa Bosco” e la scorsa estate era arrivato nel nord della Siria attraverso l’Iraq per unirsi ai combattenti dell’YPG nella lotta ai terroristi dell’autoproclamato Stato Islamico. Ne aveva abbracciato la causa e, come si legge nel comunicato diramato dall’esercito popolare curdo, sarebbe morto lo scorso 7 dicembre a Derik, nella Siria settentrionale, “in uno sfortunato incidente avvenuto mentre era in servizio”. Hiwa Bosco, prosegue il testo del comunicato in cui Asperti appare con i capelli rasati e tuta mimetica, era “uno dei centinaia di rivoluzionari iscritto alla lotta contro lo Stato Islamico in Rojava”, nel Kurdistan siriano e come altri foreign fighters “si era unito ai ranghi della libertà con lo stesso sentimento e la stessa motivazione dei combattenti internazionalisti influenzati dal sistema libero e democratico creato dalla Rivoluzione Rojava a costi enormi”. Nel ricordo che l’YPG gli ha dedicato si legge ancora che Asperti aveva donato la sua vita alla lotta per la liberazione, aveva agito in funzione di essa fino all’ultimo istante diventando un’ispirazione per i popoli oppressi tanto che il suo sacrificio può essere considerato un vero esempio di “vita rivoluzionaria”.

La scomparsa di Asperti, avvenuta dunque in circostante ancora poco chiare, è stata confermata dal Ministero degli Esteri che ha fatto sapere di essere in contatto con il consolato italiano a Erbil e di seguire il caso con la massima attenzione.

Giovanni Francesco Asperti aveva 53 anni ed era nato a Ponteranica, in provincia di Bergamo. Laureato alla Bocconi e impiegato nel settore petrolifero presso una società che collabora con l’Eni, era dunque abituato a frequenti viaggi di lavoro in Medio Oriente. Per questa ragione nessuno aveva nutrito alcun sospetto quando l’estate scorsa era nuovamente partito. Asperti aveva detto alla famiglia di recarsi verso una piattaforma petrolifera in Kuwait, salvo poi svelare l’intenzione di arruolarsi tra le fila dei curdi in alcune lettere arrivate ai parenti alcuni giorni dopo l’allontanamento dall’Italia, come danno conto diversi giornali. La decisione di unirsi ai militanti curdi “non sarebbe stata dettata dall’ideologia e non avrebbe nulla a che fare con la politica e con l’estremismo, ma sarebbe dipesa da una rottura profonda della sua vita”, ha affermato a Il Messaggero il fratello Stefano Asperti, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’università La Sapienza. I giornali locali di Bergamo hanno spiegato che quella di Asperti è una famiglia molto conosciuta a Ponteranica, dove esiste una piazza in onore del padre Pietro, medico e filantropo, membro del Pci che fu anche tra i fondatori del giornale Il Manifesto. La morte di Asperti è stata annunciata anche dall’attivista Claudio Locatelli che sui social ha espresso il dolore per la perdita del “primo martire italiano dell’YPG”. Locatelli, che come Asperti ha combattuto al fianco dei curdi in Siria condensando poi la sua esperienza in un libro, ha scritto su Facebook: “i martiri non muoiono mai”.

Le milizie curde dell’YPG a cui Asperti aveva scelto di unirsi hanno portato avanti la maggior parte delle azioni militari contro lo Stato Islamico in Siria, grazie all’appoggio dell’aviazione e delle forze speciali statunitensi. Asperti è caduto in Rojava, il territorio sotto il controllo delle milizie arabo-curde FDS (Forze democratiche siriane) e uno dei pochi esperimenti democratici sorti in Siria in seguito alla guerra civile. Secondo Foreign Policy, l’annuncio di Trump del ritiro di 2 mila militari dalla Siria potrebbe avere effetti disastrosi sulle conquiste della rivoluzione Rojava esponendo i curdi siriani a un attacco della Turchia nel nord-est della Siria. I curdi siriani hanno dato vita a comunità autonome che si reggono sulla partecipazione democratica dei residenti e che si ispirano al femminismo, favorendo l’inclusione delle donne nella vita sociale, come quella delle minoranze. Senza l’appoggio delle forze statunitensi il pericolo per la regione a guida curda nel nord-est della Siria e per i curdi siriani è quindi un nuovo e imminente attacco da parte della Turchia che più volte a minacciato di cancellare la rivoluzione Rojava. L’anno scorso il governo di Ankara ha dato seguito alle minacce contro i curdi siriani attaccando Afrin, attualmente sotto il controllo dell’esercito turco, e provocando la morte di 500 civili, almeno 800 combattenti curdi hanno perso la vita nel tentativo di difendere l’area.