Lukashenko
Dopo Polonia e Ungheria, tocca ai cittadini della Bielorussia lottare per la propria autodeterminazione. Lukashenko, presidente dal 1994, è autore di un’altra vittoria schiacciante. Sembra però che 24 anni siano abbastanza per la popolazione, che può contare sulle nuove generazioni. Josep Borrell, intanto, convoca un consiglio straordinario per esaminare la situazione

Nell’ultimo fine settimana, in Bielorussia si sono tenute le elezioni presidenziali. Il principale evento politico del Paese è stato motivo di proteste e tumulti, ben prima dell’esito elettorale. La mobilitazione civile non è però semplicemente imputabile alle elezioni, è invece l’effetto di un lungo cammino verso l’autoritarismo. Una situazione pressappoco analoga, se non peggiore, a quella vissuta in Ungheria con Orban. A differenza di Orban, il Presidente bielorusso Lukashenko presiede il Paese da 26 anni. Questa continuità politica è stata possibile grazie alla forte censura, alla repressione delle opposizioni civili e politiche, oltre che al costante sostegno della élite russa allo stesso governo Lukashenko. La Russia è stata tradizionalmente una sostenitrice dell’attuale governo bielorusso, ma con le relazioni economiche tra i due Paesi più tese che mai, il Cremlino ha privato Lukashenko del tanto necessario sostegno finanziario nel momento in cui ne ha più bisogno.

All’alba delle votazioni, la tradizione politica sembrava pronta a cedere, malgrado i continui abusi alla democrazia ottemperati da Minsk. Il punto di rottura sembrava prossimo: la generazione nata dopo il 1994, anno della prima elezione presidenziale di Lukashenko, ha ormai raggiunto la maggiore età e può votare, dando voce al malcontento generazionale. Nel frattempo, la generazione più anziana, nata negli anni ’40-’50 e che tradizionalmente sostiene l’attuale presidente, sta via via scomparendo. Gli strumenti di propaganda basati sul ricordo della Seconda Guerra Mondiale, della fame e della devastazione, che un tempo erano efficaci cavalli di battaglia per Lukashenko, non funzionano con i più giovani.

Anche la generazione nata tra il 1960 e il 1980, spesso descritta come la più apolitica, sembra aver raggiunto il punto di rottura. Questa fascia rappresenta una sezione enorme dell’elettorato, m le schede sono state massicciamente falsificate e contate come voti per Lukashenko.

Nonostante ciò, le nuove generazioni, simili ad un vento di libertà con un più marcato stampo occidentale, non sono riuscite a rompere il giogo dittatoriale. Eppure, il 2020 sembrava il punto di svolta per la Bielorussia. Le elezioni sono state seguite con trepidazione da Bruxelles, come nel caso della Polonia. Ma ancora una volta Bruxelles non ha saputo dare voce ai timori per la democrazia.

Il cambio generazionale e il conseguente nuovo ciclo per la politica erano stati annichiliti quasi un mese prima delle elezioni. Intorno al 15 di luglio, la Commissione elettorale centrale bielorussa ha respinto la registrazione elettorale dei principali rivali del presidente Lukashenko, ovvero Valery Tsepkalo e Viktor Babaryko.

In seguito a tale decisione, si sono tenute manifestazioni in gran parte pacifiche a Minsk, Grodno, Gomel e Brest. Ma il parere dell’opinione pubblica non è stato apprezzato dal governo, che non ha esitato a reprimere le mobilitazioni civili e coloro che cercavano di documentarle. Secondo la BBC infatti, più di 35 persone, tra cui diversi giornalisti, sono state arrestate durante le proteste.

Tsepkalo e Babaryko però non sono le uniche vittime della macchina autoritaria bielorussa. Il noto blogger Sergei Tikhanovsky non ha potuto candidarsi alle elezioni dopo essere stato arrestato a maggio con la pretestuosa accusa di aver aggredito un agente di polizia. Queste tre persone hanno però in comune la determinazione di chi li ama e li segue, ovvero coloro che hanno permesso di continuare la lotta politica contro Minsk.

L’opposizione politica alle elezioni è stata infatti rappresentata dal trio rosa costituito da Maria Kolesnikova, Svetlana Tikhanovskaya e  Veronika Tsepkalo. Svetlana Tikhanovskaya, al vertice del gruppo e candidata alle elezioni, è la moglie di Sergei Tikhanovsky. Veronika Tsepkalo, invece, è la moglie di Valery Tsepkalo, il quale è volato a Mosca per paura di essere arrestato come oppositore politico. Maria Kolesnikova, infine, era coinvolta nella campagna elettorale di Babaryko, prima che questo fosse arrestato e impossibilitato alla registrazione, con la dubbia accusa di corruzione.

Storie meravigliose di resistenza nella politica di oggi, ma scarsamente efficaci. Svetlana Tikhanovskaya ha visto la propria candidatura realizzarsi, ma solo perché non minacciosa per l’egemonia Lukashenko. Un’ipotesi confermata dai risultati elettorali, sui quali però aleggia forte il dubbio di frode. Come riportato da BBC, infatti, alle elezioni è mancata la presenza di osservatori.

Come riportato da BelTa, i risultati elettorali hanno visto la scontata vittoria schiacciante di Lukashenko con il 79.7% dei consensi. Poche briciole sono rimaste a Svetlana Tikhanovskaya, la prima dell’opposizione per consensi, che ha registrato un magro 6.8%. Subito dopo il risultato, la Tikhanovskaya ha deciso di volare in Lituania per mettere al sicuro sè stessa e la sua famiglia da eventuali ripercussioni. D’altrocanto, la reazione popolare ai risultati elettorali non ha tardato a farsi sentire. I cittadini, specialmente a Minsk, sono scesi in strada per protestare contro l’ennesima rielezione di Lukashenko. Alla mobilitazione popolare è stata hanno risposto le forze dell’ordine in tenuta anti-sommossa e con il lancio di proiettili di gomma, Ma icittadini non sembrano avere nessuna intenzione di arrendersi.Il cambio generazionale, per ora, non trova possibilità contro i meccanismi di potere governativo e i costanti abusi di forza da parte delle forze dell’ordine locali. Attesa la decisione di Josep Borrell, Alto Rappresentante della politica europea, che ha deciso di convocare un consiglio degli Esteri straordinario per venerdì pomeriggio sulle elezioni bielorusse e il disastro libanese.