Solo dieci giorni fa il governo russo aveva diffuso la notizia di come, grazie ad una soffiata arrivata dalla CIA, sarebbe stata sgominata una cellula dell’ISIS pronta a commettere un attentato a San Pietroburgo. L’azione aveva come obiettivo principale l’ottocentesca cattedrale di Kazan sulla prospettiva Nievsky, dove sarebbero stati pronti a farsi esplodere degli attentatori kamikaze. Secondo le poche indiscrezioni trapelate, subito dopo le prime esplosioni ne sarebbero dovute seguire altre a cascata in diversi luoghi affollati della vecchia capitale degli Zar.
Come spesso accade nella Russia di Vladimir Putin non sono stati diffusi altri dettagli se non il ringraziamento del presidente russo al presidente degli Stati Uniti Donald Trump per «l’aiuto, con la promessa di ricambiare il favore qualora ve ne fosse bisogno».
La minaccia di attentati è però rimasta viva per San Pietroburgo. La sera del 27 dicembre nel centro della città si sono vissuti attimi di terrore, come il 3 aprile 2017 quando ci furono gli attacchi nella metropolitana che provocarono la morte di 15 persone e causarono decine di feriti. Quell’azione venne rivendicata venti giorni dopo sulla piattaforma di messaggistica Telegram dal “Battaglione Imam Shamil”, un gruppo jihadista affiliato alla casa madre di Al Qaeda, che attraverso il canale Al Andalusi ne certificò la paternità.
Il 27 dicembre una bomba costruita in modo artigianale e piena di chiodi è esplosa al pianterreno del centro commerciale Gigant Hall all’interno del supermercato Perekrestok, affollato di persone intente a fare acquisti al momento della deflagrazione.
Fortunatamente non ci sono state vittime ma solo una decina di feriti. Il Comitato investigativo russo ha fatto sapere in una stringata nota stampa che «l’ordigno aveva un potenziale esplosivo pari a 200 grammi di tritolo» e di aver istruito un’indagine per «tentata strage». L’esecutore dell’attentato è stato filmato dalle telecamere situate all’interno del supermercato: l’uomo avrebbe lasciato uno zainetto che portava in spalla nel deposito bagagli del supermercato, mezz’ora dopo è avvenuta l’esplosione.
Al momento di ufficiale ci sono le dichiarazioni a caldo di Putin. Nel corso della cerimonia di premiazione dei militari che si sono distinti in Siria, il presidente russo ha parlato di «attentato terroristico» e dato istruzioni al direttore dei servizi segreti russi dell’FSB (Servizi Federali di Sicurezza) di «agire tempestivamente, non per catturare nessuno, ma solo per eliminare gli assalitori sul posto».
Per ora non c’è stata ancora una rivendicazione. Ma i chiodi nell’ordigno sono il “biglietto da visita” o, meglio, la firma dell’estremismo islamico che in Russia ribolle da tempo e non solo con la sua componente caucasica e, nella fattispecie, cecena. Lo dimostra la segnalazione di Site, l’osservatorio che monitora la propaganda jihadista sul web, secondo cui diversi siti collegati alla galassia dell’estremismo islamico hanno festeggiato subito dopo la diffusione della notizia dell’esplosione a San Pietroburgo: «Daremo ai Crociati un assaggio della loro stessa medicina». La “colpa” di Putin è di essere intervenuto militarmente in Siria a sostegno del governo del presidente siriano Bashar Al Assad ed aver così mandato in frantumi i piani di espansione territoriale dello Stato Islamico in Medio Oriente.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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