Trump Cina

Il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato a colpi di tweet un aumento dei dazi sui prodotti cinesi. A partire da vernerdì 10 maggio le tariffe su alcuni prodotti esportati negli Stati Uniti dalla Cina dal valore di 200 miliardi di dollari passeranno dal 10% di adesso al 25%. Il Capo della Casa Bianca ha minacciato anche nuovi dazi del 25% su 325 miliardi di dollari di merci cinesi. «Gli Stati Uniti – ha scritto Trump in un tweet successivo – stanno perdendo, da molti anni, dai 600 agli 800 miliardi di dollari ogni anno in commercio. Con la Cina perdiamo 500 miliardi di dollari, Scusate, ma non succederà più!»

Arrivati all’undicesimo round di negoziati per porre fine alla guerra commerciale che va avanti da quasi un anno, la minaccia del Capo della Casa Bianca è segno che le consultazioni con i cinesi non stanno dando i risultati sperati. Nonostante la tregua a cui Xi e Trump erano arrivati al G20 di Buenos Aires e nonostante le parole piene di ottimismo pronunciate dallo stesso Trump pochi giorni fa:«Siamo vicini a un accordo storico». La tattica di Trump potrebbe essere funzionale alla platea interna, dal momento che i dazi alla Cina erano una vecchia promessa elettorale dell’ex-tycoon. Un accordo più vantaggioso con i cinesi aiuterebbe non poco Trump nella corsa alla Casa Bianca del 2020. L’annuncio della misura punitiva sarebbe però anche la dimostrazione che gli Usa provano una certa frustrazione riguardo le mancate concessioni da parte cinese, concessioni fondamentali per proseguire i negoziati. Siamo ormai quasi a un punto di non ritorno. In settimana è prevista la visita a Washington del vice premier cinese Liu He, che sembrava fosse stata annullata. Ma non presentarsi sarebbe per Pechino un regalo con il fiocco fatto a Donald.

Tra luglio e agosto 2018 l’Amministrazione Trump ha imposto dazi del 25% su una lista di più di 1300 prodotti cinesi per un valore di 50 miliardi di dollari. A settembre 2018 sono entrati in vigore dazi del 10% su beni importati dalla Cina per un totale di 200 miliardi di dollari. Un aumento previsto del 25% delle tariffe era stato congelato in seguito ai colloqui tra Xi e Trump e alla tregua di 90 giorni decisa durante il G20 in Argentina.

Lu Xiang, esperto di relazioni Usa-Cina della Chinese Academy of Social Sciences, ritiene che quella di Trump sia una strategia per esercitare la massima pressione su Pechino. La Cina, spiega ancora Lu Xiang, è abituata ai dietrofront, allo stile dell’Amministrazione Trump e alle sue sorprese, ma intanto prende precauzioni e si prepara allo scenario peggiore, mentre gli indici asiatici calano a picco. Del resto, dopo le minacce, Trump ha detto che un accordo con Pechino è ancora possibile. Shi Yinhong, professore di Relazioni Internazionali della Renmin University di Pechino avverte che le consultazioni bilaterali tra le due maggiori economie del mondo durarenno molto e non includeranno solo il commercio, ma si estenderanno anche alla politica e all’ideologia. In ballo c’è qualcosa di più della mera questione commerciale: il primato tecnologico, che la Cina punta a strappare agli Usa attraverso il piano Made in China 2025 e quello militare. Quella tra Usa e Cina è la sfida geopolitica più rilevante dei nostri tempi. Lo scontro del secolo, a detta di diversi analisti. Kiron Skinner, direttrice della pianificazione politica del Dipartimento di Stato Usa, parlando della Cina, ha ripreso la teoria dello “scontro di civiltà” del professore di Harvard Samuel Huntington. Lo scontro di civiltà, secondo cui nel mondo post bipolare i conflitti avverrebbero in base a ragioni che riguardano l’identità, la cultura e la religione, è stata giudicata una teoria controversa. Rifarsi a quella teoria per approcciarsi all’ascesa cinese avrebbe conseguenze dannose.

Le trattative commerciali sono legate a doppio filo al negoziato sul nucleare nordcoreano. A maggior ragione non dovrebbe sorprendere la mossa di Trump, che arriva dopo il lancio di una “raffica di proiettili” a corto raggio da parte di Kim nel mar del Giappone. La Casa Bianca pressa Pechino, da cui dipende adesso l’esito delle consultazioni con il dittatore. Uscire dallo stallo delle trattative con Kim Jong un sarebbe per Trump un’altra moneta da spendere con gli elettori in vista delle presidenziali del 2020.

If China does not make concessions, the U.S. is prepared to increase economic, diplomatic and political pressure, according to Vice President Mike Pence, Reuters