Oltrefrontiera_emiro_Qatar

D’ora in avanti, i cittadini del Qatar potranno entrare in Arabia Saudita solo per partecipare al pellegrinaggio annuale (Hajj) nella città santa della Mecca. Per il resto, hanno due settimane da oggi, 6 giugno 2017, per abbandonare il paese e non farvi ritorno. Lo stesso vale per i cittadini qatarioti presenti in Bahrain e negli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, le compagnie aeree Qatar Airways, Etihad Airways ed Emirates non sono più le benvenute sui cieli del Golfo Persico. Anche l’Egitto ha dichiarato di aver chiuso il proprio spazio aereo ai vettori del Qatar, mentre la redazione saudita di Al Jazeera è stata chiusa e altre iniziative seguiranno contro il piccolo emirato governato dagli Al Thani. I confini sono già stati chiusi e, in pratica, il paese è temporaneamente isolato dal resto della regione.

Per quanto poco possa valere, anche il governo sunnita dello Yemen (esautorato e su cui pende una guerra civile, tuttora in corso), il governo orientale della Libia (ovvero la Cirenaica retta manu militari dal generale Haftar) e quello delle Maldive, hanno deciso d’interrompere i legami diplomatici con Doha.

Che succede adesso?

La questione è molto seria dal punto di vista economico e ancor più grave dal punto di vista politico. Per quanto riguarda il settore economico, il Qatar è notoriamente un gigante del settore degli idrocarburi, petrolio ma soprattutto gas. Il bacino offshore denominato North Field è, infatti, il più grande al mondo (il giacimento è, in parte, condiviso con l’Iran): considerato però che le esportazioni del Qatar avvengono prevalentemente via mare, questo non impatterà significativamente sugli affari dell’emirato, almeno in un primo momento.

Tuttavia, il settore ne risentirà certamente sul medio-lungo periodo, tale per cui se la situazione dovesse cristallizzarsi e la contesa dovesse trascinarsi per mesi, questo potrebbe condurre l’economia del Qatar a una disgregazione generalizzata. Sarà interessante osservare, in questo senso, le mosse dell’OPEC, l’organizzazione dei paesi esportatori del petrolio di cui Doha è membro (e di cui Riad è il dominus), in relazione al calmiere dei prezzi del greggio: attualmente, dopo la decisione unilaterale dei paesi del Golfo di isolare Doha, il prezzo del petrolio è salito anche se non così significativamente.

Diverso è il discorso delle importazioni: il Qatar dipende quasi interamente dall’estero per l’approvvigionamento di cibo, di cui una notevole quantità giunge proprio attraverso la frontiera dell’Arabia Saudita, che è appena stata sigillata. Questo, al contrario, impatterà immediatamente sul mercato interno e coinvolgerà di certo anche gli altri settori. A cominciare, tanto per fare un esempio, dai materiali edili necessari alle opere di costruzione in corso per il 2022, quando il Qatar ospiterà i mondiali di calcio. I preparativi verosimilmente rallenteranno, così come le borse finanziarie puniranno certamente i titoli del Qatar in questa fase d’incertezza. Anche l’industria energetica e l’indotto degli idrocarburi inizieranno tra non molto a incidere negativamente sul bilancio economico del paese. 

Tutto colpa dell’Iran 

La chiave per leggere la decisione dei paesi del Golfo contro il Qatar resta però politica e punta sull’Iran. Chi mantiene legami con Teheran, è il senso del messaggio neanche troppo subliminale, d’ora in poi verrà isolato, se non peggio. I paesi del Golfo mistificano le accuse secondo le quali il Qatar fomenta il terrorismo. Certamente, Doha ha finanziato la Fratellanza Musulmana (la stessa organizzazione panislamista e fondamentalista che, ad esempio, in Egitto è stata esautorata con un colpo di stato ad opera dell’attuale regime di Abdel Fattah Al Sisi), così come la propaganda dell’emittente del Qatar Al Jazeera ha offerto tutto il suo aiuto propagandistico nel fomentare le primavere arabe e ha contribuito a sostenere molte ribellioni, anche contro la famiglia reale saudita (che, tuttavia, sinora ha resistito alle spinte ribellistiche interne).

Quanto agli oscuri finanziamenti dal Qatar allo Stato Islamico, questi sono certamente avvenuti ma si suppone da finanziatori privati attraverso fondazioni opache e le accuse, finora, non hanno trovato corpo. Dunque, il ruolo di Doha quale destabilizzatore della regione attraverso finanziamenti a gruppi eversivi jihadisti resta in piedi, ma non è il centro di gravità della questione (anche Riad, in questo senso, non ha la coscienza pulita, per dire).

Il che ci riporta all’Iran: il vero contendere è politico e s’insinua nella grande guerra tra le due anime dell’Islam che agitano il Medio Oriente e oltre. Sunniti e sciiti hanno raggiunto il punto di rottura a livello politico, di cui le guerre in Siria, Iraq e Yemen sono la sua espressione principale. I difensori del sunnismo sono oggi i regnanti dell’Arabia Saudita, mentre i protettori dello sciismo sono gli Ayatollah dell’Iran.

Ora, in Medio Oriente i sauditi si considerano i detentori non solo della fede ma anche delle redini geopolitiche, e il loro rivale è appunto Teheran. Il Qatar, negli ultimi anni, ha provato a rivaleggiare (per lo più in campo economico, ma anche come agente d’influenza politico) con Riad. Questo fatto gli ha alienato sempre più le simpatie della famiglia reale.

I legami mantenuti da Doha con il principale rivale regionale dell’Arabia Saudita, hanno fatto il resto. Fino al punto in cui, complice il benestare degli Stati Uniti, i paesi sunniti del Golfo non si sono sentiti forti al punto da calare la scure sulla promiscua vicinanza tra Qatar e Iran.

Il placet americano e l’aspetto militare 

In questo senso, la visita di Donald Trump – che ha rispolverato la storica alleanza con i sauditi che il suo predecessore Obama aveva incrinato disprezzando gli alleati e avvicinandosi all’Iran – è stata determinante per dare luce verde all’operazione anti-Qatar. Trump ha riportato la situazione alla chiarezza manichea, ridefinendo con il suo viaggio in Medio Oriente gli amici e i nemici dell’America, distinguendo gli alleati dagli avversari.

La rivalità con l’Iran, con la quale l’Arabia Saudita è impegnata in una serie di guerre per procura in tutta la regione – Siria, Iraq e Yemen – potrebbe persino sfociare in un conflitto più ampio. Di certo, il Qatar ha un peso molto relativo in questo senso, essendo uno dei più piccoli eserciti della regione. Il suo budget per la difesa è pari a 1,9 miliardi di dollari e rappresenta il 3,4% dell’Arabia Saudita, che ne spende 56,7 miliardi di dollari ogni anno. Inoltre, Doha ha meno soldati, mezzi e aerei rispetto allo stesso piccolo Bahrain e agli Emirati Arabi Uniti.

Ciò nonostante, la sua posizione strategica nelle acque del Golfo prospicienti l’Iran fa sì che il Qatar ospiti la più grande base militare americana del Medio Oriente, da dove partono la maggior parte delle operazioni aeree contro lo Stato Islamico in Iraq e Siria e contro i qaedisti in Afghanistan.

Lo Us Combined Air Operations Center (CAOC) è il quartier generale avanzato del Central Command americano, che vede oltre 11mila americani, tra soldati e personale di servizio. È la base aerea di Al Udeid, una trentina di chilometri a sud-ovest di Doha, dotata di piste di atterraggio tra le più lunghe del Golfo Persico (3,81 km) e l’unica dalla quale possono decollare i giganteschi bombardieri B52, nonché in grado di ospitare fino a 120 aerei contemporaneamente.

Il che la rende insostituibile per il Pentagono sin dalla sua costruzione, legata all’Accordo di Cooperazione per la Difesa firmato da Doha e Washington nel 1991, ai tempi dell’operazione Desert Storm (la prima guerra in Iraq). Gli americani hanno trasferito qui le loro truppe nel 2003, lasciando progressivamente la base aerea saudita di Prince Sultan.