Iraq, la strada accidentata della ricostruzione

Nonostante i progressi degli ultimi anni, in Iraq ci sono ancora moltissimi sfollati, precisamente un milione, a causa dei ritardi della ricostruzione nei territori liberati dall’ISIS. Specialmente nella provincia di Ninive, la riconquista ha coinciso con il radicamento sul territorio delle Forze di Mobilitazione Popolare sciite, che in accordo con politici compiacenti, hanno gestito i fondi della ricostruzione in modo corrotto e clientelare. Su tutto si stagliano le sfide della parziale rinascita di Daesh e la crisi economica legata alla Covid-19.

UN DRAMMA ANCORA IRRISOLTO

A più di tre anni dalla sconfitta dello Stato Islamico in Iraq, oltre un milione di iracheni è ancora sfollato all’interno del Paese, con centinaia di migliaia di persone ancora nei campi profughi. In alcuni casi le famiglie rimangono sfollate perché temono la discriminazione (e la rappresaglia) da parte di abitanti e Autorità locali per via dell’affiliazione di qualche parente allo Stato Islamico. Ma nella maggior parte casi gli sfollati restano tali a causa della mancata ricostruzione delle loro case e delle infrastrutture di base nei rispettivi luoghi d’origine. I deficit nella ricostruzione dei territori riconquistati dall’ISIS rappresentano uno dei maggiori impedimenti allo sviluppo e al consolidamento della pace in Iraq, problema ulteriormente aggravato dagli squilibri budgetari di Baghdad legati alla crisi del coronavirus. Nominato a maggio 2020, il premier Mustafa al-Khadimi ha messo la ricostruzione e il dramma degli sfollati in cima al proprio programma e ha compiuto la prima visita di un capo di Governo in un campo profughi. Sebbene la spinta a livello centrale sembra andare nella giusta direzione, gli attori locali potrebbero continuare a ostacolare il processo di ricostruzione. Nel caso questo rimanesse incompiuto ancora a lungo, non si lascerebbe soltanto irrisolta l’annosa questione degli sfollati interni, ma si creerebbe anche un potenziale terreno di reclutamento per uno Stato Islamico che negli ultimi due anni ha rialzato la testa in Iraq.

Fig. 1 – Donna accusata di legami con l’ISIS cammina per il campo profughi di Hasansham, Iraq del nord, 10 dicembre 2020

GLI OSTACOLI DELLA RICOSTRUZIONE

Gli intensi bombardamenti della coalizione internationale nella guerra contro Daesh hanno lasciato vaste zone delle province di Ninive e Anbar in macerie. All’indomani della cacciata dell’organizzazione terroristica dal suolo iracheno, la Banca Mondiale ha stimato i costi della ricostruzione attorno a $88 miliardi. Se da un lato la provincia dell’Anbar ha visto esempi mirabili di ricostruzione, come testimonia la città di Ramadi, la provincia di Ninive ha incontrato i problemi maggiori, come si può ancora riscontrare a Mosul, la seconda città più grande del Paese. Nella sola Mosul infatti si stima che almeno 8mila abitazioni siano state distrutte, mentre altrettante sarebbero quelle danneggiate. Lì la ricostruzione è stata più rapida nei quartieri orientali più abbienti, ma è proceduta a rilento nella città storica a ovest del Tigri. Nel resto della provincia i donors occidentali, Stati Uniti in primis, hanno fornito aiuti privilegiando i centri a maggioranza cristiana, una strategia che non favorisce la riconciliazione in un Paese ancora pervaso dal confessionalismo. Tre sono state le cause principali dei mancati interventi. Innanzitutto la competizione tra gruppi paramilitari sciiti (in particolare le Forze di Mobilitazione Popolare), milizie curde e forze della coalizione ha complicato gli sforzi di ricostruzione sul terreno, portando alla marginalizzazione delle tribù sunnite locali. La scarsa coordinazione tra organi nazionali e Autorità locali ha portato alla mancanza di finanziamenti per progetti decisi in loco e alla creazione di opere di scarsa utilità decise da Baghdad. Infine, la corruzione, male atavico dell’Iraq fin dall’intervento americano del 2003, ha fatto sì che gli amministratori locali si appropriassero di una quota sostanziale dei finanziamenti destinati alla ricostruzione, esigendo tangenti dalle imprese impegnate nei lavori.

Fig. 2 – Due uomini attraversano le rovine della città vecchia di Mosul, 28 febbraio 2021

LA POLITICA ECONOMICA DELLA RICOSTRUZIONE

La corruzione è andata di pari passo alle trame politiche che hanno visto Mosul al centro di un’agguerrita lotta di potere. Fin dall’inizio della contravanzata governativa nei confronti dell’ISIS, la ricostruzione ha attirato le mire delle forze politiche di Baghdad, come dimostra la sostituzione del governatore della provincia di Ninive, Atil Nujaifi, membro della potente tribù sunnita dei Nujaifi, con Nofal Agub nel maggio 2015. Sotto la supervisione di quest’ultimo la corruzione è cresciuta a dismisura, dal momento che l’approvazione dei progetti, inclusi quelli delle Organizzazioni internazionali, veniva negata da Agub se non accompagnata dal pagamento di tangenti. Nonostante il forte malcontento popolare e il voto di sfiducia del Consiglio locale, Agub è riuscito a rimanere in carica fino a marzo 2019 grazie all’appoggio dei partiti politici sciiti a Baghdad e delle Forze di Mobilitazione Popolare, oltre che alle divisioni tra i gruppi sunniti locali. Proprio le Forze di Mobilitazione Popolare, composte da Asayib Ahl al-Haq (AAH), Kataib Hizbullah (KH), Badr e altri gruppi armati sciiti, hanno trasformato la loro posizione preponderante sul terreno in attività economica tramite lo sfruttamento dell’economia di guerra. Così nella provincia di Ninive questi gruppi hanno potuto gestire sia le attività illegali, quali il contrabbando di petrolio e le estorsioni ai posti di blocco, sia quelle legali, come lo mercio di rottami metallici, piccole imprese e, soprattutto, la gestione di progetti di ricostruzione, con l’appoggio dei partiti sciiti a Baghdad. A queste milizie si sono affiancati esponenti politici sunniti, tra cui Khamis Khanjar, capo del partito Mashrw al-Arabi e Ahmed Jabouri (detto Abu Mazin), desiderosi di conquistarsi una fetta di consenso popolare e, insieme alle Forze di Mobilitazione Popolare e KDP curdo, far eleggere l’attuale governatore della provincia di Ninive: Najm Jabouri. Tutto ciò lascia presagire che le dinamiche corruttive e clientelari viste fino ad ora difficilmente termineranno con l’elezione di Jabouri.

Fig. 3 – Sostenitori delle Forze di Mobilitazione Popolare dopo aver assaltato e incendiato la sede del Partito Democratico Curdo (KDP), 17 ottobre 2020

NUOVI E VECCHI PROBLEMI: DAESH E COVID-19

Dal successo della ricostruzione dipende anche la sicurezza dell’Iraq. Ricacciati da tutti centri abitati dislocati tra Siria e Iraq, i superstiti dello Stato Islamico si sono rifugiati nelle zone più rurali e montuose. Nel corso del 2019 sono iniziati i primi attacchi asimmetrici contro le forze di sicurezza irachene e nel 2020, sfruttando il caos creato dalla pandemia e i relativi coprifuochi, l’ISIS ha puntato a obiettivi via via di maggior calibro. Ora Daesh non può contare sul sostegno tribale di cui beneficiava in passato e i miliziani eredi del partito Ba’ath, in larga parte deceduti. Tuttavia potrebbe far leva sul malcontento di coloro ancora costretti a vivere nei campi e a subire le conseguenze della corruzione sulla loro pelle. In un simile contesto una nuova generazione di giovani senza futuro che sta crescendo nei campi profughi potrebbe non essere altrettanto restia a unirsi all’ISIS come i loro genitori. Se da un lato Daesh non ha più le capacità per entrare trionfalmente nelle città di Siria e Iraq per via della presenza internazionale nella zona, dall’altro lato si sta delineando una strategia di stampo saheliano, fatta di attacchi mirati seguiti da rapide ritirate e dall’uso di oggetti esplosivi rudimentali (IED). Sempre il Sahel dimostra che tale strategia sia possibile nonostante la presenza di contingenti internazionali e regionali sul terreno. In ogni caso la risposta delle Istituzioni di Baghdad alle sfide della ricostruzione sarà decisiva per determinare il successo o il fallimento di Daesh nei prossimi anni. Nel 2020 il PIL iracheno è crollato del 9% e la povertà è destinata ad allargarsi a una platea compresa tra i 2,7 e i 5,5 milioni di persone. Ammesso che il prezzo del greggio non subisca shock nel corso del 2021, il Governo di Baghdad dovrà comunque combattere la povertà e forse anteporla agli sforzi per la ricostruzione. Perciò, nell’immediato, il destino della ricostruzione sarà legato alla ripresa economica post-Covid.

Di Corrado Cok. Pubblicato su Il Caffè Geopolitico

Immagine di copertina: Photo by Ahmed akacha is licensed under CC0