“L’operazione a Gaza richiederà ancora tempo”. Parole di Benyamin Netanyahu, che ha fatto capire come la pressione militare su Hamas da parte dell’esercito israeliano proseguirà fino a quando il nemico non verrà definitivamente annichilito. Un copione già seguito in passato da Israele. Ecco un profilo del premier israeliano, pubblicato su Leaders. I volti del potere mondiale a cura di Luciano Tirinnanzi. Un identikit che può essere utile per comprendere, “da dentro”, cosa sta accadendo in questi giorni in Medio Oriente. E fino a dove intenderà spingersi Israele.
Gli ebrei emigrati in Israele sono autorizzati a cambiare il cognome che adottavano durante la diaspora. Per questo motivo, Benjamin Netanyahu è in realtà un discendente dei Mileikowsky, cognome che il nonno Nathan, un rabbino di origine lituana, mutò nel 1922 per Netanyahu, che significa «donato da dio». Oratore, sionista, convinto sostenitore di politiche di destra, Nathan Mileikowsky influenzerà in maniera significativa le generazioni future.
Il figlio Benzion farà parte del Partito revisionista e fonderà il quotidiano politico Jordan, mentre il nipote Benjamin – «Bibi» per gli amici – diverrà figura preminente della politica israeliana. dopo la morte del capostipite, la famiglia Netayahu si trasferisce a new York, dove nasce il fratello maggiore di Bibi, Yonathan, che a sua volta avrà tanta importanza sul futuro premier. Bibi, invece, nasce a Tel Aviv il 23 ottobre 1949. Insieme, i fratelli Netanyahu abbandonano presto l’America, prima per lavorare nei kibbutz e poi per servire il proprio Paese durante la guerra dei sei giorni (1967). Yonathan diviene così un militare di carriera, e da tenente colonnello muore meno di dieci anni dopo, in Uganda, colpito a morte durante l’operazione antiterrorismo «Entebbe», alla testa di un commando che libera 248 passeggeri e 12 membri dell’equipaggio di un aereo dirottato dai palestinesi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP).
La sua ascesa politica è degli anni ottanta, quando diviene membro del Likud israeliano. ma la vera svolta sono per lui le elezioni nazionali del 1996, dove per la prima volta gli israeliani votano direttamente il loro primo ministro. E scelgono proprio il paladino della lotta al terrorismo, che viene così eletto premier dopo un’ondata di attacchi terroristici contro la popolazione civile che avevano messo a dura prova il Paese. Complice anche il naufragio degli accordi di Oslo tra Clinton e Rabin del 1993, che avevano fatto sperare alla conclusione del conflitto arabo-israeliano, Bibi si ritaglia un ruolo indipendente e sembra pensarla diversamente dai due presidenti: secondo lui, la pace si ottiene solo con la superiorità militare, come peraltro gli hanno insegnato in America i repubblicani e lo stesso Ronald Reagan. il cui concetto «peace through strength» viene da Netanyahu ciclicamente ripreso, più o meno all’approssimarsi di ogni tornata elettorale.
Bibi torna premier nel 2009, mantenendo da allora la leadership grazie alla sua tenacia e alla visione geopolitica del ruolo di Israele nella regione: una visione tesa a espandere la presenza israeliana oltre il golan e il fiume giordano, e a consolidare la supremazia sui palestinesi attraverso un’opera di accerchiamento progressivo dei territori contesi. L’operazione riesce soprattutto in Cisgiordania, meno invece lungo la Striscia di gaza. dove, infatti, Netanyahu dovrà confrontarsi con le decisioni più difficili e dure della propria carriera, a causa di ripetute battaglie con le formazioni estremiste palestinesi, che allontaneranno ogni speranza di processo di pace e di «soluzione a due stati».
Ma il vero nemico di Bibi Netanyahu è l’Iran, contro cui riesce a coalizzare l’occidente, soprattutto gli Stati Uniti. In questa sua politica anti-ayatollah si mescolano ragionamenti intellettuali e insegnamenti marziali, fascinazione per il modello americano (la cui influenza inciderà significativamente sul volto della moderna Israele) e rispetto dell’ortodossia religiosa (sia pur da un presupposto di laicità dello Stato), determinazione ebraica e intransigenza politica. mentre la sua autorevolezza in politica estera dopo vent’anni di potere è rimasta praticamente intatta, la sua forza propulsiva si è oggi arrestata in relazione agli affari interni, anche a causa di una polarizzazione dell’opinione pubblica israeliana e di una diminuita fiducia della popolazione nel suo partito. Ciò nonostante, il popolo non ha abbandonato del tutto il suo leader più longevo, che ancora nel settembre 2019 ha sfiorato la vittoria pur all’interno di una Knesset, il parlamento di Gerusalemme, bloccata e quanto mai divisa. Ma Bibi, che anche sulle divisioni ha costruito la propria carriera, ci è abituato.
Tratto dal libro
Leaders. I volti del potere mondiale
A cura di Luciano Tirinnanzi

Redazione
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