Di ieri la notizia che l’autoproclamato presidente venezuelano Juan Guaidò ha preso possesso dei beni nazionali all’estero “Per evitare che l’usurpatore e la sua banda cerchino di raschiare il fondo del barile continuando a rubare soldi ai venezuelani, finanziando delitti a livello internazionale e usando questi soldi per torturare il nostro popolo (…) ho ordinato il trasferimento dei conti correnti della repubblica sotto il controllo dello Stato e delle sue legittime autorità” (nota su twitter). La presente azione è alquanto controversa in vero e legittimata dallo schieramento esplicito in favore di Guaidò delle sovranità di Stati Uniti, Canada, Brasile, Ecuador, Colombia, Argentina, Germania, Francia e Regno Unito (su tutti). Legittimità parziale tuttavia se si guarda anche l’elenco di chi assolutamente si nega a quello che sempre più marcatamente si profila come un colpo di stato: Cina, Russia e Turchia insieme a Messico, Uruguay ed altri si sono negati ad ogni forma di ingerenza, mentre l’Unione Europea temporeggia nonostante alcuni suoi membri si siano schierati con sfiducia nei confronti di Maduro. Sulla base di questa situazione il reindirizzo dei conti di credito e delle riserve auree al governo Guaidò appare ad oggi un atto internazionale illecito volto ad accrescere le pressioni sul governo chavista. Ad aggravare questa situazione è la posizione della Bank of England che custodisce parte delle riserve auree di Caracas. La banca già in tempi non sospetti (novembre 2018) aveva negato il rimpatrio in Venezuela di una parte dell’oro custodito motivando il proprio veto come una pratica difficile da realizzarsi a livello logistico e aggiungendo una “perplessità” sull’impiego di tali riserve da parte del governo di Maduro. Come dire: un soggetto deposita i propri soldi in banca e la stessa nega il prelievo di una parte di questi perché vuole rendicontato ogni acquisto fatto.

In definitiva oggi il governo di Maduro viene spinto in una condizione di “mortale” crisi finanziaria in modo da generare decisioni politiche, economiche e/o sociali errate e capaci di legittimare in modo definitivo un’ingerenza esterna. Un altro effetto di quest’isolamento nei confronti del governo chavista, potrebbe essere quello di riuscire a scalfire la fedeltà dell’esercito o di parte di questo. Proprio l’esercito ad oggi risulta il vero ostacolo al golpe e ciò lo dimostra anche l’avanzamento di una proposta di amnistia da parte di Guaidò in favore di chi volesse abbandonare le fila chaviste per ricongiungersi al governo del cambiamento. Ulteriore spina nel fianco per Maduro è data dall’incalzante aggressività finanziaria di Washington che prepara un nuovo pacchetto di sanzioni dedicato all’export petrolifero.

Ultima parentesi per Juan Guaidò: il suo ruolo appare quello di traghettatore a nuove elezioni. Elezioni che con ogni probabilità verrebbero affrontate da un Partito Socialista decimato da una resa dei conti giudiziaria e dal ripristino di storiche e più strutturate figure politiche antichaviste (Henrique Capriles, Leopoldo Lopez) che potrebbero lasciare poco spazio al protagonismo di quello che oggi si definisce nuovo presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Il ritorno ad elezioni inoltre potrebbe portare, vista la probabile decimazione del Partito Socialista, ad una nuova competizione tra forze politiche antichaviste che oggi sì appaiono coese, ma domani potrebbero non esserlo più per accaparrarsi una ledership nazionale. Ne consegue che lo stato di crisi sociale e politica potrebbe non risolversi con un colpo di stato (la questione libica fa scuola).