Diramato in questi giorni il nuovo sondaggio di Ibobe (azienda incaricata dal periodico brasiliano O Estado de S. Paulo e da Oglobo) che si è tenuto nei giorni del 13 e 14 ottobre. Su un campione di 2506 elettori di 176 città brasiliane con un margine di errore di due punti percentuali, il risultato è stato pressoché inequivocabile: il 28 ottobre Jair Bolsonaro, candidato del Partido Social Liberal (PSL), dovrebbe giungere alla conquista della presidenza con il 59% del favore elettorale contro 41% del candidato del Partido de los Trabajadores (PT), Fernando Haddad.

18 punti percentuali che dividono due progetti politici diametralmente opposti.

Da un lato infatti Bolsonaro si rifà ad un piano economico sviluppato dal suo collaboratore Paulo Guedes (proveniente dall’Università di Chicago) e che ha quale perno imprescindibile la privatizzazione delle 147 imprese statali del paese tra cui la Petrobras. Taglio netto anche alla struttura ministeriale con la volontà di dimezzare i 29 ministeri oggi esistenti nella compagine governativa. Inoltre Bolsonaro intende ridurre gli investimenti pubblici, riformare il sistema pensionistico e ridefinire il sistema fiscale aumentando dal 17,5 al 20% le imposte sulle persone giuridiche e riducendo le imposte sulle imprese dal 34 al 15%.

Dall’altro lato Haddad persevera su una programmazione basata sul riequilibrio sociale. Pianificazione inclusiva volta al riassorbimento della gran parte dei 13 milioni di disoccupati oggi esistenti in Brasile. Inoltre l’obiettivo resta quello di ridurre il peso tributario nei confronti delle classi più povere e quindi mantenendo alte le imposte sulle imprese e la classe medio-alta. Dal punto di vista produttivo invece Haddad si propone una ristrutturazione infrastrutturale e uno sviluppo in campo energetico per accrescere l’industrializzazione del paese con attenzione alla tutela dell’ambiente.

Due programmi fortemente contrapposti ma che comunque vedono in vantaggio di 18 punti quello di Bolsonaro ossia quello con maggiore spinta neoliberale. Distacco rafforzato dal favore elettorale dell’imprenditoria brasiliana che occupa le regioni a sud del paese e che hanno completamente abbandonato il progetto lulista al quale si erano affidati nel 2002. Un distacco in vero repentino negli anni visto che la programmazione socialista ha sin da subito ridimensionato le ambizioni del settore privato del paese dando spazio a un “eccesso” di protagonismo del settore pubblico. Lo scontro tra imprenditoria e Stato è poi proseguito in favore della prima che come si è visto, è riuscita ad erodere consensi all’impianto politico ed economico del PT. Ultimo atto il sorpasso dell’opposizione nei confronti del PT nel primo turno elettorale dello scorso 7 ottobre. Bolsonaro ha raggiunto oltre il 46% dei voti mentre Haddad si è fermato al 29% aggiudicandosi sì il passaggio al ballottaggio, ma con una strada da percorrere in drammatica salita. C’è da dire che su Haddad pesa molto l’esser subentrato in corsa alla candidatura di Lula (figura più forte e carismatica) e di subire un distacco tra elettorato e partito a causa delle numerose inchieste giudiziarie passate e in essere: Lula è agli arresti con l’accusa di corruzione mentre nel 2016 Dilma Rousseff (allora presidente del Brasile) è stata destituita per impeachment con l’accusa di falso in bilancio statale per gli anni 2014 e 2015. Ovviamente il tema della corruzione ha finito con il coinvolgere anche alte cariche del subentrante governo Temer, ma nell’elettorato resta con ogni probabilità una percezione di “tradimento” della fiducia riposta nel PT.