Il primo ministro indiano Narendra Modi e il presidente cinese Xi Jinping si sono incontrati lo scorso 26 e 27 aprile per un summit informale a Wuhan. L’incontro, oltre a ristabilire il dialogo tra i due Paesi – che avevano raggiunto un alto livello di guardia a seguito delle tensioni scoppiate nella regione del Daklam – lascia aperte buone speranze per le relazioni bilaterali e per la stabilità futura dell’area.

Sebbene nessuno dei temi più critici sia stato affrontato, i due presidenti hanno di fatto lanciato un segnale di disponibilità reciproca per dire al mondo che sono pronti ad affrontare responsabilmente i problemi, risolvendoli attraverso il dialogo in una prospettiva non solo bilaterale. Pur permanendo la differenza di vedute, l’incontro ha segnato l’affermazione di un metodo, quello del dialogo che, per come sottolineato da autorevoli analisti da entrambe le parti, fa del summit di Wuhan una pietra miliare nelle relazioni tra India e Cina. Per come è infatti noto, i rapporti tra i due Paesi sono stati, negli ultimi anni, contraddistinti da momenti di forti tensioni dovute alle dispute territoriali presenti nella regione del Doklam e lungo i 3.500 km che segnano la linea del confine tra i due Stati.

Alle tensioni si sommano le tormentate relazioni commerciali con l’India che lamenta l’insufficiente apertura del mercato cinese, soprattutto nei settori farmaceutico e dell’information tecnology nei quali dispone di aziende molto competitive e innovative. La politica commerciale cinese, fortemente orientata all’esportazione, viene giudicata come troppo aggressiva e causa di un consistente squilibrio nel saldo commerciale indiano. L’iniziativa della Nuova Via della Seta è forse quella più divisiva dal momento che viene percepita da parte indiana come una manifestazione di egemonia cinese rivolta a isolare l’India e insidiarne la supremazia nell’Oceano Indiano. Vi è poi la questione del Corridoio Pakistano e del porto di Gwadar che infastidiscono particolarmente New Delhi che giudica l’iniziativa non opportuna perché, oltre ad attraversare territori contestati come il Kashmir, offre un forte supporto economico a un Paese che viene ritenuto connivente con il terrorismo di matrice islamica che genera gravi minacce alla sicurezza del Paese.

Di contro, la Cina non vede di buon occhio la partecipazione dell’India al dialogo quadrilaterale di sicurezza per l’area Indo-Pacifico. Tale dialogo, portato avanti dall’Amministrazione Trump congiuntamente a Giappone e Australia, ha il fine di contrastare la presenza della Cina nel Mar Cinese Meridionale dove transitano i maggiori flussi commerciali che viaggiano da e verso la Repubblica Popolare Cinese.

Gli elementi di tensione dunque non mancano, se poi si aggiunge la questione del Tibet e l’ospitalità che l’India offre ai rifugiati tibetani e al Dalai Lama la situazione si complica ulteriormente.

A fronte di tale contesto le diplomazie hanno preferito porre in agenda questioni di carattere globale, sulle quali è emersa una sintonia di visione che porterà, nel lungo periodo, a intensificare le relazioni di partenariato nonché l’affermazione sulla scena mondiale dei due giganti asiatici, con le dovute implicazioni sia regionali che globali. È stata condivisa l’idea che debbano essere promosse relazioni pacifiche, stabili ed equilibrate tra i due Paesi così da generare un impatto positivo nel contesto asiatico.

È stato, inoltre, rimarcato che il nuovo ordine mondiale debba basarsi sulla multipolarità, per favorire i Paesi meno sviluppati e assicurare una crescita economica capace di attenuare le disuguaglianze e combattere la povertà. A tal fine le parti hanno deciso di unire risorse finanziarie, conoscenze e competenze acquisite, per la creazione di un network globale dedicato a offrire soluzioni innovative e sostenibili per i Paesi in via di sviluppo, e in particolare per l’Afghanistan. Obbiettivi che, a parere delle parti, sono realizzabili esclusivamente attraverso una riforma delle istituzioni internazionali, in senso multilaterale e rappresentativo, garantendo maggior peso politico ai Paesi emergenti e in via di sviluppo.

Sebbene le maggiori e più spinose questioni bilaterali rimangano aperte si è, dunque, tracciata la strada per un dialogo che pur essendo in una fase iniziale sta gettando le premesse per l’affermazione del secolo asiatico. Attendiamo di vedere quali saranno i frutti.

Alberto Cossu, Analyst of Vision & Global Trends