Il XX Congresso nazionale del Partito comunista cinese è stato aperto il 16 ottobre dal presidente Xi Jinping, che corre per un terzo inedito mandato alla guida del Pcc. Xi Jinping ha pronunciato un lungo discorso della durata di cento minuti nel quale ha difeso le misure adottate da Pechino contro la pandemia di Covid-19, per la gestione dei fronti caldi Honk Kong e Taiwan, per la lotta alla corruzione, per la crescita economica del Paese. Come era prevedibile, non sono invece arrivate dichiarazioni fuori dallo spartito sulla guerra in Ucraina, sulla posizione assunta da Pechino nei confronti di Mosca, sui rapporti sempre più tesi con l’Amministrazione Biden. In attesa dell’esito formale del voto, ecco un profilo del presidente cinese pubblicato su Leaders. I volti del potere mondiale edito da Paesi Edizioni, a firma di Giorgio Mantici, sinologo e professore presso L’Orientale di Napoli, scomparso nel 2021.

di Giorgio Mantici

L’arrivo di Xi Jinping ai vertici del potere politico cinese ha segnato il lento ma costante passaggio della Cina da una prospettiva centrata su se stessa, verso una visione modernamente tecnocratica e geopolitica quale base per lo sviluppo economico cinese. Ciò in quanto parte integrante di una realtà asiatica costantemente in evoluzione nel dare risposte concrete e vantaggiose a un mondo globalizzato, di cui anche l’Asia è parte importante, anzi imprescindibile.

È grazie a questo lungo processo – che ha avuto come punto di partenza l’apertura economica verso il mondo esterno impressa da Deng Xiaoping e come punto di caduta l’arrivo di Xi al vertice del potere nazionale – se oggi la Cina, applicando il pragmatismo radicale della tradizione confuciana nella gestione della cosa pubblica, ha messo in moto un sistema che cerca costantemente di bilanciare la tradizione con sperimentazioni innovative, prestando grande attenzione e studio a ciò che si elabora in Occidente. Lo scopo? Dare forma al «comunismo con caratteristiche cinesi» affinché il Paese più popoloso al mondo sia capace di interagire con la liquidità delle società contemporanee, con la cancellazione dei confini degli Stati e con l’innesco di quel capitalismo internazionale, sempre più regolato da competenze tecnologicamente avanzate e in rapida trasformazione.

L’ultimo prodotto di questo lungo processo è stato presentato e lanciato da Xi Jinping nel 2013, e va sotto il nome di Belt and Road Initiative (Bri), ovvero la creazione di una nuova «Via della Seta». Un’iniziativa di stampo marcatamente commerciale, ma non soltanto: si tratta, infatti, di costruire contemporaneamente un’estesa rete di connessioni, comprendenti una cooperazione economica – ma inevitabilmente anche culturale – tra l’Occidente e i Paesi asiatici, che includano l’Asia occidentale nel cammino mondiale verso il progresso. Ma, si badi bene, quando si parla di Asia «occidentale», s’intende a Occidente rispetto al Paese che invece sta «al centro». Dove il centro è ovviamente la Cina. È questo, infatti, l’originale e profondo significato dei due caratteri Zhong («centro») e Guo («paese»), che formano la parola Zhongguo, qual è appunto il nome della «Cina».

In ogni caso, secondo la visione della Belt and Road Initiative, l’Asia occidentale si estende sino al Canale di Suez e all’Africa. E, naturalmente, raggiunge anche l’Occidente, attraversato da questa vasta rete di connessioni alle quali sarà sempre più difficile – e soprattutto non conveniente, secondo l’opinione di Pechino – sottrarsi. A cominciare dall’Unione Europea.

Tratto dal libro
Leaders. I volti del potere mondiale
A cura di Luciano Tirinnanzi