Come la Cina guarda al mondo e come dovremmo guardare alla Cina, How China Sees the World And how we should see China, è il titolo di un articolo su The Atlantic firmato da H. R. McMaster. La redazione di Babilon lo ha tradotto.
I. The Forbidden City
L’8 novembre 2017 era il giorno visita di Stato di Trump in Cina, dal presidente Xi Jinping. Il dossier principale in quel momento per Trump era cosa fare con la Corea del Nord di Kim Jong-un. Ma McMaster si accorge di come la Cina vedeva il mondo.
Dai giorni di Deng Xiaoping, negli anni Settanta, il mondo pensava: dopo essere stata accolta nel mondo, la Cina avrebbe aperto le sue frontiere, giocato secondo le regole e privatizzato la sua economia. Man mano che il paese diventava più prospero, il governo cinese avrebbe rispettato i diritti dei suoi cittadini e liberalizzato il Paese. Ma quei presupposti si stavano dimostrando sbagliati.
La Cina sta diventando una minaccia perché propone un modello autoritario, chiuso, come alternativa alla governance democratica e al mercato aperto. Il Partito Comunista Cinese non sta solo rafforzando un sistema interno che reprime la libertà umana ed estende il suo controllo autoritario, sta anche esportando quel modello e sta guidando lo sviluppo di nuove regole e un nuovo ordine internazionale che renderebbe il mondo meno libero e meno sicuro. Lo sforzo della Cina di estendere la sua influenza è evidente nella militarizzazione delle isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale e nello spiegamento di capacità militari vicino a Taiwan e nel Mar Cinese Orientale. Ma la natura integrata delle strategie militari ed economiche del Partito Comunista Cinese è ciò che la rende particolarmente pericolosa per gli Stati Uniti e altre società libere e aperte.
John King Fairbank, storico di Harvard e padrino della sinologia americana, nel 1948 aveva notato che per capire le politiche e le azioni dei leader cinesi una prospettiva storica «non è un lusso, ma una necessità». Durante la nostra visita di Stato Xi e i suoi consiglieri avevano fatto grande affidamento alla storia per trasmettere il loro messaggio. Hanno enfatizzato alcuni aspetti. Ne hanno esclusi altri.
La delegazione americana – che includeva il Presidente Trump e la First Lady, il segretario di Stato Rex Tillerson, e l’ambasciatore in Cina Terry Branstad – hanno ricevuto la loro prima lezione di storia quando hanno fatto il tour della Città Proibita, trono dell’imperatore cinese per cinque secoli. Siamo stati accompagnati da Xi, da sua moglie e diversi leader senior cinesi. Il messaggio – trasmesso in conversazioni private e dichiarazioni pubbliche, ma anche in servizi alla TV ufficiale, e per come emergevano naturalmente facendo il tour – aveva un certo legame con quel che aveva detto Xi tre settimane prima in un discorso al 19th National Congress: il Partito Comunista Cinese stava incessantemente cercando “il grande ringiovanimento della nazione cinese”. Come lo descrisse Xi, il “ringiovanimento” comprendeva prosperità, sforzo collettivo, socialismo e gloria nazionale: il “sogno cinese. La Città Proibita era lo scenario perfetto per Xi per mostrare la sua determinazione nel “muoversi verso il centro del mondo e dare un grande contributo all’umanità”.
La Città Proibita fu costruita durante la Dinastia Ming, che governò la Cina dal 1368 al 1644 – un periodo considerato la Golden Age in termini di potenza economica cinese, controllo territoriale e traguardi culturali. Poi durante la Dinastia Zheng, He, un ammiraglio della flotta Ming, si è imbarcato per sette viaggi nell’Oceano Pacifico Occidentale e l’Oceano Indiano, più di mezzo secolo prima dei viaggi di Cristoforo Colombo. Le sue “treasure ships”, tra le più grandi barche di legno mai costruite, tornarono cariche di tributi da ogni parte del mondo conosciuto. Ma nonostante il successo dei sette viaggi, l’Imperatore ne dedusse che il mondo non aveva niente da offrire alla Cina. Ordinò che le navi del tesoro fossero affondate e che i porti cinesi fossero chiusi. Il periodo che seguì – il XIX e il XX secolo in particolare – sono visti da Xi e da altri al vertice come un’aberrazione durante la quale le nazioni europee e, successivamente, gli Stati Uniti hanno raggiunto il dominio economico e militare.
Come lo spettacolo di chiusura delle Olimpiadi di Pechino del 2008, che ha collocato la moderna innovazione tecnologica nel contesto di 5000 anni di storia cinese, il tour della Città Proibita è stato pensato, a quanto pare, per ricordare che le dinastie cinesi sono state per lungo tempo il centro del mondo. L’arte e lo stile architettonico degli edifici riflettevano il credo sociale confuciano: quella gerarchia e armonia si incastrano e sono interdipendenti. L’imperatore teneva la corte nella Sala della Suprema Armonia, il più grande edificio della Città Proibita. Il grande trono è circondato da sei pilastri dorati, incisi con draghi per evocare il potere di un imperatore il cui stato governava sulla tianxia – su “tutto ciò che sta sotto il paradiso”.
Mentre le immagini trasmesse in Cina e nel resto del mondo dalla Città Proibita durante la nostra visita avevano lo scopo di proiettare fiducia nel Partito Comunista Cinese, si poteva anche avvertire una profonda insicurezza, una lezione di storia che non era menzionata. Per come è disegnata, la Città Proibita sembrava riflettere quel contrasto tra una sconfinata fiducia e un’innata apprensione. Tre grandi spazi nel centro della città sono pensati non solo per impressionare, ma anche per difendere dalle minacce che potrebbero arrivare sia dall’esterno che dall’interno delle mura della città. Al termine della Dinastia Han, a.d. 220, le province centrali della Cina furono governate solo per la metà del tempo da una forte autorità centrale. E anche allora, la Cina era soggetta all’invasione straniera e alle turbolenze domestiche. L’imperatore Yongle, Zhu Di, che aveva fatto costruire la Città Proibita, era più preoccupato per i pericoli interni che per le probabilità di un’altra invasione mongola. Per identificare ed eliminare gli avversari, l’imperatore creò un’elaborata rete di spionaggio. Per prevenire l’opposizione di studiosi e burocrati, ha diretto le esecuzioni non solo di coloro che sono sospettati di slealtà, ma anche delle loro intere famiglie. Il Partito Comunista Cinese ha usato tattiche simili secoli dopo. Come Xi, gli imperatori che sedevano sull’elaborato trono nel cuore della Città Proibita praticavano uno stile di governo remoto e autocratico vulnerabile alla corruzione e alle minacce interne.
La nostra guida ci mostrò dove l’ultimo occupante reale della Città Proibita, l’imperatore Puyi, fu privato del potere nel 1911, all’età di 5 anni, durante la rivoluzione cinese. Puyi ha abdicato nel mezzo del “secolo dell’umiliazione”, un periodo della storia cinese che Xi aveva descritto a Trump quando i due leader si erano incontrati per cena a Mar-a-Lago, sette mesi prima del nostro tour. Il secolo dell’umiliazione fu l’era infelice durante la quale la Cina conobbe la frammentazione interna, subì la sconfitta nelle guerre, fece importanti concessioni alle potenze straniere e subì una brutale occupazione. L’umiliazione ebbe inizio con la sconfitta della Cina per mano della Gran Bretagna nella Prima Guerra dell’oppio, nel 1842. Si concluse con la vittoria alleata e cinese sull’impero giapponese nel 1945, e la vittoria comunista nella guerra civile cinese nel 1949.
Il nostro ultimo incontro della visita di stato, nella Grande Sala del Popolo, è stato con Li Keqiang, il Premier del Consiglio di Stato e Primo Ministro del Governo cinese. Se qualcuno nel gruppo americano aveva dei dubbi sulla visione della Cina delle sue relazioni con gli Stati Uniti, il monologo di Li li ha rimossi. Ha iniziato con un’osservazione: la Cina, avendo già sviluppato la sua base industriale e tecnologica, non aveva più bisogno degli Stati Uniti. Ha rassicurato e respinto le preoccupazioni degli Stati Uniti per il commercio sleale e le pratiche economiche, indicando che il ruolo degli Stati Uniti nella futura economia globale sarebbe semplicemente quello di fornire alla Cina materie prime, prodotti agricoli ed energia per alimentare la sua produzione di prodotti industriali e di consumo all’avanguardia nel mondo.
Lasciando la Cina, ero ancora più convinto di quanto non fossi stato prima che un drammatico cambiamento nella politica americana fosse in ritardo. La Città Proibita avrebbe dovuto trasmettere fiducia nel ringiovanimento nazionale della Cina e nel suo ritorno sulla scena mondiale come l’orgoglioso regno centrale. Ma per me ha rivelato le paure e le ambizioni che guidano gli sforzi del Partito Comunista Cinese per estendere l’influenza della Cina lungo le sue frontiere e oltre, e per riguadagnare l’onore perduto durante il secolo dell’umiliazione. Le paure e le ambizioni sono inseparabili. Spiegano perché il Partito comunista cinese è ossessionato dal controllo, sia internamente che esternamente.
Il leader del partito ritengono di avere una stretta finestra di opportunità strategiche per rafforzare il loro dominio e rivedere l’ordine internazionale a loro favore — prima che l’economia cinese si inasprisca, prima che la popolazione invecchi, prima che altri paesi si rendano conto che il partito sta perseguendo il ringiovanimento nazionale a proprie spese e prima che eventi imprevisti come la pandemia di coronavirus espongano le vulnerabilità che il partito ha creato nella corsa per superare gli Stati Uniti e realizzare il sogno cinese. Il Partito non ha intenzione di giocare secondo le regole del diritto internazionale, degli scambi, del commercio. La strategia generale della Cina si basa su cooptazione e coercizione in casa e fuori, nonché sul nascondere la natura delle vere intenzioni della Cina. Ciò che rende questa strategia potente e pericolosa è la natura integrata degli sforzi del partito all’interno del governo, E, a conti fatti, gli obiettivi del Partito Comunista Cinese sono in contrasto con gli ideali e gli interessi americani.
II. Three Prongs
Mentre la Cina persegue la sua strategia di cooptazione, coercizione e occultamento, i suoi interventi autoritari sono diventati onnipresenti. All’interno della Cina, la tolleranza del partito per la libera espressione e il dissenso è minima, per usare un eufemismo. Le politiche repressive e manipolative in Tibet, con la sua maggioranza buddista, sono ben note. La Chiesa cattolica e, soprattutto, le religioni protestanti in rapida crescita destano profonda preoccupazione per Xi e il partito. Le chiese protestanti si sono dimostrate difficili da controllare, a causa della loro diversità e decentralizzazione, e il partito ha rimosso con forza le croci dalle cime degli edifici delle chiese e persino demolito alcuni edifici per dare l’esempio. L’anno scorso, lo sforzo di Pechino di rafforzare la sua presa su Hong Kong ha scatenato proteste sostenute che sono continuate fino al 2020 – proteste che i leader cinesi hanno accusato gli stranieri, come fanno di solito. Nello Xinjiang, nella Cina nord-occidentale, dove gli etnici uiguri praticano principalmente l’Islam, il partito ha costretto almeno 1 milione di persone nei campi di concentramento. (Il governo lo nega, ma l’anno scorso il New York Times ha scoperto una serie di documenti incriminanti, inclusi resoconti di discorsi a porte chiuse di Xi che hanno ordinato ai funzionari di mostrare “assolutamente nessuna pietà”).
Il leader del partito hanno accelerato la costruzione di uno stato di sorveglianza senza precedenti. Per 1,4 miliardi di cinesi, la propaganda governativa in televisione e altrove è parte integrante della vita quotidiana. Le università hanno represso l’insegnamento che spiega i concetti “liberali occidentali” di diritti individuali, libertà di espressione, governo rappresentativo e stato di diritto. Gli studenti delle università e delle scuole superiori devono prendere lezioni in “Il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”. La filosofia a 14 punti del presidente è l’oggetto dell’app più popolare in Cina, che richiede agli utenti di accedere con il loro numero di cellulare e il loro vero nome prima di poter guadagnare punti di studio leggendo articoli, scrivendo commenti e facendo test a scelta multipla. Un sistema di “punteggi di credito sociale” personali si basa sul monitoraggio delle attività online e di altre persone per determinare la loro amicizia rispetto alle priorità del governo cinese. I punteggi delle persone determinano l’idoneità per prestiti, impieghi governativi, abitazioni, prestazioni di trasporto e altro ancora.
Gli sforzi del Partito di esercitare il suo controllo all’interno della Cina sono più conosciuti dei loro corrispettivi all’esterno dello Stato. Di nuovo: l’insicurezza e l’ambizione camminano sullo stesso binario. I leader cinesi hanno intenzione di mettere in atto una versione moderna del sistema tributario che gli imperatori cinesi usavano per stabilire la loro autorità sugli Stati vassalli. Sotto quel sistema, i regni potevano avere scambi commerciali e godere di una pace con l’Impero Cinese in cambio di sottomissione. I leader cinesi non nascondono mai quest’ambizione. Nel 2010, il ministro degli Esteri cinese ha effettivamente detto ai suoi omologhi in una riunione dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico: “La Cina è un grande paese e voi siete piccoli paesi”. La Cina intende istituire un nuovo sistema tributario attraverso un enorme sforzo organizzato in base a tre politiche sovrapposte, con il nome di “Made in China 2025”, “Belt and Road Initiative”, e “Military-Civil Fusion”.
“Made in China 2025” è progettato per aiutare la Cina a diventare una potenza scientifica e tecnologica indipendente. Per raggiungere questo obiettivo, il Partito sta creando monopoli ad alta tecnologia all’interno della Cina e spogliando le società straniere della loro proprietà intellettuale tramite il furto e il trasferimento tecnologico forzato. In alcuni casi, le società straniere sono costrette a entrare in joint venture con società cinesi prima di poter vendere i loro prodotti in Cina. Queste società cinesi hanno per lo più stretti legami con il partito, rendendo di routine il trasferimento della proprietà intellettuale e delle tecniche di fabbricazione al governo cinese.
La “Belt and Road Initiative” richiede oltre 1 trilione di dollari in nuovi investimenti infrastrutturali nella regione indo-pacifica, in Eurasia e oltre. Il suo vero scopo è mettere la Cina al centro delle rotte commerciali e delle reti di comunicazione. Mentre l’iniziativa dapprima ha ricevuto un’accoglienza entusiasta da parte delle nazioni che hanno visto opportunità di crescita economica, molte di queste nazioni hanno presto capito che gli investimenti cinesi arrivavano con vincoli.
La Belt and Road Initiative ha creato un modello comune di clientelismo economico. Pechino offre innanzitutto prestiti ai paesi da parte di banche cinesi per progetti infrastrutturali su larga scala. Una volta che i paesi sono indebitati, il partito costringe i loro leader ad allinearsi con l’agenda della politica estera della Cina e l’obiettivo di eliminare l’influenza degli Stati Uniti e dei suoi partner chiave. Anche se i leader cinesi spesso descrivono questi accordi come vincenti, la maggior parte di loro ha un solo vero vincitore.
Per i paesi in via di sviluppo con economie fragili, Belt and Road crea una trappola del debito spietata. Quando alcuni paesi non sono in grado di ripagare i prestiti, la Cina scambia debito con capitale proprio per ottenere il controllo di porti, aeroporti, dighe, centrali elettriche e reti di comunicazione. A partire dal 2018, il rischio di sofferenza del debito era in aumento in 23 paesi con finanziamenti Belt and Road. Otto paesi poveri con finanziamenti Belt and Road – Pakistan, Gibuti, Maldive, Laos, Mongolia, Montenegro, Tagikistan e Kirghizistan – hanno già livelli di debito insostenibili.
Le tattiche della Cina variano in base alla forza o alla debolezza relativa degli stati target. Quando intraprendono progetti di investimento su larga scala, molti paesi con istituzioni politiche deboli soccombono alla corruzione, rendendoli ancora più vulnerabili alle tattiche cinesi.
In Sri Lanka, il presidente di lunga data e l’attuale primo ministro, Mahinda Rajapaksa, hanno contratto debiti ben oltre ciò che la sua nazione potrebbe sopportare. Accettò una serie di prestiti ad alto interesse per finanziare la costruzione cinese di un porto, sebbene non ne apparisse la necessità. Nonostante le precedenti assicurazioni sul fatto che il porto non sarebbe stato utilizzato per scopi militari, un sottomarino cinese attraccò lì lo stesso giorno della visita del Primo Ministro giapponese Shinzo Abe in Sri Lanka nel 2014. Nel 2017, a seguito del fallimento commerciale del porto, lo Sri Lanka è stato costretto firmare un contratto di locazione di 99 anni a un’impresa statale cinese in uno scambio di debito per equità.
La nuova avanguardia del Partito Comunista Cinese è una delegazione di banchieri e funzionari di partito con sacche da viaggio piene di soldi. La corruzione consente una nuova forma di controllo di tipo coloniale che si estende ben oltre le rotte marittime strategiche nell’Oceano Indiano e nel Mar Cinese Meridionale e altrove.
The “Military-Civil Fusion” policy is the most totalitarian of the three prongs
Nel 2014 e poi di nuovo nel 2017, il partito ha dichiarato che tutte le società cinesi devono collaborare alla raccolta di informazioni. “Qualsiasi organizzazione o cittadino”, recita l’articolo 7 della legge cinese sull’intelligence nazionale, “deve supportare, assistere e collaborare con il lavoro di intelligence dello Stato in conformità con la legge e mantenere i segreti del lavoro di intelligence nazionale al pubblico”. Le compagnie cinesi lavorano a fianco delle università e ricercano le armi dell’esercito popolare di liberazione. “Military-Civil Fusion” incoraggia le imprese statali e private ad acquisire società con tecnologie avanzate o una forte partecipazione di minoranza in tali società, in modo che le tecnologie possano essere applicate non solo per vantaggi economici ma anche militari e di intelligence. Accelera rapidamente le tecnologie rubate all’esercito in aree come spazio, cyberspazio, biologia, intelligenza artificiale ed energia. Oltre allo spionaggio e alla cybertheft da parte del Ministero della Sicurezza dello Stato, il partito incarica alcuni studenti cinesi negli Stati Uniti e in altre università e laboratori di ricerca stranieri con “extracting technology”.
Il cybertheft cinese è responsabile di quello che il generale Keith Alexander, ex direttore della National Security Agency, ha definito il “più grande trasferimento di ricchezza nella storia”. Il Ministero della Sicurezza dello Stato cinese ha utilizzato una squadra di hacking nota come APT10 per colpire aziende statunitensi nei settori finanziario, delle telecomunicazioni, dell’elettronica di consumo e medica, nonché nei laboratori di ricerca della NASA e del Dipartimento della Difesa, estraendo proprietà intellettuale e dati sensibili. Ad esempio, gli hacker hanno ottenuto informazioni personali, compresi i numeri di previdenza sociale, per oltre 100.000 membri del personale della marina statunitense.
L’esercito cinese ha utilizzato tecnologie rubate per perseguire capacità militari avanzate di vario genere e cacciare le società di difesa statunitensi fuori dal mercato. Il produttore cinese di droni Dà-Jiāng Innovations (DJI) ha controllato oltre il 70% del mercato globale nel 2017, grazie ai suoi prezzi bassi senza eguali. I suoi sistemi senza pilota sono persino diventati i droni commerciali più utilizzati dall’esercito americano fino a quando non sono stati banditi per motivi di sicurezza.
Lo spionaggio cinese ha successo in parte perché il partito è in grado di indurre la cooperazione, consapevolmente o inconsapevolmente, da individui, società e leader politici. Le aziende negli Stati Uniti e altre economie di libero mercato spesso non denunciano il furto della loro tecnologia, perché hanno paura di perdere l’accesso al mercato cinese, danneggiare le relazioni con i clienti o avviare indagini federali.
Il Partito Comunista Cinese ha anche perseguito una vasta gamma di sforzi di influenza al fine di manipolare i processi politici nelle nazioni target. In Australia e in Nuova Zelanda sono stati scoperti sofisticati sforzi cinesi per acquisire influenza all’interno delle università, corrompere politici e molestare la comunità della diaspora cinese affinché diventino sostenitori di Pechino.
III. Strategic Empathy
Gli americani, come ha osservato Hans Morgenthau molto tempo fa, tendono a vedere il mondo solo in relazione agli Stati Uniti e ad assumere che il corso futuro degli eventi dipenda principalmente dalle decisioni o dai piani degli Stati Uniti o dall’accettazione da parte degli altri del nostro modo di pensare. Il termine giusto per questa tendenza è “narcisismo strategico” e sta alla base delle assunzioni di lunga data che ho citato in precedenza: ad esempio che una maggiore integrazione della Cina nell’ordine internazionale avrebbe avuto un effetto liberalizzante sul paese e avrebbe alterato il suo comportamento nel mondo.
Ma c’è un altro modo di pensare rispetto al comportamento dei Paesi: si chiama “empatia strategica”. Secondo lo storico Zachary Shore, l’empatia strategica implica cercare di capire come il mondo guarda agli altri e come queste percezioni, così come le emozioni e le aspirazioni, influenzano le loro politiche e azioni. Una prospettiva di empatia strategica, tenendo conto della storia e dell’esperienza, porta a una serie molto diversa di ipotesi sulla Cina, che è confermata dai fatti.
Il Partito Comunista Cinese non liberalizzerà la sua economia o la sua forma di governo. Non giocherà secondo le regole internazionali comunemente accettate – piuttosto, tenterà di minarle e alla fine sostituirle con regole più solidali con gli interessi della Cina. La Cina continuerà a combinare la sua forma di aggressione economica, comprese le pratiche commerciali sleali, con una sostenuta campagna di spionaggio industriale. La Cina continuerà a cercare il controllo di posizioni geografiche strategiche e stabilire aree esclusive di primato.
Qualsiasi strategia per ridurre la minaccia delle politiche aggressive della Cina deve basarsi su una valutazione realistica di quanta influenza hanno gli Stati Uniti e le altre potenze esterne sull’evoluzione interna della Cina. L’influenza di quei poteri esterni ha limiti strutturali, perché il Partito non abbandonerà le pratiche che ritiene cruciali per mantenere il controllo. Ma abbiamo strumenti importanti, non solo il potere militare e la politica commerciale.
Per prima cosa, quelle “liberali occidentali” che i cinesi vedono come punti deboli sono in realtà punti di forza. Il libero scambio di informazioni e idee è uno straordinario vantaggio competitivo, un grande motore di innovazione e prosperità. (Uno dei motivi per cui Taiwan è considerata una tale minaccia per la Repubblica Popolare è perché fornisce un esempio su piccola scala ma potente di un sistema politico ed economico di successo che è libero e aperto piuttosto che autocratico e chiuso.) Libertà di stampa e libertà di espressione, combinate con la solida applicazione dello stato di diritto, hanno messo in luce le tattiche commerciali predatorie della Cina diversi Paesi, e hanno dimostrato che la Cina è un partner inaffidabile. La diversità e la tolleranza nelle società libere e aperte possono essere indisciplinate, ma riflettono le nostre aspirazioni umane più basilari e hanno anche un senso pratico.
Senza un effettivo respingimento da parte degli Stati Uniti e di nazioni affini, la Cina diventerà ancora più aggressiva nel promuovere la sua economia statalista e il modello politico autoritario. Per quanto mi riguarda, la visita di Stato a Pechino – e l’esposizione alla potente combinazione di insicurezza e ambizione della Cina – hanno rafforzato la mia convinzione che gli Stati Uniti e le altre nazioni non debbano più aderire a una visione della Cina basata principalmente sulle aspirazioni occidentali. Se competiamo in modo aggressivo, possiamo essere fiduciosi. Il comportamento della Cina sta galvanizzando l’opposizione tra i Paesi che non vogliono essere Stati vassalli. Internamente, l’inasprimento del controllo sta anche suscitando opposizione. La spavalderia di Li Keqiang e di altri funzionari potrebbe essere intesa a evocare l’idea della Cina come sovrana di “tutto quel che sta sotto il cielo”, ma molti sotto il cielo non sono e non devono essere d’accordo.
H. R. McMaster
Tenente generale in pensione dell'esercito USA, è stato consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca con Donald Trump. Autore di Battlegrounds: The Fight to Defend the Free World and Dereliction of Duty: Lyndon Johnson, Robert McNamara, the Joint Chiefs of Staff e the Lies That Led to Vietnam. Nato a Philadelphia. Autore di numerosi saggi.
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