Comprendere e analizzare storicamente la figura di Saddam Hussein è utile per capire la contemporaneità e le sfide dell’Iraq di oggi. Nella sua ultima pubblicazione, l’Ambasciatore Domenico Vecchioni analizza la vita, la storia e la megalomania del dittatore iracheno. “Sangue e terrore a Baghdad” è il titolo della pubblicazione (edita da Greco&Greco) dove l’ambasciatore Vecchioni descrive la repressione dei musulmani sciiti, il tentato genocidio dei curdi/iracheni e la politica particolarmente cruda del dittatore.

Con tale pubblicazione si vuol mostrare la dittatura del rais in tutta la sua crudeltà e cinismo, ricordando le sofferenze e i lutti subiti dal popolo iracheno. Ma conoscere anche l’uomo Saddam nelle sue vesti di marito, padre, amante e capo clan.

Il libro dell’Ambasciatore, presentato alla manifestazione “Più libri, più liberi” di Roma

Di “Sangue e terrore a Baghdad”: con l’Ambasciatore Domenico Vecchioni e l’Ambasciatore Maurizio Melani, vice presidente del Circolo di Studi Diplomatici, se ne parla a Roma, sabato 9 dicembre, presso il Roma Convention Center – La Nuvola, durante la Fiera “Più Libri, più Liberi”.

Nel trattato, l’Ambasciatore riprende anche aspetti poco conosciuti della storia di Saddam, come il trattamento subito dalla comunità ebraica dell’Iraq. Nel 2003, gli ebrei di origine irachena, discendenti dai 120mila che fuggirono in massa dall’Iraq nel 1948 dopo la fondazione dello Stato ebraico, guardarono con estremo interesse alle sorti dell’Iraq. Nessuno in Israele seguì l’invasione americana dell’Iraq con più passione di loro. Tra le varie rappresaglie di Saddam nei confronti del popolo ebraico, si pone l’episodio svoltosi durante la guerra del golfo del 1991, quando l’Iraq lanciò 39 missili Scud a testata convenzionale contro Israele, la maggior parte dei quali colpì un popoloso sobborgo di Tel Aviv, Ramat Gan, il quartiere degli ebrei iracheni.

Ma è all’arrivo di Saddam alla vicepresidenza del paese nel 1973, che si apre uno dei capitoli più oscuri della storia degli ebrei dell’Iraq, con arresti, condanne e ricatti per i 2mila ebrei presenti allora nel paese, sospettati di essere al servizio dei servizi segreti israeliani.

All’arrivo al potere del partito Baath, le misure discriminatorie nei confronti delle poche migliaia di ebrei non ancora fuggiti diventano sempre più severe: non hanno più il diritto di vendere i propri beni, devono utilizzare un documento discriminatorio di riconoscimento di colore giallo e vengono congelate tutte le loro transazioni immobiliari. Dal 1969 in poi, sono tantissimi gli ebrei in Iraq rapiti e fatti scomparire nel nulla. Rimane miracolosamente in piedi una sola sinagoga nel quartiere ebreo di Baghdad. Ma scomparirà anche quel simbolo di religiosità ebraica.

Nel 1996 muore l’ultimo rabbino. Dopodiché il partito Baath e Saddam Hussein possono affermare di aver sradicato e annientato un’intera comunità in Iraq, espressione della più antica diaspora ebraica.

 

di Domenico Letizia, Istituto di Ricerca di Economia e Politica Internazionale