Il discorso di Donald Trump davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tocca tutti i temi caldi su cui è intervenuta negli ultimi anni l’Amministrazione americana. Il presidente inizia rivendicando i meriti di un’economica che è tornata a galoppare soprattutto nel settore manifatturiero, ma l’aula gremita di leader e delegati sembra non prendere troppo sul serio i toni trionfalistici delle parole di The Donald e reagisce con una fragorosa risata che prende di sorpresa anche l’oratore.

Superato il momento di malcelato imbarazzo si passa ai temi della politica estera con la soddisfazione espressa per il miglioramento delle relazioni con la Corea del Nord. Il presidente americano ringrazia esplicitamente il leader Kim Jong Un per l’apertura al dialogo ma chiarisce che le sanzioni resteranno fino alla completa denuclearizzazione della penisola coreana. I toni improvvisamente cambiano quando il discorso cade sul Medio Oriente e la narrazione diventa più aggressiva e esplicitamente schierata: la “terribile dittatura” che governa l’Iran è il nemico da abbattere.

 

 

L’attacco è frontale e non risparmia nessuno: i leader iraniani sono corrotti e si arricchiscono alle spalle del popolo, le risorse dello stato sono utilizzate per finanziare terroristi che combattono per destabilizzare i paesi vicini e imporre il loro credo oscurantista. Il tentativo di isolamento della Repubblica Islamica diventa poi sempre più esplicito nella chiamata a raccolta degli stati del Golfo nell’ottica di un ridimensionamento della crescente influenza iraniana nel processo di stabilizzazione dell’area. Trump non nomina la Russia e evita di menzionare che l’allenza che unisce Mosca e Tehran ho incassato i maggiori successi nella pacificazione della Siria.

Poche sorprese, dunque; il discorso chiarisce in modo netto da che parte voglia collocarsi la politica americana rinsaldando i legami con le petromonarchie del Golfo e Israele. L’Iran è nel mirino.