Il 16 marzo il gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Corea del Nord ha diffuso un nuovo rapporto che rende noti i nomi delle persone e delle società responsabili di aver violato il regime di sanzioni imposte a Pyongyang. Sette individui, per la maggior parte di nazionalità nordcoreana, e tre società del Sudest asiatico sono state reputate colpevoli di aver fornito supporto finanziario ai servizi segreti nordcoreani e di aver permesso l’esportazione di prodotti di lusso nel Paese. Il report indica società di facciata nordcoreane impiegate nella vendita di armi e attrezzature militari all’estero.

Nel documento di quasi 300 pagine l’Italia compare più di una volta. In primo luogo, per aver venduto vini e vermut, probabilmente per assecondare i capricci del dittatore Kim Jong-un, pari a 46,992 dollari, tra i mesi di luglio 2016 e febbraio 2017, in aperta violazione del bando in vigore. Non solo, nel documento riemerge il nome di Kim Su Gwang, un ex dipendente del Programma Alimentare Mondiale dell’ONU (World Food Programme), già conosciuto per aver usato il suo incarico di funzionario a Roma come copertura per l’attività di agente segreto alle dipendenze del giovane Kim.

 

Affari e movimenti sospetti di Kim Su Gwang

Il quotidiano Il Foglio aveva pubblicato un articolo su Kim Su Gwang già tre anni fa, mentre altri particolari sul conto della spia erano emersi grazie a un’inchiesta de La Repubblica. L’ultimo report delle Nazioni Unite riferisce che Kim Su Gwang ha continuato ad avere proprietà e almeno un conto in banca attivo in Italia nonostante dal 23 gennaio 2015 non lavorasse più per la FAO. L’ufficiale del Reconnaissance General Bureau, i servizi segreti nordcoreani con cellule sparse in ogni parte del mondo, aveva visto i suoi beni congelati in Francia nel gennaio 2014 insieme a quelli di suo padre Kim Yong Nam e di sua sorella Kym Su Gyong, entrambi agenti dei servizi segreti nordcoreani infiltrati in organizzazioni internazionali.

In particolare, Kim Yong Nam, omonimo del fratellastro di Kim Jong Un ucciso nel 2017, ha lavorato come funzionario dell’Unesco a Parigi, mentre Kym Su Gyong è a capo delle relazioni internazionali della Korean United Development Bank, banca con sede a Pyonyang che figura nel programma di sviluppo dell’ONU. La spia Kim Su Gwang aveva tentato di disperdere le proprie tracce facendosi chiamare in diversi modi: Kim Sou-gwang, Son-kwang Kim, Kim Son-gwang, Kim Su-kwang, Kim Sou Kwang, e per tutto il periodo in cui ha abitato a Roma, dal 13 agosto del 2003 al 17 gennaio del 2015, ha goduto di privilegi simili a quelli previsti per il personale diplomatico. Dodici anni in cui l’agente segreto ha fatto il doppio gioco muovendosi liberamente in Europa.

 

Gli interessi a Roma della spia nordcoreana

Il panel di esperti ha analizzato le transazioni avvenute per conto di Kim Su Gwang attraverso due importanti istituzioni finanziarie italiane. Secondo il rapporto, Kim Su Gwang ha aperto almeno sei conti bancari in Italia utilizzando vari nominativi: quello del padre, della madre, della sorella e della moglie. Su questi conti venivano accreditati lo stipendio di Kim e la pensione che il padre riceveva dalle altre organizzazioni internazionali per cui aveva lavorato. Versamenti avvenuti anche dopo il congelamento dei beni che aveva predisposto la Francia nel gennaio del 2014. L’indagine ha dimostrato che da questi conti correnti veniva prelevato denaro contante non solo a Roma, ma anche a Pechino, a Kuala Lumpur e a Mosca, spesso nella massima somma consentita in un unico prelievo.

Inoltre, allo stesso sportello bancomat venivano utilizzate carte diverse nel giro di pochissimi minuti. Una di queste carte di credito è stata usata per ritirare contanti a Shanghai e a Kuala Lumpur tra febbraio e marzo 2014, periodo che coincide con la presenza in Malesia di tre agenti segreti del Reconnaissance General Bureau, sospettati di aver portato via dal Paese in maniera illegale 450mila dollari in contanti, spesi poi per comprare biglietti aerei e valuta straniera.

Tutti questi conti sono stati chiusi ad eccezione di uno solo, quello a nome della moglie di Kim Su Gwang, Kim Kyong Hui, aperto a marzo 2014, due mesi dopo il congelamento dei beni disposto dalla Francia. Nel 2016 Kim Su Gwang agiva ancora indisturbato a Roma. Nel report vengono menzionati due contratti di affitto di quattro anni ciascuno che iniziavano rispettivamente a febbraio e a novembre di quell’anno, sottoscritti dallo stesso Kim. Per gli investigatori dell’ONU, i due appartamenti romani potrebbero essere stati subaffittati ad altri cittadini della Corea del Nord.

Nella fitta rete degli interessi illegali di Kim è finita quindi anche l’Italia. Resta da capire perché una spia nordcoreana, cancellata dal protocollo diplomatico del ministero degli Esteri italiano e licenziata dalla FAO a seguito di un’indagine interna, abbia potuto continuare a vivere nella capitale e ad avere conti correnti attivi nel nostro Paese.