Il popolo di El Salvador si prepara a eleggere il nuovo Presidente con un voto che potrebbero rompere il bipartitismo che domina il Paese da quasi trent’anni.

1. DALLA GUERRA A UN (FIN TROPPO) SOLIDO BIPARTITISMO

Il passato della piccola Repubblica mesoamericana di El Salvador, al pari di molti suoi vicini come il Nicaragua e il Guatemala, è caratterizzato da instabilità e violenza politica. Dopo essere stato per tutto il XIX secolo una repubblica oligarchica, dominata dalla nobiltà latifondista del caffè, El Salvador ha conosciuto una violenta dittatura militare dal 1931 fino quasi alle soglie del 2000. Inoltre, le disuguaglianze sociali e le tensioni internazionali della Guerra Fredda hanno portato allo scoppio di un brutale conflitto civile, che ha insanguinato il Paese dal 1979 al 1992. La guerra, che ha visto contrapposti il Governo militare sostenuto dagli Stati Uniti di Reagan e il FMLN (Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional) appoggiato da Cuba e dall’Unione Sovietica, ha causato la morte di circa 80mila persone e ha lasciato il Paese devastato.
Dopo i tragici eventi della guerra civile, la Repubblica ha sviluppato un solido sistema bipartitico con a destra il partito ARENA (Alianza Republicana Nacionalista), di stampo conservatore e liberista, e a sinistra il FMLN, che dopo il conflitto ha abbandonato le posizioni più marxiste ed estreme per diventare una formazione socialista e progressista. I due partiti hanno guidato il Paese senza interruzioni, dividendosi quasi equamente i mandati (fino al 2009 ha governato l’ARENA, anno in cui è stato sconfitto dal FMLN ancora in carica), assicurando al Paese un periodo di pace e stabilità politica. Come rovescio della medaglia, tuttavia, questa situazione ha portato a una forte polarizzazione dell’elettorato, a un generale scontento e a una diffusa sfiducia a causa dei frequenti episodi di clientelismo. Di conseguenza le elezioni salvadoregne sono caratterizzate da anni da un elevatissimo tasso di astensione, che in occasione delle ultime elezioni legislative del 2018 è arrivato a sfiorare la soglia del 70%.

Fig. 1 – Salvador Cerén, attuale Presidente di El Salvador

2. I PARTITI IN LIZZA

Nella campagna verso le prossime elezioni, che si terranno il 3 febbraio, questo solido bipartitismo è tuttavia insidiato dalla presenza di un terzo concorrente, il GANA (Gran Alianza por la Unidad Nacional). Il partito, con idee di centrodestra, è stato fondato solo nel 2010, ma già da subito si è dimostrato piuttosto dinamico, riuscendo a raggiungere l’11% dei voti nelle elezioni del 2013, risultato replicato nel 2018. Negli ultimi anni il GANA ha saputo raccogliere i consensi di molti scontenti, minacciando da vicino il predominio di ARENA e FMLN: secondo gli ultimi sondaggi, infatti, il partito GANA risulterebbe vincitore delle elezioni già al primo turno, con oltre il 50% dei voti, seguito da ARENA (20%) e FMLN (10%).
Il candidato del GANA è Nayib Bukele, politico di soli 37 anni con alle spalle una movimentata storia: dopo aver iniziato la carriera nel FMLN ed essere diventato Sindaco della capitale San Salvador, nel 2017 è stato espulso dal partito perché accusato di non rispettarne più i principi. Nel 2018 è poi approdato nel GANA, vincendo le primarie interne e candidandosi a Presidente. I suoi rivali sono Carlos Calleja di ARENA, proprietario della principale catena di supermercati del Paese, e l’ex ministro degli Esteri Hugo Martínez del FMLN.

Fig. 2 – Il candidato Bukele quando era Sindaco di San Salvador

3. LE SFIDE DEL PAESE

Chiunque sarà il nuovo Presidente dovrà fin da subito affrontare le gravi questioni che affliggono il Paese, in primis l’economia. Nonostante il tasso di crescita costante del 2% degli ultimi anni e un sistema industriale relativamente strutturato, El Salvador rimane un Paese poco sviluppato, in cui una delle principali fonti di ricchezza è costituita dalle rimesse dall’estero (che ammontano a circa il 17% del PIL). Durante il proprio mandato il presidente FMLN Salvador Cerén ha cercato di migliorare le condizioni di vita dei salvadoregni attuando una serie di politiche espansive in campo economico e sociale e rendendosi protagonista di alcune decisioni rivoluzionarie, come per esempio il divieto allo sfruttamento delle risorse del sottosuolo. Nonostante ciò un’alta percentuale della popolazione è impiegata nell’agricoltura (circa 20%) e un’ancora più alta fetta vive sotto la soglia di povertà (35%).
L’altro grande problema di El Salvador è rappresentato dalle bande criminali, le cui brutali attività gli hanno conferito il triste primato del Paese con il più alto tasso di omicidi al mondo. La povertà e la violenza sono tra le principali cause dell’elevata emigrazione, soprattutto verso gli USA, dove i salvadoregni sono 1,4 milioni (la seconda comunità centroamericana più popolosa dopo quella messicana). Proprio questa presenza è stata recentemente bersaglio delle politiche anti-immigrazione del presidente Trump, il quale ha annunciato la fine della protezione temporanea accordata ai salvadoregni nel 2001. La misura, che prevederebbe l’espulsione di circa 200mila immigrati da El Salvador, avrebbe conseguenze estremamente gravi per il fragile sistema socio-economico del Paese: scongiurare questa eventualità sarà di certo una delle priorità del nuovo Presidente.

Umberto Guzzardiil