Kim Jong-yang, 57 anni, è il primo sudcoreano eletto a capo dell’Interpol, l’Organizzazione internazionale della Polizia Criminale con sede a Lione, in Francia. La sua elezione è arrivata durante la riunione dell’Assemblea generale che ha avuto luogo in un hotel di Dubai lo scorso 21 novembre tra le delegazioni di 192 Paesi. Quasi sconosciuto in Corea del Sud, Kim Jong-yang era già stato nominato capo ad interim dopo le dimissioni del cinese Meng Hongwe, il suo mandato terminerà nel 2020, quando sarebbe dovuto scadere quello del suo predecessore. Kim ha lavorato per la polizia sudcoreana per più di 20 anni, dal 1992 al 2015, quando si è ritirato. È stato capo della polizia nella provincia di Gyeonggi, la più popolosa della Corea del Sud, e ha ricoperto incarichi di rilievo nel settore degli affari internazionali, tra cui anche capo del Foreign Affairs Bureau all’interno della Korean National Police Agency (KNPA). Nel 2015 aveva assunto la vicepresidenza dell’Interpol dopo esservi entrato nel 2012. Prima di lavorare per la polizia sudcoreana, fresco di laurea in gestione aziendale, per un breve periodo di tempo fu anche segretario del Ministero dei Trasporti di Seoul. Il nome di Kim Jong-yang è legato a doppio filo con gli sforzi del governo sudcoreano di esportare in altri Paesi le tecniche di polizia sperimentate in patria per mantenere l’ordine pubblico. La contestata strategia è nota come “K-cop wave” e comprende tecniche come l’uso di cannoni ad acqua e spray urticanti da usare contro i civili. Dal 2005, come ricorda l’Economist, la polizia sudcoreana ha ricevuto almeno 1000 ufficiali da 69 Paesi, dal Niger all’Indonesia, per seguire corsi di formazione. Nel 2018 quasi 300 poliziotti sudcoreani verranno mandati all’estero. Durante gli anni Ottanta la polizia sudcoreana sedò le proteste pro democrazia molto duramente provocando centinaia di morti e facendo ricorso a tecniche come il waterboarding durante gli interrogatori.

L’elezione di Kim Jong-yang ha sedato le polemiche che si sono protratte per giorni soprattutto tra Usa e Russia su chi dovesse succedere a capo dell’Interpol, nonostante si tratti di una carica meno influente di quella di segretario generale. Kim ha battuto il candidato russo Alexander Prokopchuk che dopo le dimissioni del cinese Meng Hongwe era stato indicato come suo possibile successore alla guida dell’organizzazione, non senza scatenare un coro di critiche e di proteste. Contro l’elezione di Prokopchuk si erano infatti scagliati Stati Uniti, Regno Unito e diverse nazioni occidentali, che continuano a contestare in maniera evidente l’abuso di strumenti quali il sistema del “Red Notice” da parte dei governi autoritari per perseguire dissidenti e oppositori politici. A fare largo uso di questo sistema sarebbero in primo luogo Cina e Russia. L’elezione del nuovo capo del corpo di polizia criminale internazionale era stata necessaria dopo la strana sparizione di Meng in Cina e l’accusa di corruzione rivolta contro di lui da Pechino che avrebbe preferito così sbarazzarsi dell’ex capo dell’Interpol. Prokopchuk, generale del Ministero dell’Interno russo e vicepresidente dell’Interpol, avrebbe sostenuto questo tipo di politiche persecutorie verso gli oppositori del Cremlino, dunque la sua sconfitta è stata accolta in maniera favorevole in particolare dal ministro dell’Interno ucraino che subito dopo la conferenza di Dubai ha twittato: “Il candidato russo è stato scartato, la battaglia è vinta”. L’Ucraina aveva anche minacciato di lasciare l’Interpol se fosse stato eletto Prokopchuk, avvertimento arrivato anche dalla Lituania. Per il Cremlino, l’elezione del sudcoreano è una sonora bocciatura. Peskov, portavoce dell’ufficio di presidenza russo, ha parlato di interferenze nel voto da parte di Washington e più in generale da parte dell’Occidente, mentre il Ministero dell’Interno russo ha accusato i media stranieri di aver messo in piedi una campagna diffamatoria contro il candidato russo.

Due oppositori di Vladimir Putin, il finanziere anglo-americano Bill Browder e l’ex signore del petrolio Mikhail Khodorkovsky finito in una prigione di Mosca per 10 anni e ora in esilio a Londra, hanno chiesto che la Russia venga temporaneamente sospesa dall’Interpol a causa della violazione sistematica delle regole di organizzazione della polizia criminale internazionale. Il caso di Browder è emblematico e basterebbe a dimostrare l’abuso da parte di Mosca del meccanismo dei mandati di arresto internazionale contro i dissidenti politici. Arrestato in Spagna nel 2018 e rilasciato dopo sole due ore dalla polizia locale, Browder è stato preso di mira sei volte dalla Russia attraverso i mezzi dell’Interpol. Oggetto Red Notice per volere di Mosca, Browder ha detto che l’elezione di Prokopchuk avrebbe permesso a Putin di “estendere i suoi tentacoli in ogni angolo del globo”. Nel 2012 il finanziere si era battuto perché gli Stati Uniti imponessero sanzioni contro gli ufficiali russi coinvolti nella morte del consulente fiscale Sergei Magnitsky, deceduto in prigione nel 2009 in fase di pre dibattimento e in seguito a un’accusa di frode fiscale. Browder era riuscito ad ottenere che il Congresso americano emanasse una legge, chiamata Magnitsky Act, volta a limitare l’ingresso negli Stati Uniti dei cittadini russi accusati di violazioni dei diritti umani. I tribunali russi lo hanno condannato per due volte a nove anni di carcere per frode, evasione fiscale e bancarotta. Secondo il finanziere, il Cremlino lo vorrebbe in cella perché avrebbe svelato il furto di fondi statali da parte di alti funzionari del governo russo.