Il 3 luglio i leader dei partiti europei di estrema destra hanno firmato un patto per confederarsi e presentarsi all’europarlamento come un nuovo soggetto politico. Tra i firmatari ci sono gli italiani Matteo Salvini della Lega e Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. Mentre tra le figure politiche più note del resto d’Europa figurano Marine LePen, Santiago Abascal di Vox e Viktor Orban di Fidesz. A quest’ultimo viene dedicato un originale ritratto in Leaders. I volti del potere mondiale, a cura di Luciano Tirinnanzi per Paesi Edizioni. Eccone un estratto.
Era il primo gennaio 2012 quando la nuova, e subito contestata, Costituzione ungherese entrava in vigore. I segnali di una svolta «autoritaria» in Ungheria – così com’è stata definita da molti osservatori internazionali – c’erano già tutti: la nuova legge fondamentale ha ristretto di fatto la separazione dei poteri dello Stato, inserito una legge elettorale anti-partiti, escluso i matrimoni omosessuali, aumentato i poteri di polizia. Ma, soprattutto, ha eliminato la dicitura «Repubblica» accanto alla parola «Ungheria».
Il tutto è opera di Viktor Orbán, premier nonché leader del partito nazional populista Fidesz e dominus della politica del Paese piò o meno da vent’anni. Forte di una maggioranza assoluta in parlamento, Orbán è riuscito a completare il suo disegno già nel 2013, facendo approvare all’organo legislativo un pacchetto di emendamenti alla nuova Costituzione. A ciò sono seguite una serie di affermazioni elettorali che hanno visto crescere Fidesz fino a ottenere risultati plebiscitari, come ha dimostrato il voto alle elezioni europee, quando il partito del premier ha conquistato il 52% delle preferenze. Ma i segnali dell’affermazione c’erano già dal 2014, quando l’Ungheria ha visto crescere in maniera esponenziale la destra estremista e xenofoba: i conservatori hanno raggiunto in quell’occasione una maggioranza di due terzi nel Parlamento, mentre l’estrema destra xenofoba e antisemita del partito Jobbik («i migliori») ha superato il 20% dei voti.
Nato il 31 Maggio 1963 nel piccolo villaggio ungherese di Alcsútdoboz da una famiglia calvinista,Viktor Orbán è il maggiore dei tre figli dell’imprenditore e agronomo Gyozo Orbán, e della logopedista Erzsébet Sípos. Si forma come avvocato all’università di Budapest e successivamente studia storia della filosofia politica liberale inglese a Oxford, in Inghilterra. Fondatore del partito liberale Fidesz («Alleanza dei Giovani Democratici»), la sua carriera politica comincia con la caduta del muro di Berlino: è il 16 giugno 1989 quando il futuro capo del governo chiede pubblicamente il ritiro delle forze sovietiche e lo svolgimento di libere elezioni. Anche se all’età di quindici anni è già segretario dell’organizzazione giovanile comunista KISZ, tuttavia il suo credo politico è di ben altro stampo. E, del resto, l’appartenenza alla KISZ è obbligatoria per poter essere ammesso all’università.
Divenuto poi primo ministro nel 1998 e riconfermato nel 2002, è tornato alla guida del- l’Ungheria a partire dal 2010, quando Fidesz e i suoi alleati cristiano-democratici hanno riconquistato la maggioranza assoluta. Nel dicembre 2011, la sua maggioranza in parlamento ha approvato una nuova legge elettorale controversa, che ha dimezzato il numero dei parlamentari e ridisegnato la mappa delle circoscrizioni elettorali. Cosa che gli ha garantito la rielezione anche nel 2014.
Sposato e padre di cinque figli, lo appassionano il calcio e la politica autoritaria di stile putiniano. Fatto, questo, che lo ha progressivamente avvicinato al Cremlino e parallelamente allontanato dall’Unione Europea, di cui oggi non condivide gran parte delle scelte, specie in materia di migranti. Aspramente critico sulle sanzioni contro Mosca, Orbán non è nuovo a scontri con l’Unione Europea, anche se fino al 2013 aveva sempre fatto un passo indietro di fronte alle pressioni da parte di Bruxelles. Un atteggiamento prudente che, alla fine, gli ha garantito un dialogo costruttivo e il permanere di Fidesz nel gruppo parlamentare del Ppe. Ovvero quel Partito Popolare Europeo che ancora oggi domina il panorama politico dell’Unione, ma che nel marzo 2019 aveva sospeso il partito di Orbán dal gruppo che siede nel Parlamento comunitario (un compromesso per evitarne l’espulsione), in ragione dei suoi attacchi virulenti contro il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, e contro il connazionale George Soros, finanziere e magnate da sempre nel mirino dei sovranisti. Sovranisti che in Viktor Orbán riconosce il loro più fulgido simbolo di affermazione di quelle idee altrimenti definite «populiste».
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Leaders. I volti del potere mondiale
a cura di Luciano Tirinnanzi
Redazione
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