Kim Jong un è solito rilasciare il tradizionale discorso di Capodanno da un podio situato nel mezzo di un’assemblea, quest’anno invece il leader nordcoreano è apparso seduto in poltrona in uno dei suoi uffici con addosso un abito in stile occidentale e una cravatta. Tutto questo dovrebbe dare l’impressione di un uomo cosmopolita e riflettere il rango di potenza nucleare capace di colpire obiettivi americani raggiunto dalla Corea del Nord, conferendo alle sue parole maggiore peso e credibilità. Nel messaggio registrato, durato in totale 21 minuti, Kim non ha sorpreso più di tanto. Dopo aver ringraziato la nazione e aver ricordato alcuni dei progetti economici avviati durante l’anno precedente, il giovane leader ha reiterato la propria volontà a denuclearizzare la penisola coreana, a congelare il programma nucleare e ha invitato ancora una volta a una maggiore collaborazione gli Stati Uniti e la Corea del Sud. Kim ha anche detto di essere pronto a incontrare di nuovo il presidente americano nel prossimo futuro. Trump ha risposto di essere disponibile a un nuovo meeting e durante una riunione di gabinetto ha aggiunto di aver ricevuto “una gran bella lettera da Kim”, sventolando un pezzo di carta. Il Capo della Casa Bianca ha anche vantato numerosi progressi con la Corea del Nord sia nel dialogo con Kim sia nell’ottica della denuclearizzazione e nel suo stile ha detto: «Se al posto di questa, ci fosse stata un’altra Amministrazione, avremmo avuto una simpatica e grossa guerra in Asia». Lo scorso mese Trump aveva affermato che un eventuale nuovo summit con Kim poteva tenersi a gennaio o a febbraio, ma al momento non ci sono date.

Al di là del tono conciliativo di Kim e nonostante l’ottimismo mostrato da Trump, il passaggio più rilevante dell’intero discorso conteneva un avvertimento diretto a Washington, i cui negoziati con Pyongyang ancora faticano a uscire dal vicolo cieco imboccato intorno al punto cruciale della denuclearizzazione. Kim ha affermato: «Se gli Stati Uniti non manterranno le promesse e continueranno con le sanzioni, non avremmo altra scelta, per amore dell’interesse nazionale e per difendere la stabilità e la pace della penisola, che intraprendere altre strade». Ad una prima valutazione tale dichiarazione potrebbe far pensare che la Corea del Nord sia pronta a riprendere i test nucleari e a tornare a minacciare gli Stati Uniti, ma nessuna di queste iniziative suona come nuova. Al contrario, le “nuove strade” che Kim valuta potrebbero comprendere una volontà a sganciarsi dagli Usa, ad affidarsi ancora di più alla Cina e a portare avanti i negoziati con la Corea del Sud. Nessuna di queste ipotesi sarebbe facile da praticare in primo luogo uno sganciamento da Washington è poco probabile e anche perché Pyongyang non vuole essere troppo dipendente dalla Cina. La Cina stessa difficilmente appoggerebbe la Corea del Nord, garantendo protezione e aiuto economico, senza far sentire la propria ingerenza. Su questo discorso di Kim, inoltre, potrebbe aver avuto qualche ruolo l’arresto in Canada del direttore finanziario del colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei. I consiglieri di Kim a Pyongyang potrebbero aver interpretato gli attuali rapporti sino-americani a una situazione di guerra fredda. A bene vedere, dunque, nulla pare troppo nuovo, la Corea del Nord sembra giocare tra due grandi potenze e potrebbe usare il dialogo difficile ma non interrotto con Washington per avere concessioni dai cinesi.

L’ostacolo a un accordo tra Usa e Corea del Nord sembra quindi sempre ancorato alla poca flessibilità degli americani, come il rifiuto all’annullamento delle sanzioni prima di avere da Kim passi concreti verso la completa denuclearizzazione. Tuttavia, è anche vero che i nordcoreani non hanno ancora fornito una lista completa delle armi e dei siti nucleari a disposizione del regime. La situazione di stallo nei colloqui dipende dal fatto che gli americani si sarebbero concentrati solo su uno degli obiettivi contenuti nella dichiarazione di Singapore, vale a dire: Washington ha sostanzialmente ignorato gli impegni volti a ridurre le tensioni militari e a stimolare i rapporti bilaterali ponendo tutta l’attenzione sul nodo della denuclearizzazione. Inoltre, l’annuncio di Trump del rapido ritiro, poi rimandato, di 2 mila militari dalla Siria e di uno parziale del contingente americano dall’Afghanistan non devono essere arrivati all’orecchio di Kim come messaggi positivi, vista la convinzione Usa a non richiamare neanche un soldato dalla Corea del Sud fintanto che perdurerà la minaccia.

A Kim non deve essere piaciuta la notizia di un’altra possibile e importante defezione. “Il maresciallo non sarà contento”, ha scritto Guido Olimpo riguardo il mistero dell’ambasciatore nordcoreano in Italia Jo Song-gil e di quella che definisce “un’altra apparente defezione di alto livello tra le fila dei funzionari di Pyongyang all’estero”.

Il diplomatico aveva lasciato l’ambasciata nordcoreana a Roma a fine novembre poco prima che intono al 20 dello stesso mese terminasse il suo mandato di “incaricato d’affari” in Italia, secondo quanto ha dichiarato un parlamentare della Corea del Sud citando fonti dell’intelligence di Seoul. Il quotidiano sudcoreano JoongAng Ilbo ha anticipato che il diplomatico 48 enne avrebbe fatto domanda di asilo per sé e per la famiglia in un Paese occidentale non meglio precisato. La richiesta di protezione sarebbe stata presentata a inizio dicembre, e adesso le autorità italiane starebbero proteggendo Jo Song-gil in “un luogo sicuro”, ha scritto ancora JoongAng Ilbo. La notizia ripresa da molte agenzie non ha trovato conferma da parte del governo di Seoul, mentre fonti del Ministero degli Esteri italiano, scrive Askanews, hanno fatto sapere che non risulta alcuna richiesta di asilo in Italia. Una seconda fonte della Farnesina avrebbe affermato che a fine 2018 la Corea del Nord aveva annunciato di voler inviare un altro funzionario a Roma al posto di Jo Song-gil, che aveva assunto le funzioni di ambasciatore in Italia in sostituzione di Mun Jong Nam, espulso in seguito al sesto test nucleare nordcoreano del settembre 2017.

I servizi di intelligence sudcoreani non avrebbero provato a contattare il funzionario e non avrebbero ricevuto alcuna informazione da lui negli ultimi due mesi, ha fatto sapere Yonhap. Nel 2015 a Jo Song-gil era stato permesso di portare in Italia la famiglia, caso raro per i funzionari di Pyongyang e forse tale concessione potrebbe dipendere dal fatto di appartenere a una famiglia privilegiata. Il National Intelligence Service, l’agenzia di intelligence della Corea del Sud, non ha dato alcuna conferma sul numero di figli al seguito del diplomatico e su quale Paese lo stia proteggendo. Resta da capire, ha scritto il sito specializzato in affari nordcoreani NK News, perché Jo Song-gil non abbia chiesto asilo al governo sudcoreano.