Il discorso di Mario Draghi al Senato

Nelle dichiarazioni programmatiche con le quali Mario Draghi ha chiesto la fiducia del Senato, sono stati toccati molti punti. 

Quello del Presidente del Consiglio è un discorso programmatico europeista e atlantista, rivolto ai giovani e alle donne, che guarda al piano vaccini e a come uscire dalla crisi socioeconomica dovuta all’emergenza del Covid-19.

Un “vaste programme” di riforme, perchè, come ha ricordato il Premier nell’introduzione citando Cavour: »Le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano».

E le riforme da portare a termine, anche perchè collegate al Next Generation EU, Draghi le ha enunciate in modo chiaro.

Sempre in apertura del discorso, Draghi, ha dato una definizione precisa su che tipo di governo presiederà:

Il mio è semplicemente il governo del Paese. Non ha bisogno di alcun aggettivo che lo definisca. Riassume la volontà, la consapevolezza, il senso di responsabilità delle forze politiche che lo sostengono alle quali è stata chiesta una rinuncia per il bene di tutti, dei propri elettori come degli elettori di altri schieramenti, anche dell’opposizione, dei cittadini italiani tutti […] Questo è lo spirito repubblicano del mio governo.

Per quanto riguarda la politica estera, l’ex Governatore della BCE si ispira all’atlantismo e all’europeismo, due veri e propri pilastri già dai tempi delle consultazioni con i partiti. Il richiamo ai valori europeisti è particolarmente forte quando dichiara quello dell’Euro: «un processo irreversibile, anzi da rafforzare con la creazione di un bilancio comune in sede UE».

Sottolineatura ovvia ma dovuta, visti i tentennamenti sul tema della reversibilità dell’euro da parte di un importante componente della sua maggioranza: Matteo Salvini. L’ex Ministro dell’Interno, infatti, siede ancora nel gruppo euroscettico nel Parlamento Europeo, in attesa di poter confluire nel PPE a settembre, quando la Merkel lascerà la Cancelleria.

Oltre alle riforme, Draghi ha anche individuato due importanti priorità da cui ripartire: il piano di vaccinazione e la scuola.

Il primo, comporta una sostanziale eliminazione della struttura organizzativa voluta dal Commissario Arcuri. In primis, i famosi padiglioni a forma di primula. Draghi ha detto abbastanza chiaramente: «Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private». Inoltre, sulla base dell’esperienza di reazione alla pandemia, il Presidente del Consiglio è intenzionato a realizzare un rafforzamento del Sistema Sanitario Nazionale, attraverso maggiori investimenti nella medicina territoriale.

Il secondo punto è la scuola. Oltre a una rivisitazione del calendario scolastico, si delinea una maggiore attenzione verso gli ITIS  e gli ITS. Lo scarso sviluppo in Italia degli ITS (che sono un percorso di studio terziario) è uno dei problemi che pesa sulle imprese, denunciato più volte sia da Confindustria che dai sindacati. Draghi, per ovviare al problema dello scarso utilizzo di questo tipo di istituti, prende a modello Francia e Germania, dove invece sono parte importante del sistema educativo.

Per quanto riguarda il piano di riforme, che si delinea come molto ambizioso, il Presidente del Consiglio ha sostenuto che sarà dedicata particolare attenzione ai giovani e alle future generazioni, visto che è proprio a tale scopo è stato messo inc ampo il piano Next Generation EU.

Uno dei temi toccati è stato quello del fisco e, usando parole di buonsenso, Draghi ha spiegato la propia visione del fisco, che è totalmente in antitesi con la visione del Conte II:

«Nel caso del fisco, non bisogna dimenticare che il sistema tributario è un meccanismo complesso, le cui parti si legano una all’altra. Non è una buona idea cambiare le tasse una alla volta. Un intervento complessivo rende anche più difficile che specifici gruppi di pressione riescano a spingere il governo ad adottare misure scritte per avvantaggiarli». Un intervento complessivo si pone in totale antitesi alla visione dei bonus a pioggia elargiti in precedenza.

Inoltre, risulta interessante il passaggio sui “gruppi di pressione”, soprattutto alla luce dell’inchiesta de “Il Riformista” tra M5S e Philip Morris.

Su come attuare una riforma del fisco, anche in questo caso, Mario Draghi guarda all’estero, precisamente alla Danimarca:

«la Danimarca, nel 2008, nominò una Commissione di esperti in materia fiscale. La Commissione incontrò i partiti politici e le parti sociali e solo dopo presentò la relazione al Parlamento. Il progetto prevedeva un taglio della pressione fiscale pari a 2 punti di Pil. L’aliquota marginale massima dell’imposta sul reddito veniva ridotta, mentre la soglia di esenzione veniva alzata». Ovviamente, la Danimarca non ha i livelli di evasione fiscale del nostro Paese, per cui, quando Draghi parli di “maggiore contrasto all’evasione”, è lecito immaginarsi che gli introiti derivati dalla lotta all’evasione vengano destinati a una riduzione delle aliquote e non a maggiore spesa pubblica.

Fra i vari modi per uscire dalla crisi socioeconomica dovuta alla pandemia, il nuovo Primo Ministro sostiene la fine del salvataggio pubblico delle “aziende zombie”, prevedendo una  riforma degli ammortizzatori sociali che ad oggi hanno creato una dicotomia fra chi ha molte protezioni e chi non ne ha nessuna.

«Il governo – ha detto Draghi – dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi». Questa nuova, almeno per l’Italia, ricetta economica, sarà un banco di prova per Alitalia e Ilva.

Infine, per quanto riguarda la politica estera, Draghi si è detto impensierito dall’attivismo cinese: «Seguiamo anche con preoccupazione l’aumento delle tensioni in Asia intorno alla Cina». Mostrando, soprattuto con questo passaggio, la netta cesura con le visioni in politica estera di Conte e di Di Maio. Sempre nel campo degli esteri, Draghi descrive «zone di interesse prioritario» per l’Italia, che sono: Libia, Mediterraneo Orientale, Balcani e Africa.

Proprio in questi giorni, a seguito del parziale disimpegno francese in opere di contrasto al terrorismo nell’Africa subsahariana, è arrivato in Mali un contingente italiano di circa 200 uomini, in accordo col cosidetto G5 Sahel.

Quello di Draghi è un programma di riforme molto vasto e ambizioso, per un governo che, presumibilmente, durerà un anno, ma Draghi ha tracciato la linea delle politiche da seguire anche oltre. Politiche a cui potrebbe legare un futuro Governo, magari nominato proprio da lui, nel caso dovesse succedere a Mattarella, una “Agenda Draghi” apartitica. Un’agenda a cui i partiti di maggioranza devono dare ampio sostegno, anche se non mancano i distinguo. In quest’ottica si vedono già alcuni segnali politici, in realtà di natura prettamente politico elettorale. Così va letto, ad esempio, l’intergruppo tra Pd,LeU e M5S, un primo campanello d’allarme per Draghi.