Lo scorso 2 luglio il Messico ha eletto il suo nuovo presidente. Si tratta di Andrés Manuel López Obrador, meglio conosciuto con l’acronimo OMLO, che già in passato aveva cercato senza alcun successo la leadership del paese.

Obrador trova la sua genesi politica negli anni ’70 in seno al PRI (Partido Revolucionario Institucional) uscendone poi sul finire degli anni ’80 per congiungersi alla sinistra del PRD (Partido de la Revolución Democrática). In questa formazione politica matura il proprio profilo ideologico fino ad aspirare alla presidenza nel 2006 e nel 2012. In entrambe le occasioni Obrador non raggiunge l’obiettivo pur andandoci vicinissimo. Infatti nel 2006 per manciata di voti viene sconfitto dal candidato PAN (Partido Autonomista Nacional) Felipe Calderón, al quale contesta il conteggio dei voti. Obrador per mesi si auto-legittima capo di un governo che non vedrà mai la luce istituzionale e che verrà ben presto spinto all’accettazione del seppur discutibile risultato elettorale.

Ma a seguito della sconfitta del 2012, che vedrà la vittoria del canditato PRI, Enrique Peña Nieto, Obrador abbandona il PRD e nel 2014 fonda il Movimiento Regeneración Nacional (Morena) che con il PT (Partido del Trabajo) e con Encuentro Social ha dato vita alla coalizione Juntos Haremos Historia oggi vittoriosa nelle elezioni presidenziali. Poco più del 53% dei voti per Obrador al suo terzo e ultimo (per sua stessa ammissione) tentativo di ascesa alla leadership del paese. Si rompe di fatti il dominio dei partiti che da oltre mezzo secolo amministrano indisturbati il paese: il PAN e il PRI. Il PAN già da diverso tempo in crisi ha cercato negli ultimi anni un rilancio mediante un’alleanza con il PRD. Un connubio tra destra e sinistra difficilmente assimilabile dall’elettorato e infatti il candidato di questa coalizione, Ricardo Anaya, pur piazzandosi al secondo posto raccoglie solo il 22,5% dei consensi. Un disastro annunciato invece quello del PRI che dai sei anni di presidenza di Nieto ne esce con una drastica flessione dei consensi: 16,4% per il candidato José Antonio Meade. Come detto a segnare questo risultato appaiono più gli insuccessi della classe politica che altro. Con Nieto forse si è toccato il fondo, ma la sconfitta del sistema politico ha radici nella storia a partire da quel desiderio di aprire completamente le proprie frontiere verso gli Stati Uniti. Gli anni ’90 hanno segnato la ratifica del NAFTA e con esso l’immediata impossibilità di ottemperare alle aspettative di un mercato interno che si è scoperto essere già completamente aperto verso il nord. Il NAFTA non faceva altro che formalizzare uno status quo che per il Messico ha sino ad ora voluto dire indirizzare ben oltre il 75% del proprio export nel mercato nordamericano con tutti rischi che ne conseguono da una mancata diversificazione dei propri partner commerciali. Una materia di cui per altro dovrà occuparsene proprio Obrador che rappresenta con il suo movimento nazionalista di sinistra una (sulla carta) netta rottura con quel passato iperliberista che ha segnato le sorti di un paese con un grande potenziale. Obrador come detto ha tra le mani l’incombenza di una nuova stesura dei contenuti del NAFTA, con gli Stati Uniti che premono deliberatamente per una ritrattazione in proprio favore o annullamento di ogni accordo di libero scambio. Obrador pertanto dovrà rimodulare gli accordi commerciali del Messico tenendo ben presente l’innalzamento di barriere commerciali da parte di Washington e allo stesso tempo del fiorire di nuove opportunità verso sud e ancor più verso ovest e quel mercato asiatico che per la manifattura messicana può rappresentare tanto un’opportunità quanto un pericolo. L’uscente Nieto ha anche segnato la propria presidenza con una inconcludente lotta alla criminalità e al narcotraffico. Indelebile nella memoria la scomparsa di 43 studenti a Iguala nel settembre 2014, ma non occorre andare così lontano per comprendere la gravità della situazione: queste elezioni nell’ultimo anno sono costate ben 133 persone per il semplice fatto di essere militanti politici, precandidati o candidati nelle varie circoscrizioni nazionali. Per non parlare del resto delle vittime del mercato della droga un business che vede coinvolto ben oltre il 60% delle municipalità del paese in un pericolo connubio tra politica e cartelli con questi ultimi che amministrano sia il traffico di persone al confine con gli Stati Uniti, sia i corridoi di smistamento della droga sintetica proveniente da paesi produttori quali Colombia, Perù, etc., sia la produzione e commercializzazione della marjuana. Paradosso dei paradossi è che questa struttura descritta (che si ripete arriva a gestire oltre il 60% dei municipi messicani) è la massima fonte di reddito e occupazione per un’ampia porzione della popolazione che è tenuta ai margini dalla vita economica attiva e lecita del paese. Ora toccherà a OMLO sradicare la corruzione dalla classe politica e trovare il metodo efficace ed efficiente utile ad abbattere il sistema capillare della narcodemocrazia. Intanto il neopresidente ha di recente affermato di voler anche istituire una commissione prettamente volta al conseguimento della verità sulle cause della scomparsa dei 43 studenti di Iguala, rivolgendo anche all’ONU una richiesta di aiuto al fine di far venire alla luce una volta per tutte la scomoda verità di quel 26 settembre 2014.

Ma per Obrador non finisce qui: proprio dalla sua propensione socialista e nazionalista ci si attende una concreta riforma del sistema scolastico e del settore energetico. L’istruzione ad oggi presenta delle barrire finanziarie in ingresso non indifferenti relegando l’apprendimento ad un vero e proprio business per pochi. Mentre dal punto di vista energetico occorrerà ottimizzare le risorse oggi non disponibili perché cedute in concessione a multinazionali straniere.

Tanti i temi all’ordine del giorno di un presidente che con tenacia ha ottenuto il suo obiettivo ovvero conseguire la leadership e che ora desidera ardentemente esser ricordato come un “buon presidente”. Ciò che ha ereditato però non è affatto un quadro idilliaco per un paese dal grande potenziale sia per collocazione geografica che per possibilità di sviluppo economico-produttivo. Vedremo quindi nei fatti se questa coalizione unita realmente riuscirà a scrivere la storia (Juntos Haremos Historia) e soprattutto vedremo se Obrador rispetterà la promessa di fare con e per il popolo senza tradire proprio quell’elettorato che è stato determinante per la sua vittori ovvero le nuove generazioni che nulla hanno da chiedere all’oligarchia corrotta che sino ad oggi ha smantellato il futuro del paese.