Prima tappa di quest’evento politico cruciale per il destino del Sud America è il 7 ottobre. In questa data si terrà il primo turno elettorale utile ad individuare le due figure politiche che si contenderanno la presidenza del paese il prossimo 28 ottobre. Si può definire un evento cruciale per l’intero continente in quanto si tratta del Paese sudamericano più importante in termini economici e geopolitici. Il Brasile non è altro che il paese latinoamericano che più degli altri è riuscito a rispettare l’obiettivo vitale della diversificazione produttiva e con l’ausilio di questa si è ritagliato nel tempo un ruolo da protagonista nello scenario internazionale fino ad approdare nella ristretta compagine del BRICS ovvero le sovranità riconosciute economicamente in ascesa e potenzialmente capaci di controbilanciare l’egemonia statunitense. Paese-potenza dunque che negli ultimi anni ha perso anche la propria intensità, palesando un’inflessione economica considerevole. Vista dall’esterno può apparire una “tipica incompiutezza” sudamericana e vista altre volte in passato con lo stesso Brasile altri paesi (ad esempio l’Argentina), ma se variamo la prospettiva d’analisi possiamo portare in evidenza gli ingenti investimenti sostenuti dallo Stato (che a differenza della gran parte delle sovranità occidentali, ha un ruolo attivo nell’economia del paese) sia su base sociale che non, internamente al paese ed esternamente.

Tali investimenti hanno contraddistinto non solo la gestione oculata di politiche sociali di riequilibrio, ma anche la gestione di eventi internazionali come i Mondiali di Calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016. Inoltre, al pari di Cina o Russia (altre economie in ascesa e rientranti nel BRICS), Brasilia ha inteso riversare il proprio sforzo economico all’esterno del paese per dar vita a sinergie strategiche lontano dai propri confini. Tra questi progetti di sviluppo troviamo l’implementazione del Porto di Mariel (Cuba) dove si intende dar vita a una Zona Franca dove attrarre investimenti esteri per sfruttare la prossimità del Canale di Panama e quindi la densità di transito commerciale della zona caraibica. Perlopiù abbiamo elencato investimenti importanti e che spesso proiettano la propria fruttuosità nel medio-lungo periodo e non nell’immediato. Immediato che invece (2014) ha dovuto anche fare i conti con una crisi petrolifera che ovviamente non ha giovato alle casse brasiliane (in Brasile lo Stato partecipa con il settore privato alla gestione della Petrobras ovvero una delle più importanti aziende petrolifere dell’America Latina). Quindi, se assumiamo tale prospettiva d’analisi, parliamo di un paese più che altro in affanno e non di una “falsa promessa” di sviluppo e ancor peggio un paese che “disattende come sempre le aspettative”. Semplicemente il Brasile ha inteso investire per il futuro con tutti i rischi che ne conseguono. Ma se arriviamo a definire tale evento politico un “punto di non ritorno” dobbiamo andare ben oltre la valutazione potenziale economica di questo paese. Occorre infatti inserire il Brasile in quadro geopolitico ben più ampio e che riguarda tutto il Nuovo Mondo. La definizione di un nuovo governo in Brasile vuol dire riscrivere o confermare gli attuali equilibri politici regionali che di conseguenza finiscono con il confrontarsi più o meno agevolmente con Washington dove Trump potrebbe ben presto abbandonare la propria posizione attendista nei confronti del Sud America. La politica estera statunitense ha sempre avuto in forte considerazione il Sud America come una pseudo colonia (giardino di casa) ereditata mediante la Dottrina Monroe. Dottrina arricchita poi negli anni dai vari presidenti che si sono susseguiti e che della stessa hanno inteso dare una propria interpretazione (Corollario). Con ogni probabilità il peggiore corollario (quasi assente) fu quello di George Bush J. che trascurò completamente la posizione di Potenza del suo paese nei confronti del continente nel momento forse più delicato e importante ovvero quello in cui fiorivano le correnti socialiste del XXI secolo. Ma oggi è il Corollario Trump ad essere atteso anche perché restano da risolvere le spinose questioni del Venezuela (strategicamente fondamentale per le politiche energetiche del paese nordamericano), Cuba e Nicaragua (più storiche spine nel fianco ideologiche che reali incombenze geopolitiche) e i rapporti di vicinato con il Messico. Ma tutto ciò non può prescindere da una definizione del governo brasiliano in quanto lo stesso paese ha dimostrato di essere storicamente catalizzatore del trend politico del continente. Un Brasile neoliberale confermerebbe ad esempio l’isolazionismo venezuelano e la sua vulnerabilità e porterebbe molte sperimentazioni di partenariato sudamericano alla deriva ideologica per poi, magari, rimettere all’ordine del giorno un’area di libero scambio delle Americhe. Sul piano interno invece si assisterebbe ad una spinta propulsiva verso la privatizzazione selvaggia di ogni settore, finendo con il detonare proprio quella visione di paese in forte sviluppo che ne ha fatto del Brasile un elemento importantissimo del BRICS. Se invece il risultato elettorale fosse quello di un ripristino del socialismo lulista allor sul piano regionale assisteremmo nel breve tempo ad una forte frammentazione ideologica, ma non più ad un isolazionismo di Caracas. Con ciò potrebbe poi giungere una nuova convergenza verso l’ideologia socialista con il susseguirsi delle elezioni nei vari paesi del continente con le eccezioni di Colombia, Perù e le incognite di Messico e Cile.

Detto ciò è alla dimensione del presente che occorre tornare per capire cosa oggi dobbiamo attenderci dal voto brasiliano. Fino a fine agosto i grandi nomi erano quello di Lula per il Partito dei Lavoratori e quello di Jair Bolsonaro (63 anni) del Partito Sociale Liberale, ovvero si assiste ad una polarizzazione politica molto forte e che crea il vuoto nel mezzo. Lula in particolare ha rappresentato fino ad agosto il volto del riscatto, il ritorno del grande leader contrastato dal sistema in tutti i modi, ma inamovibile dal sogno di riportare in alto il Brasile. Questa la visione propagandistica e in vero non era altro che la figura più carismatica del Partito dei Lavoratori impiegata con la consapevolezza di essere l’unica e sola possibilità per tornare agevolmente alla leadership. Obiettivo accessibile e confermato dai sondaggi del 20 agosto che davano Lula vincitore con il 37%, seguito da Bolsonaro al 20%. Tutto ciò nonostante la detenzione del leader del PT, ma già in luglio il sentore concreto era quello di un’incandidabilità dello stesso Lula ed ecco che appare quale candidato alla vicepresidenza Fernando Haddad (55 anni). Lo stesso, insieme a Manuela D’Ávila (figura di riferimento del partito alleato Partido Comunista do Brazil – PCdoB), avrebbe dovuto occuparsi della campagna elettorale di Lula, vista la sua detenzione. Ma il 31 agosto il Tribunale Superiore Elettorale ha dato il definitivo verdetto di veto alla candidatura di Lula ed allora il PT non ha avuto altra soluzione il 4 settembre che indicare quale proprio candidato Haddad e come suo vice la stessa D’Ávila (a conferma della coalizione così formata dal nome Brazil Felix de Nuevo). Scelta non improvvisa e che già i sondaggi tenevano ben in considerazione con una parallela inchiesta a quella con Lula candidato.

Con un cambio di leadership i sondaggi rivelavano un impietoso risultato elettorale per il subentrante Haddad (4% dalle rilevazioni di agosto). Ma con la necessità di cambio nella candidatura del PT tale diffidenza si è fortemente attenuata e da inizio settembre ad oggi Haddad ha visto il consenso in suo favore crescere a discapito dell’estrema destra rappresentata da Bolsonaro. Quest’ultimo il 6 settembre è stato anche accoltellato durante una manifestazione a Juiz de Fora (nello stato di Minas Garais) da un simpatizzante lulista (gesto condannato dallo stesso PT ovviamente), ma tale violenza non sembra aver influito sulle statistiche dei sondaggi, ma hanno semplicemente estromesso Bolsonaro dalla campagna politica attiva in vista del 7 ottobre. I sondaggi dello scorso 18 settembre davano vincente al primo turno Bolsonaro con il 28% mentre Haddad si aggiudicava il 19% per poi guadagnarsi un testa a testa nel ballottaggio del 28 ottobre (circa il 40% per entrambe i candidati). Ma un nuovo sondaggio fatto tra il 22 e il 23 settembre ha sottolineato come Haddad sia in forte ascesa: per il 7 ottobre Bolsonaro è fermo al 28% mentre Haddad sale al 22% (+3 punti percentuali sul precedente sondaggio). A farne le spese sono gli altri candidati: per il centrosinistra Ciro Gomes (11%), per i conservatori Geraldo Alckmin (tra il 7 e l’8%), per gli ambientalisti Marina Silva (5% da sondaggio contro il 21,32% di risultato effettivo conseguito dalla stessa nel primo turno delle elezioni presidenziali 2014). Lo stesso sondaggio poi ribalta il risultato elettorale in fase di ballottaggio assegnando la vittoria a Haddad con il 43% dei voti contro il 37% di Bolsonaro. Ma cosa gioca in favore del neocandidato PT? Sicuramente ha avuto un’importante impatto positivo il proseguo nell’utilizzo dell’immagine di Lula nella campagna politica. Il progetto non prescinde dalla figura del suo leader capendone la baricentricità del suo carisma ancor prima del progetto politico in sé.

Ma se da un lato il perseverare sullo slogan “Haddad è Lula” rafforza la figura del neo candidato lulista, dall’altro trae molto in inganno facendo pensare superficialmente alla creazione di un governo fantoccio ad uso e consumo del non elegibile Lula. Tuttavia va considerato che in realtà Haddad ha una preparazione politica ben strutturata e compare nella compagine governativa già nel 2005 ricoprendo il ruolo di Ministro dell’Educazione (prima di allora nel 2001 ricopriva il ruolo di sottosegretario per la Finanza e lo Sviluppo Economico per lo stato di Sao Paulo). Inoltre proprio la nomina a vicepresidente in un’eventuale presidenza di Lula avrebbe portato Haddad al destino di futuro candidato per il PT nel 2022. Siamo dunque alla necessità di un anticipazione dei tempi per il futuro del PT che deve assolutamente iniziare una programmazione capace di prescindere da Lula. Quindi bene far confluire i voti lulisti sul nuovo candidato, ma occorre far attenzione a non dare il falso messaggio che Haddad sarà il prestanome per un governo che non può fare a meno di Lula. Un tale errore trasformerebbe il promettente Haddad in una meteora politica e non farebbe che rafforzare le ragioni di un’estrema destra pronta a ultimare il progetto di ripristino del neoliberismo avviato da Temer in questo bennio di gestione impopolare.