di Andrea Bianchi

Per comprendere l’Iran attuale occorre gettare uno sguardo retrospettivo al Grande Gioco. Nell’Ottocento l’alleanza con la Russia era dettata da ragioni di vicinanza geografica con l’impero degli zar e con l’avversario inglese sul confine più prossimo alle alture orientali. Nel momento in cui scriviamo, quando le proteste e le rivolte di popolo incendiano uno Stato ancora teocratico, la storia di due secoli fa risulta un’utile guida per comprendere le motivazioni più prossime di una situazione che fondamentalmente sfugge allo sguardo mediatico dell’Occidente.

In Iran l’equazione tra governanti e governati si è spezzata irrimediabilmente con l’assassinio di Mahsa Amini avvenuto lo scorso 16 settembre. Questo episodio ha segnato molto probabilmente un punto dal quale sarà difficile tornare indietro. Nell’arco di uno, poi due e tre mesi il martirologio è andato crescendo con l’irrefrenabile espansione sui canali social di visi, foto, video e reel di ragazze e ragazzi generalmente sotto i 30 anni, tendenzialmente omologati all’Occidente: tratti somatici puramente persiani che noi, per comodità, fissiamo tra indiani ed europei se compaiono gli occhi azzurri, come nel più recente episodio di Hamid Reza Ruhi, non ancora ultima tra le vittime.

Le affinità di abbigliamento, di pose tra i giovani iraniani e quelli genericamente occidentali possono portare quasi a un’identificazione e a un’empatia con chi sta protestando ora. Al di là della foto che è circolata del bacio di Shiraz, che quasi ripristina un’iconografia di vittoria e libertà come quella celeberrima del bacio di Times Square nell’agosto del ’45, dobbiamo vedere quali sono le differenze radicali tra le vecchie guerre e l’attuale conflitto civile per comprendere la portata storica degli eventi. E chiaramente la situazione rimane in stallo per più ordini di motivi, tra i quali:

  • la mancata presa di posizione di Artesh, ossia dell’esercito, la struttura più equilibrata a fronte del Vevak, il ministero dell’intelligence che opera sostanzialmente all’estero a fini terroristici;
  • il controllo dello Stato teocratico sui canali social, anche quelli noti al largo pubblico come democratici nel senso del politicamente corretto, come per esempio Facebook che viene aperto, chiuso e lasciato funzionare a rubinetto secondo i dettami iraniani e non di Menlo Park;
  • la strettissima connessione tra censori politici, famiglie d’élite e canali informativi (anche il canale che consente di reperire video da Youtube e che si offre come alternativa al cloud VPN, piattaforme bandite entrambe in Iran, appartiene a un rampollo della casta al potere);
  • la mancanza di una voce diplomatica in seno ai gruppi politici iraniani che faccia valere il suo punto di vista e che non sia una semplice rivendicazione di ragion di Stato, come invece si nota per opera di Khatib, il ministro del Vevak che riconnette tutte le proteste a forze esogene, ai nemici americani, ai sempre odiati anglosassoni, agli israeliani. Al punto che ora anche una presenza come quella del vecchio ministro degli Esteri Javad Zarif fa sentire la sua mancanza dialettica;
  • fonti interne sostengono che gli omicidi in piazza non siano sempre compiuti da effettivi delle forze armate o di polizia iraniane, ma anche da elementi siriani, sorte di foreign fighter di diporto. A parte casi eclatanti in cui l’assassinio è stato violento e rapido, si tende a colpire in modo non letale e poi circondare con un drappello la vittima che muore per non poter ricevere pronti soccorsi, aumentando così le possibilità di occultare come ‘incidente’ un omicidio effettivo.

Comprensibilmente è arduo fare pronostici riguardo la situazione sul breve termine ma ci sono alcuni fattori che allo stato attuale, intanto, si possono escludere:

  • un coinvolgimento diretto imminente degli Stati Uniti e dell’Occidente, i quali avvertono che la situazione non è ancora matura per una mossa di qualsiasi tipo, mentre il fronte ucraino si insanguina con una guerra di movimento che non consente soste diplomatiche a Putin e con l’Europa che difficilmente potrà reggere ancora a lungo questo stato di economia di guerra;
  • l’impossibilità di sostituire gli Ayatollah con figure importate dall’esterno.

«Lo scorso anno in Germania venne scoperto il taccuino verde su cui erano annotati quasi 300 spostamenti di spie iraniane sul territorio europeo», ha commentato l’analista Marco Rota riferendosi nei giorni scorsi alla situazione iraniana. Ma da ricordare è anche «la lotta in molti Paesi tra il regime di Teheran e l’Asmla, il movimento separatista interno il cui braccio armato si chiama Mohiuddin Nasser Martyrs Brigade, supportato sia dal Mossad che dall’intelligence anglo-americana».

Tutti dati, questi, che inducono a riflettere su una realtà sempre più diffusa anche sul nostro territorio per numero di studenti universitari iraniani in materie ‘dure’ (ingegneria, economia, farmacia) e che differisce enormemente dal fenomeno dell’emigrazione ai tempi dell’Unione sovietica. Per non parlare poi dell’altro asse, questo sì più che dubbio, che lo Stato iraniano ha incuneato nel nord-est tra Balcani, Trieste e infrastrutture aeroportuali italiane.

* Andrea Bianchi si occupa di relazioni internazionali e collabora con Delphis International Studies. Insieme a Marco Rota ha pubblicato recentemente Marco Giaconi e l’intelligence. Un’antologia per Giubilei Historica. Ha all’attivo diverse traduzioni dall’inglese (Whitman, Nick Land) e una dall’italiano all’inglese (Marco Rota, State of surveillance, power and geopolitics).