Quindici anni dopo la caduta di Saddam Hussein e pochi mesi dopo la sconfitta del Califfato, le imminenti elezioni parlamentari irachene costituiscono una nuova fondamentale opportunità per porre le basi di un nuovo Iraq, cercando di imparare dagli errori politici commessi nel passato.

 

Parola d’ordine: (ri)costruzione

Negli ultimi due anni, la progressiva perdita di territori da parte del sedicente Stato Islamico ha sollevato numerosi interrogativi quanto al futuro dell’Iraq liberato. Ora che la minaccia del Califfato è stata sostanzialmente vinta sul piano militare, il Paese si trova ad una svolta: le prime elezioni parlamentari post ISIS sono alle porte.

Si tratta di un appuntamento di estrema importanza, poiché il futuro governo avrà il delicato e complesso compito di ricostruire l’Iraq. Il termine ricostruzione è in quest’occasione quanto mai polivalente: si tratta innanzitutto della ricostruzione materiale, infrastrutturale del Paese, dove intere città sono state distrutte. Inoltre, ed è questo senza dubbio il compito più ostico, l’Iraq necessità più che mai di un intervento di ristrutturazione politico-sociale, capace di catturare fermi consensi al di là delle fratture settarie e intra-settarie, al fine di creare un sistema-Paese stabile, funzionante, e titolare univoco dell’utilizzo della forza, finalizzata alla sicurezza dei propri cittadini.

Solo allora la lealtà verso Baghdad come rappresentante del popolo iracheno sarà più forte a livello politico di ogni altra logica etno-settaria, e potrà dunque sostituirla. Infine, è indubbio che il Paese necessiti anche di un importante intervento economico, che risani, modernizzi e diversifichi l’economia irachena.

Al fine di attirare donazioni, prestiti e investimenti utili alla ricostruzione, un primo passo è già stato compiuto lo scorso febbraio: durante una conferenza tenutasi in Kuwait, Stati, organizzazioni internazionali e aziende provenienti da numerosi Paesi hanno promesso al governo iracheno una cifra complessiva di 30 milioni di dollari. Tuttavia, tale importo corrisponde circa a un terzo di quanto è stato stimato necessario dall’Iraq per la ricostruzione. Trovare i fondi e utilizzarli non solo in un’ottica utile, ma sostenibile per il futuro dell’Iraq è uno dei compiti fondamentali che spetteranno al futuro governo.

 

Le elezioni, nonostante tutto

Le prossime elezioni parlamentari irachene sono state programmate per il 12 maggio 2018. Il risultato designerà i 329 parlamentari in carica per i prossimi quattro anni all’interno del Consiglio dei Rappresentanti; toccherà appunto ai nuovi eletti di questo mandato la scelta del Presidente iracheno e del Primo Ministro.

Per limitare quanto più possibile i tentativi di frode, le consultazioni saranno elettroniche. Al fine di ottenere un maggior numero di voti, i candidati si dividono in liste, ovvero coalizioni formate da uno o più partiti; si sono registrate alle presenti elezioni 27 coalizioni, che riuniscono in tutto 143 partiti. Vi sono poi ulteriori partiti che si presenteranno individualmente senza far parte di alcuna coalizione. Si tratta in tutto di quasi 7.000 candidati, divisi in diciotto governatorati.

È da sottolineare che data la grande quantità di liste e partiti registratisi e il carattere frammentato dello spettro politico-sociale iracheno, è quasi impossibile che una sola lista raggiunga la maggioranza; si prospetta, dunque, la creazione di un governo di coalizione, se non addirittura di un esecutivo di unità nazionale.

Le elezioni provinciali, che di norma in Iraq avvengono durante la stessa consultazione di quelle parlamentari, sono invece state posposte al 22 dicembre 2018, per agevolare la partecipazione dei numerosissimi sfollati interni che, successivamente alla sconfitta dello Stato Islamico, non sono ancora riusciti a tornare alle proprie città (secondo le ultime rilevazioni OCHA risalenti a febbraio 2018, gli sfollati interni in Iraq erano 2,6 milioni).

Per questo stesso motivo, rappresentanti sunniti hanno richiesto che anche le elezioni parlamentari potessero essere rinviate di sei mesi; tuttavia, questa richiesta è stata respinta dalla Corte Costituzionale. Le consultazioni parlamentari si terranno dunque regolarmente il mese prossimo, quattro anni dopo le precedenti, così come sancito dalla Costituzione. Gli ultimi quindici anni hanno peraltro dimostrato il rigore iracheno in materia elettorale: nonostante le immani difficoltà politiche e di sicurezza, dal 2005 in poi l’Iraq non ha mai mancato nessun appuntamento elettorale, raggiungendo peraltro anche picchi di affluenza di poco inferiori all’ 80%. Ciò dimostra come, nonostante la lunga permanenza al potere di Saddam Hussein, gli iracheni non abbiano abbandonato la fiducia nel meccanismo elettorale: nonostante il mero tenersi delle elezioni non sia certo sufficiente per definire una democrazia, nell’attuale contesto mediorientale, caotico e di carattere progressivamente autoritario, il regolare e periodico svolgimento delle elezioni può già considerarsi un buon auspicio.

La rosa dei candidati può dirci molto quanto all’odierno scenario politico iracheno: la tendenza a far coincidere la rappresentanza politica con la propria appartenenza etno-settaria permane, sebbene non manchino liste di stampo nazionalista. Sarà peraltro difficile superare l’orizzonte etno-settario in un sistema politico in cui la divisione del potere è stata istituzionalizzata sulla base di questa stessa logica.

Tuttavia, è osservabile in questa tornata elettorale anche una progressiva tendenza alla frammentazione intra-settaria o, per quanto riguarda la comunità curda, intra-etnica. Se questo trend non sarà certo positivo per l’immediato risultato elettorale – si assisterà molto probabilmente a una dispersione del voto, con accordi ‘obbligati’ post-elezioni che saranno più delicati e meno duraturi di alleanze negoziate precedentemente –, la divisione interna delle storiche comunità irachene potrebbe forse contribuire a un decadimento delle stesse quali riferimenti politici, risultando in una maggiore collaborazione intra-settaria sulla base di interessi di altra natura.

 

I maggiori gruppi politici in corsa

Il candidato con più possibilità di vincere rimane il Premier uscente, Haider al-Abadi, a capo della lista Nasr al-Iraq (la Vittoria dell’Iraq), il cui nome fa chiaro riferimento alla vittoria delle forze irachene contro IS riportata durante il suo primo mandato. Questo successo della sua Presidenza contribuirà probabilmente ad alimentare i consensi nei suoi confronti sia tra gli sciiti sia tra i sunniti, che sono a loro volta rappresentati in questa coalizione che si presenta come laica, nazionalista e intra-settaria. Una vittoria di al-Abadi potrebbe rivelarsi determinante per proseguire sulla via della ricostruzione da lui stesso intrapresa.

In ambito marcatamente sciita, il diretto rivale di al-Abadi è il Vice Presidente del Paese Nuri al-Maliki (il sistema iracheno prevede tre Vice Presidenti: gli altri due, in carica dal 2014, sono Ayad Allawi e Osama al-Nujaifi), a sua volta PM iracheno dal 2005 al 2014. Nonostante al-Abadi e al-Maliki facessero entrambi originariamente parte del partito al-Dawa, essi hanno deciso di correre separatamente per queste consultazioni, formando due nuovi partiti indipendenti, a dimostrazione della profondità della frattura che da tempo li contrappone. Al-Maliki, in testa alla coalizione Dawlat al-Qanun (lo Stato della Legge) è da molti considerato politicamente pericoloso per la deriva settaria che l’Iraq intraprese durante i suoi mandati di governo, che al-Abadi non manca peraltro di rimarcare nelle critiche al suo diretto avversario.

Lo stesso rischio è rappresentato da un altro blocco sciita, I’tilaf al-Fatih (l’Alleanza della Conquista), guidata da Hadi al-Ameri, leader delle Brigate Badr, e composta dalle fazioni politiche delle Unità di Mobilitazione Populare (PMU), ovvero quelle milizie sciite che hanno ben contribuito a sconfiggere Da‘esh, ma che gestiscono ora la sicurezza del paese in modo arbitrario e seguendo logiche settarie.

Data la vicinanza delle PMU con il fronte di al-Maliki, e lo stretto contatto di entrambe le forze politiche con l’Iran, si pensava inizialmente che i due movimenti si sarebbero coalizzati, presentando una lista unica; sebbene ciò non sia avvenuto, è importante tenere presente questa vicinanza per quanto riguarda le alleanze post-elezioni.

In un confuso tentativo di riportare all’ordine questa variabile impazzita della società irachena – o, alternativamente, di cercare consenso – è stato invece al-Abadi ad allearsi con le PMU. Tuttavia, l’alleanza è durata solo ventiquattro ore; rimane da capire se il suo scioglimento sarà definitivo, o se si tenterà nuovamente di raggiungere un accordo all’indomani del voto. Questa ipotesi è però particolarmente rischiosa per l’attuale Primo Ministro, considerando che la forza di al-Abadi risiede nell’ispirazione nazionalista del suo movimento, che è evidenziata più dal contrasto con l’eccessivo settarismo di altre forze politiche che dai suoi reali tentativi di riforma del sistema iracheno.

Un’altra alleanza che si è rotta in seno al blocco di al-Abadi è quella con l’ayatollah Ammar al-Hakim, ex leader di ISCI (Islamic Supreme Council of Iraq, storico movimento sciita iracheno, già Supreme Council for Islamic Revolution in Iraq). Al-Hakim si presenterà a queste elezioni come candidato indipendente, a capo del suo partito al-Hikma al-Watanyi (la Saggezza Nazionale), il cui nome volutamente non riporta alcuna connotazione islamica, e che seguendo le tendenze di al-Hakim in seno a ISCI punta a ottenere consenso tra i giovani. Tuttavia, l’ayatollah ha dichiarato le sue intenzioni di collaborare con al-Abadi in seguito alle elezioni.

Un’altra novità di queste elezioni è rappresentata dalla lista nazionalista costituita dall’ayatollah Muqtada al-Sadr – personalità religiosa sciita in passato conosciuta per le sue posizioni islamiste radicali contrarie a ogni presenza straniera in terra irachena – e dal Partito Comunista Iracheno. La lista nata da questa insolita unione, I’tilaf al-Sa‘irun (l’Alleanza di chi progredisce), si definisce come laica e nazionalista, e si basa sulla comune volontà di questi movimenti di rappresentare gli ultimi e combattere le disuguaglianze sociali e la corruzione.

Di ispirazione nazionalista e laica, come dimostrato dal nome I’tilaf al-Watanyi (Alleanza Nazionale), è anche il blocco capitanato da Ayad Allawi, storico politico iracheno alleatosi con il Portavoce del Parlamento Salim al-Jabouri e con Saleh al-Mutlaq, entrambi rappresentanti sunniti. Allawi si era già presentato con buone opportunità alle elezioni del 2010; come allora, egli mira a raccogliere consensi trasversali, puntando in particolare sui voti arabo-sunniti. A contendersi i voti di questa comunità, che costituisce tra il 15 e il 20% della popolazione irachena, troviamo anche una lista puramente connotata in ambito sunnita: Qarar al-Iraqyi (Decisione Irachena), il cui rappresentante è Osama al-Nujaifi, che da anni si batte per una maggiore autonomia dei sunniti iracheni.

Per quanto riguarda il panorama curdo, queste elezioni dimostrano come esso sia a sua volta internamente frammentato. Nonostante il preannunciato plebiscito del referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno tenutosi lo scorso settembre, le vicissitudini politiche che lo hanno anticipato e seguito già dimostravano questa tendenza. Infatti, i tentativi curdi di convergenza sulla scena nazionale irachena, che pur sono stati compiuti, non hanno avuto risultato positivo.

A dimostrazione di ciò, il Partito Democratico del Kurdistan (KDP) ha univocamente dichiarato che non presenterà alcun candidato nel governatorato di Kirkuk, per protestare contro l’ormai decennale contesa della città tra Baghdad ed Erbil.

Inoltre l’opposizione curda – costituita dal partito Gorran (Cambiamento), da un’ulteriore frangia fuoriuscita dall’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) sotto la guida di Barham Salih e dai partiti islamisti curdi – ha creato una propria lista, dal nome Nishtiman (Terra Natale). Dato il diffuso malcontento nei confronti del Governo Regionale Curdo (KRG) e dei suoi tradizionali rappresentanti, sarà interessante osservare come si comporteranno gli elettori curdi.

Essendo l’Iraq molto fertile quanto a minoranze, non mancherà inoltre una coalizione ad esse dedicata: Tahaluf al-Rafidain (l’alleanza della Mesopotamia), che riunisce cristiani, assiri e caldei, il cui volto è da anni il politico assiro Yonadam Kanna.

 

Un chicco in più

Per approfondire l’interessante alleanza tra i Sadristi e il Partito Comunista Iracheno, si veda il seguente articolo, che analizza questa curiosa unione anche in chiave storica: I. al-Marashi, Iraq elections: the curious case of the Communist-Sadrist alliance, Middle East Eye, 21 febbraio 2018.

di Lorena Stella Martini – Il Caffè Geopolitico