Iraq_milizie_sunnite

Dopo che in Siria le formazioni ribelli più radicali si sono saldate intorno a una nuova organizzazione-ombrello denominata Tahrir Al Sham, si segnalano analoghi movimenti anche in Iraq. Comune denominatore per questo fronte d’insorti è l’appartenenza all’Islam sunnita ma anche, in alcuni casi, la vicinanza ad Al Qaeda.

Tahrir Al Sham rappresenta l’evoluzione di Jabhat Fateh Al Sham, già Fronte Al Nusra, ovvero l’ala qaedista del Jihad siriano, che ha mantenuto forti legami con la casa madre saudita e dunque con il leader Ayman Al Zawahiri. Se in Siria Tahrir Al Sham è emerso come gruppo dominante – dopo uno scontro serrato e tuttora in corso con altre fazioni “moderate” della galassia di forze che si oppongono al regime alawita di Assad – in Iraq la situazione è invece ancora tutta in divenire.

Con la concentrazione quasi esclusiva degli sforzi militari della coalizione internazionale contro lo Stato Islamico e il suo progressivo arretrare pressoché lungo tutti i fronti iracheni, si sono creati ampi spazi di manovra per nuovi gruppi sunniti, che presto potrebbero emergere dalle ceneri della guerra e sostituirsi al Califfato. Alcuni di essi hanno già marcato da tempo le distanze dai miliziani di Al Baghdadi e, in alcune circostanze, li hanno persino combattuti. Questo perché molte di queste milizie sono di stampo marcatamente nazionalista, e non condividono la vocazione internazionalista dello Stato Islamico.

Le milizie emergenti

È il caso, ad esempio, del gruppo neo-baathista JRTN (Jaysh al-Rijal al-Tariqa al-Naqshbandiya, ovvero “esercito degli uomini dell’ordine di Naqshbandi”, foto in apertura), che nell’ottobre 2016 ha iniziato ad attaccare lo Stato Islamico nell’area di Mosul e ha proseguito con l’avanzare della coalizione nella parte occidentale della città. A dicembre 2016, il gruppo Naqshbandi ha persino paventato una possibile partecipazione politica in vista di future elezioni in Iraq, che teoricamente si dovrebbero tenere nell’aprile del 2018.

JRTN oggi è attivo nei governatorati di Ninive e Diyala dove – soprattutto a Mosul – ha subito una serie di omicidi mirati dei propri leader a opera del Califfato, che li hanno costretti a sottostare alla legge del più forte. Con la liberazione di Mosul, JRTN potrebbe però riemergere, e questo nonostante il governo iracheno abbia dichiarato di aver ripristinato il pieno controllo sulla roccaforte sunnita. Più fonti d’intelligence suppongono, inoltre, che nei prossimi mesi JRTN possa inaugurare una stagione di attacchi sia contro lo Stato Islamico sia contro le forze di sicurezza irachene.

Anche un altro gruppo neo-baathista, noto come 1920 Revolution Brigade (la “Brigata Rivoluzionaria 1920”), ha manifestato crescente insofferenza per l’attuale contesto iracheno. In particolare, ha puntato il dito contro l’eccessiva ingerenza iraniana in Iraq, chiamando la popolazione alla resistenza nazionale per ridurre l’influenza di forze straniere nell’intera regione.

La Brigata Rivoluzionaria 1920 da quasi un decennio diffonde anche una rivista mensile dove spiega la propria filosofia: negli ultimi numeri ha preso le distanze dallo Stato Islamico ma al tempo stesso ha affermato la necessità di agire per il bene degli iracheni, anche una volta che l’organizzazione di Al Baghdadi sarà scomparsa. Come a dire che la lotta non si arresterà una volta sconfitto il Califfato, ma proseguirà per eliminare gli occupanti stranieri e le forze che si oppongono alla presenza sunnita nella regione.

La fase post-Mosul

Secondo Lahur Talabany, figura di alto livello dell’antiterrorismo del Kurdistan, la situazione sul terreno è grave: «I prossimi anni saranno molto difficili. Se non sarà il Califfato, emergerà un altro gruppo, con un nome e una scala differente. Dobbiamo stare molto attenti» ha affermato a Iraqinews.

L’intelligence curdo-irachena, infatti, è certa che migliaia di miliziani, anche dello stesso Califfato, si stiano riposizionando: già oggi diversi leader baathisti starebbero creando nuove e più piccole cellule dello Stato Islamico, alcune delle quali si erano già costituite nel novembre del 2016 nel distretto di Hawija. Oggi tali forze agirebbero principalmente nei governatorati nordorientali di Kirkuk e Diyala allo scopo di espandere la propria rete d’influenza.

Hawija, in particolare, rappresenta un hotspot insurrezionalista sin dalla caduta di Saddam Hussein, e da allora si è sempre distinta per l’animo baathista, trovando terreno fertile per il Jihad di ogni colore e bandiera. Senza contare che buona parte del distretto è tuttora sotto il controllo dello Stato Islamico. Alcuni leader baathisti, dunque, tramontato o meno il regno del Califfato, sembrano intenzionati a capeggiare nuove rivolte.

«Sappiamo per certo che alcuni dei combattenti dello Stato Islamico sono fuggiti da Mosul per avviare la fase successiva, creare cellule dormienti e nascondigli in quest’area – afferma Talabany – Si tratta di un territorio aspro e sarà molto difficile per i militari iracheni mantenerne il controllo, poiché sono luoghi dov’è facile nascondersi e passare da una provincia all’altra senza essere individuati». Dunque, nei prossimi mesi ci si aspetta la fase cosiddetta “post-Mosul” dell’insurrezione, dove la strategia militare passerà dalla guerra di posizione alla guerriglia.

La variabile delle milizie sciite

«C’è anche un’altra minaccia là fuori che molte persone ancora non vedono. Se non ci sarà dialogo con Baghdad, in futuro potremmo scontrarci con le milizie» è il ragionamento conclusivo di Talabany. Il riferimento è alle milizie sciite che il parlamento iracheno, su impulso del governo, ha legalizzato lo scorso novembre. Questo fatto ha creato non pochi malumori tra i sunniti, così come tra i curdi. «Le milizie non sono come l’esercito regolare, ma molto più indipendenti e difficili da controllare. Sono preoccupato del fatto che potremmo scontrarci con loro».

La situazione è dunque questa. Una serie di gruppi offuscati dall’ascesa dello Stato Islamico tra il 2013 e il 2014, con il suo indebolimento vedono adesso il momentum per riemergere e agire indipendentemente dalle volontà del Califfato. Secondo i calcoli, basterà cavalcare le proteste anti-sciite perché si assicurino la prosecuzione della “rivoluzione sunnita”.

In mezzo a ciò, grava l’ombra lunga di Al Qaeda: l’organizzazione è da sempre concorrente e alternativa allo Stato Islamico ed è noto il suo tentativo di unificare i diversi gruppi di insorti iracheni sotto la sua ala, come già accadde nel 2006 sotto le insegne dell’ISI, lo Stato Islamico dell’Iraq di Abu Musab Al Zarqawi, di cui peraltro il Califfo Abu Bakr Al Baghdadi è discepolo. Anche se Al Qaeda non è mai riuscita a raggiungere tale obiettivo, tuttavia è stata capace di attivare spietate campagne di assassinio contro politici locali o capi tribù, così come di minare i processi elettorali, attaccando comizi e seggi elettorali e, più in generale, cavalcare le dispute inter-tribali. Uno schema che, alla luce della situazione sul campo in Iraq, potrebbe in futuro ottenere un qualche successo.