Con la caduta della cittadina siriana di Al-Baghuz Fawqani, ultima roccaforte di ISIS situata nel distretto di Abu Kamal nella provincia di Deir ez-Zor, avvenuta il 23 marzo 2019 dopo mesi di assedio,vlo Stato Islamico ha iniziato a lavorare sottotraccia per ricomporsi sul territorio. Al culmine della sua forza nel Siraq l’organizzazione poteva far leva su oltre 40 mila combattenti divisi in tre eserciti: Jaish al-Khilafa («Esercito del Califfato»), Jaish al-Usra e Jaish Dabiq (dal nome della città nel nord della Siria menzionata dal Profeta). Nel corso degli ultimi scontri del gruppo nella valle del fiume Eufrate, i tre eserciti sono stati fusi in uno solo, Jaish Khalid (in onore del capo guerriero arabo musulmano Khalid ibn al-Walid, La Mecca, 592 – Homs o Medina, 642), del quale facevano parte circa 4 mila combattenti.

Ad oggi, secondo l’intelligence americana e irachena, lo Stato Islamico può contare ancora su non più di 3.500-4 mila combattenti attivi, 2 mila dei quali sono concentrati in alcune aree dell’Iraq settentrionale e centrale. Altri 8 mila jihadisti (classificati al momento come «inattivi») sarebbero dislocati in 11 diverse aree dell’Iraq in attesa di ricevere ordini. Le Wilayat («province») sono passate da 35 (dato 2016) a 14, i ministeri da 14 a 5 ai quali va aggiunto un dipartimento per l’immigrazione e l’amministrazione delle Wilayat più remote.

Come noto, la catena di comando dell’ISIS è stata smembrata nel corso della campagna militare del 2017-2019. Oltre al Califfo Abu Bakr Al Baghdadi e al suo portavoce Al Adnani, altri 43 dei fondatori dell’organizzazione sono stati uccisi. A questi vanno aggiunti circa 80 comandanti di medio livello e centinaia di comandanti sul campo. La maggior parte dei capi jihadisti è stata eliminata da droni americani, gli altri principalmente dalle forze curdo-siriane.

Il nuovo Califfo Abu Ibrahim al-Qurayshi, morto facendosi esplodere nel corso di un blitz delle forze speciali Usa effettuato nel nord-ovest della Siria nei pressi del villaggio di Atmeh il 2 febbraio 2022, ha predisposto due comitati di alto livello: un Consiglio della Shura (con funzione consultiva) composto da cinque membri guidato da Hajji Juma Awad al-Badri, fratello di Al-Baghdadi; un Comitato delegato composto da cinque membri (il più alto organo esecutivo) guidato da Sami Jassim al-Jubori.

Secondo il Center for Global Policy questo nuovo assetto ha ulteriormente decentralizzato i vari settori a livello locale  dell’organizzazione che adesso operano in modo semi-autonomo, sono finanziariamente autosufficienti e hanno anche ridotto al minimo gli attentati suicidi. Vista la manifesta superiorità militare e tecnologica della colazione anti-ISIS sul terreno, per comunicare tra loro le diverse Wilayat usano dei corrieri che trasmettono messaggi in codice scritti o a voce. Il sistema si sta però rivelando farraginoso, creando non pochi problemi all’organizzazione. Nonostante queste evidenti difficoltà, questo ridimensionamento forzato sta consentendo a ISIS di tornare a essere agile come un tempo nei territori in cui continua a operare, e di potersi concentrare su obiettivi specifici da colpire.

Anche la propaganda dell’ISIS prova a risollevare le sorti dell’organizzazione. Nonostante i loro mezzi non siano paragonabili a quelli di un tempo, smantellati grazie alla stretta sui social media e in generale del web, è proprio da qui che intendono ripartire. In epoca di Coronavirus, l’ISIS starebbe reclutando quasi esclusivamente online le nuove leve del terrorismo, affinché si auto-organizzino per compiere attacchi domestici nel nome del Califfato. L’ordine è avere prudenza: compiere azioni laddove ci si trova e senza alcun collegamento diretto con la Siria o l’Iraq. Allo stesso tempo, meglio non avere rapporti diretti con predicatori in carne e ossa, perché la comunità d’intelligence e l’anti-terrorismo – specie in Europa – monitorano ormai capillarmente questi soggetti. Se dunque a complicare l’opera di proselitismo c’è una più accorta vigilanza dei servizi segreti di mezzo mondo sui luoghi e le persone fisiche, è logico che i jihadisti ripieghino sulle autostrade del web, dove l’anonimato è garanzia di successo.

Dall’Università di Georgetown Anne Speckhard, che dirige l’International Center for the Study of Violent Extremism (ICSVE), ha dimostrato come tale nuova tendenza nel reclutamento dei terroristi sia un fatto ormai compiuto: «Dal nostro studio basato su interviste a 239 tra disertori, rimpatriati e prigionieri dell’ISIS, è emerso che il 20% di loro è stato reclutato esclusivamente su Internet. Queste nuove reclute del Jihad, dunque, hanno viaggiato attraverso gli oceani e i continenti per unirsi all’ISIS semplicemente sulla base delle ricerche in rete. Quindi, contrariamente a molti esperti che affermano che ciò non sia possibile, lo è eccome. E aggiunge: «In base ai successi passati, dovremmo aspettarci che gli islamisti continueranno a guadagnare aderenti e dobbiamo pertanto mantenere alta la guardia». Anche perché l’ISIS è molto intenzionato a tornare al potere: «Continuano a sfornare, riutilizzare e usare vecchi video di propaganda e chiamare nuove reclute per aiutarli a ricostruire e vendicarsi del Califfato distrutto a livello territoriale. Ma il Califfato virtuale è vivo e vegeto», precisa Speckhard.

Anche Yossi Kuperwasser, esperto israeliano d’intelligence e sicurezza e direttore generale del ministero degli Affari Strategici di Israele, conferma tale orientamento. Ma sottolinea anche come il tentativo di rialzare la testa da parte dello Stato Islamico fosse non solo prevedibile, ma anche inevitabile: «In primo luogo, l’ISIS ha un sistema di franchising e, nella maggior parte dei sottogruppi, il leader locale è molto più importante del leader del corpo principale, soprattutto quando il corpo principale soffre di gravi danni, tra cui la perdita del suo famoso leader. In secondo luogo, l’ISIS è prima di tutto un’idea molto attrattiva per i musulmani sunniti radicali ed è inquadrata in un modo che ha una spiegazione incorporata per la perdita. Così, può superare le sconfitte di breve durata».

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Foto in apertura: An aerial view of wreckages around the site after the US operation. Photograph: Anadolu Agencyb Getty Images