Kazakhstan, miniera di uranio

La brutale guerra d’Ucraina ha portato l’attenzione sull’interconnessione di Russia e Iran in termini di forniture droni. Più nello specifico, come ha riportato il Washington Post il 17 agosto scorso, la Russia conta di costruire altri 6 mila droni iraniani su suolo nazionale entro l’estate del 2025. «Un affare da miliardi di dollari con l’Iran venuto alla luce lo scorso novembre, 500 miglia a est di Mosca nella regione dello Tatarstan – scrive il Washington Post – I 6 mila droni sono sufficienti per ribaltare le croniche mancanze russe al fronte di Uav, unmanned aerial vehicles o veicoli aerei senza pilota a bordo. Se la Russia riuscisse a perseguire il suo obiettivo, la nuova fabbrica potrebbe aiutarla notevolmente nel preservare le sue scorte traballanti di munizioni di precisione, riducendo gli sforzi ucraini di riprendere i territori occupati e facendo avanzare nettamente la posizione di Mosca nella corsa ai droni armati che sta dando una nuova forma alla condotta di guerra del tempo d’oggi».

Contemporaneamente la Cina ha condotto le sue operazioni con mediazioni in Cecenia pur sempre allo scopo di affaticare l’Europa sul fianco orientale. La Russia ha perso attrattiva agli occhi dell’Europa, oltre che mercati di sbocchi per il suo gas, rivolgendosi a sud tramite l’Instc (International North South Transport Corridor) per ricollegarsi alle rotte marittime che convogliano le sue materie prime facendole sboccare sul mercato indiano. L’Instc è avversato dalla Cina che intende mantenere la presa su Kazakhstan, Turkmenistan, Iran e Oman. Tutte aree contese con l’India.

Più nello specifico il Kazakhstan presenta depositi di uranio ricercati instancabilmente dall’India con i suoi impianti nucleari. Il Kazakhstan è un’incognita al momento: nel report mensile Med-Or giugno 2023 si legge che «secondo la Banca mondiale, il Pil del Paese nel 2022 è stato di oltre 220 miliardi di dollari rappresentando circa il 60% di quello complessivo dei cinque Stati ex-sovietici dell’Asia centrale». Pertanto il presidente Umarov ha manifestato il desiderio di entrare a far parte dei Brics. Inoltre, il boom demografico innescato dalle politiche del primo presidente Nazarbayev porteranno quest’anno il Paese a toccare i 20 milioni di abitanti partendo dai 15 milioni di inizio Duemila (quando ancora la zona doveva togliersi l’etichetta imposta dall’Urss di “Siberia meridionale”). Il Kazakhstan è la cartina di tornasole per le altre ex-repubbliche sovietiche e per l’Ucraina in quanto lo shift demografico ha invertito la tendenza pregressa della costituzione etnica. Se infatti nel 1989 quasi il 40% era di etnia russa, oggi per il 70% degli abitanti questa è kazaka. A ciò si aggiungono gli strascichi della memoria storica: analogamente all’Holodomor, anche il Kakakistan ha pagato un tributo di vite umane (5 milioni) per politiche agrarie sovietiche mal intese tra 1930 e 1933.

Come riporta Margarita Assenova su National Interest il 19 agosto, annualmente oltre 90 mila studenti si iscrivono all’università, l’inglese è la seconda lingua e dal 2017 è stato abbandonato l’alfabeto cirillico a favore del latino. Il Congresso degli Stati Uniti sta valutando di revocare l’emendamento Jackson-Vanik che risale alla Guerra Fredda e non consente di garantire un normale e permanente status alle relazioni commerciali con gli Stati dell’Asia Centrale anche alla luce degli investimenti fatti sin qui e della privatizzazione delle compagnie un tempo di proprietà statale, specialmente nel settore estrattivo. «Il Kazakhstan è un notevole esportatore di energia, il maggior produttore di uranio a livello mondiale, e sta crescendo di importanza come fornitore di terre rare in un mercato ancora dominato dalla Cina. Il Paese è altresì critico per sviluppare il Middle Corridor come rotta alternativa per l’energia, il cibo e i fertilizzanti tramite il Mar Caspio e il Caucaso, ed è cresciuto di valore in seguito alla guerra della Russia in Ucraina e alle sanzioni occidentali che hanno fatto saltare le catene logistiche regionali», scrive Margarita Assenova.

Rispetto al Middle Corridor inoltre, come riporta Med-Or, «il 22 giugno a Baku, al termine di colloqui tra i primi ministri dell’Azerbaijan e del Kazakhstan, Ali Asadov e Alikhan Smailov, è stato firmato un memorandum di cooperazione tra i ministeri competenti dei due Paesi “sull’espansione dell’attività reciproca nel campo dei trasporti e della digitalizzazione” di tale rotta». Inoltre i Paesi interessati dal passaggio di questa rotta, coperti dalla Cina in funzione anti-russa – Azerbaijan, Georgia e Kazakhstan – «hanno concordato la costituzione di una società di logistica congiunta, che avrà il compito di uniformare le tariffe e gestire il traffico cargo».

Più a sud il Turkmenistan con le riserve di gas e la pipeline Tapi è stato avvicinato anche dall’Ungheria a inizio giugno onde stipulare accordi di collaborazione in riferimento al gas per la produzione di idrogeno. Più a sud ancora l’India si appoggia al porto iraniano di Chahabar – zona cuscinetto a base etnica baluci – per aggirare il corridoio pakistano arrivando direttamente in Afghanistan. Mossa analoga compie l’Oman che con l’hotspot di Duqm intende svolgere un ruolo analogo a quello di Gibuti al crocevia di Africa orientale e stretto d’Hormuz.

Da queste situazioni si vede bene come la composizione etnica frastagliata sia impiegata a seconda delle circostanze per progetti emergenti: dal Kazakhstan in funzione nazionalista, dall’India con finalità di politica estera aggressiva. In definitiva l’Iran risulta indebolito da episodi terroristici dovuti a scontri coi talebani a nordest mentre le sommosse dei baluci parevano placarsi con la repressione delle proteste a fine primavera scorsa, nello stesso momento in cui il fianco settentrionale era percorso da insidiosi moti revanscisti dettati dal fugace asse Azerbaijan-Ue (gas) e Azerbaijan-Turchia (in funzione anti-armena). Eppure il Turkmenistan non è ancora pacificato, logorato dalla tensione suscitata con la guerra d’Ucraina dall’Uzbekistan e sempre a favore di Pechino. Come riporta ancora Med-Or, comunque, un comunicato del ministero dell’Energia uzbeko del 19 giugno ha indicato che il trend russo recente (che aveva sottomesso il Paese con ricatti giugulatori in funzione anti-cinese) sarà invertito in quanto «a ottobre il Paese inizierà a ricevere giornalmente 9 milioni di metri cubi di gas naturale da parte della multinazionale controllata dal governo russo Gazprom, secondo un accordo che ne prevede la fornitura di 2,8 miliardi di metri cubi all’anno nei prossimi due anni».

È notevole come la Cina in sede diplomatica abbia sostenuto a fine giugno la non-esistenza delle ex-repubbliche sovietiche al puro e semplice scopo di insediarle, una per volta con trattati separati, né comprensivi né olistici, nella sua trappola del debito: lo mostrano le sue mosse per la ricostruzione dell’Afghanistan, con la longa manus nell’Aksai Chin al confine con il Ladakh indiano dove sono stati rinvenuti depositi di litio (secondi solo a quelli argentini e pari a 410 miliardi di dollari). Tutte queste microfratture vanno ricomprese in un’ottica storica di analogia con gli Stati cuscinetto dell’Otto (Nepal) e del primo o secondo Novecento (Montenegro, Austria).

Per quanto concerne l’Italia e le sue connessioni attuali con quest’area del mondo, a inizio giugno è stata firmata a Palazzo Chigi una Dichiarazione congiunta sullo stabilimento delle relazioni di partenariato strategico che, si legge nel report Med-Or, prevede una cooperazione rafforzata nei settori della interazione politica con istituzione di dialoghi e consultazioni a cadenza biennale aumentando la fornitura di tecnologie avanzate verso l’Uzbekistan. Nello stesso periodo il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha ricevuto il ministro dell’Industria e delle Nuove tecnologie tagiko, Sherali Kabir, per sondare le possibilità di un partenariato volto ad affrancare l’Italia da dipendenze in settori ritenuti strategici come le materie prime, prospettando la creazione in Tagikistan di nuovi impianti per la loro lavorazione e indirizzamento in Italia.

Secondo Med-Or, «l’Unione Europea e quindi l’Italia definiscono critiche 30 materie prime (fra le quali grafite, litio, cobalto, silicio, terre rare), la cui alta concentrazione in Paesi instabili o che appaiono in contrasto con i valori comunitari rende probabile il rischio dell’interruzione delle forniture; e occorre quindi diversificare la catena di approvvigionamento e ridurre la dipendenza attuale. Urso ha espresso la volontà di concludere accordi bilaterali con Dushanbe “che possano favorire la trasformazione in loco delle materie prime e la successiva esportazione del prodotto lavorato verso l’Italia”».

Curiosamente nello stesso frangente anche l’Iran ha siglato accordi con l’Uzbekistan e il Tagikistan: col primo in termini di cooperazione commerciale, col secondo per la cooperazione nel settore della sicurezza. Il che si traduce nell’addestramento iraniano delle forze di polizia tagike in funzione antiterrorismo.