Dopo la ripresa degli scontri fra Armenia e Azerbaijan, la diaspora armena ha fatto sentire la propria voce, fornendo supporto alla madrepatria e generando forti preoccupazioni a Baku. Ieri, 9 novembre, il presidente azero Ilham Aliev e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan hanno firmato un accordo di pace che pone fine al conflitto nella regione separatista, grazie alla mediazione del presidente russo Vladimir Putin.
1. LE IMMEDIATE REAZIONI DELLA DIASPORA
La ripresa del conflitto in Nagorno-Karabakh non ha lasciato indifferente la diaspora armena. Numerose sono state le manifestazioni di solidarietà, incentivate anche dalla propaganda diffusa da Yerevan: i messaggi nazionalistici tinti di vittimismo lanciati dal Governo hanno contribuito a radicalizzare l’opinione pubblica armena in patria e all’estero. Le circostanze straordinarie legate alla guerra per il Karabakh hanno acceso un forte sentimento di unità nazionale fra le comunità diasporiche, le cui opinioni sulla politica interna del Paese d’origine sono solitamente divergenti. Anche l’intervento di Ankara nel conflitto ha unito la comunità armena: la Turchia rappresenta per Yerevan un nemico ancestrale, in grado di rievocare memorie storiche dolorose. La comunità armena ha sentito immediatamente la necessità di unirsi per contrastare il nemico comune, gli eredi dell’Impero Ottomano, che con il genocidio del 1915 avevano spinto i sopravvissuti a fuggire verso Paesi più sicuri, dando origine alla diaspora. Il sostegno a Yerevan è stato espresso sui social media da varie celebrità di origine armena, come Kim Kardashian. Quest’ultima ha donato un milione di dollari ad Armenia Fund, ONG che fornisce aiuti umanitari nel Caucaso meridionale. Inoltre, con i suoi tweet, ha catalizzato l’attenzione del mondo sul conflitto.
Fig. 1 – Un gruppo di manifestanti armeni protesta per le strade di Los Angeles, a poco più di un mese dalla ripresa delle violenze fra Armenia e Azerbaijan
2. NON SOLO AIUTI ECONOMICI
I rappresentanti della diaspora armena si sono impegnati a dialogare con i Governi ospitanti, con lo scopo di inserire la questione del Karabakh nella loro agenda politica. A Los Angeles, che ospita la maggiore comunità armena degli Stati Uniti, sono state organizzate manifestazioni e campagne di raccolta fondi con l’obiettivo di mandare alla madrepatria aiuti economici, dispositivi medici e cibo. Episodi simili si sono verificati in Francia, che vanta la più grande comunità diasporica in Europa: nel corso delle proteste, il Governo francese è stato esortato a impegnarsi maggiormente nel supportare Yerevan nell’arena internazionale. Anche in Libano, Siria e Russia non sono mancate manifestazioni di sostegno alla madrepatria.
Un supporto non solo economico e politico: molti volontari hanno infatti deciso di recarsi direttamente nel Caucaso meridionale per fornire un aiuto concreto negli scontri. Tuttavia l’esercito armeno ha bisogno di soldati esperti, dato l’alto livello tecnologico degli strumenti militari utilizzati nel conflitto con l’Azerbaijan. Per questo motivo molti volontari recatisi a Stepanakert sono stati respinti, nonostante il loro desiderio di contribuire alla causa comune.
Fig. 2 – Un gruppo di manifestanti appartenenti alla diaspora armena protesta a Parigi. La Francia, infatti, ospita una grandissima comunità armena, molto legata alla madrepatria
3. LE PREOCCUPAZIONI DI BAKU
L’influenza che le comunità diasporiche esercitano sui Governi ospitanti risulta preoccupante per Baku: il timore dell’Azerbaijan è che i Governi stranieri, messi alle strette dalle pressioni delle potenti lobby armene, possano favorire Yerevan nei forum internazionali. Questa preoccupazione diventa ancora più rilevante se si considera che alcune tra le maggiori comunità armene nel mondo si trovano proprio nei Paesi Co-Presidenti del Gruppo di Minsk: Stati Uniti, Francia e Russia. Il ruolo di Co-Presidenti imporrebbe loro un atteggiamento imparziale di fronte alle trattative di pace, tuttavia le pressioni della comunità armena e il loro rilievo negli affari di politica interna rendono quasi impossibile l’adozione di un approccio totalmente neutrale. È questo uno dei motivi per cui il Gruppo di Minsk, che oggi è l’unico mediatore ufficiale tra le parti del conflitto, non viene considerato dall’Azerbaijan un partner affidabile e imparziale.
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Di Chiara Soligo. Pubblicato su Il Caffè Geopolitico
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