La vicenda dalle tinte molto fosche della figlia 17enne dell’ex incaricato d’affari nordcoreano in Italia da caso diplomatico è diventata una spy story e poi una nuova occasione di schermaglie politiche. Tutto parte dalle dichiarazioni di Thae Young Ho, ex ambasciatore nordcoreano nel Regno Unito che ha chiesto asilo a Londra nel 2016. Thae in settimana ha detto di aver saputo che la ragazza, studentessa di un liceo di Roma, era stata rimpatriata con la forza in Corea del Nord prima di riuscire ad unirsi ai genitori e darsi alla fuga con loro, genitori scomparsi da Roma il giorno 10 novembre 2018. Thae, uno dei casi più noti di defezione tra gli uomini di Kim che ha molti contatti con la Corea del Nord, ha detto di aver avuto la soffiata da un amico non meglio precisato che vive a Pyongyang. Manlio Di Stefano, sotto segretario agli Esteri del Movimento 5 Stelle, ha letto in una questa vicenda la prova di un “rapimento” della ragazza da parte dei servizi segreti nordcoreani. A quel punto il portavoce di Amnesty International a Roma, Riccardo Noury, giustamente allarmato, ha definito il caso estremamente preoccupante e in tweet ha scritto:“Le autorità italiane dovranno chiarire”. Una nota della Farnesina ha successivamente spiegato che in data 5 dicembre 2018 era arrivata una comunicazione formale da Pyongyang secondo cui Jo Song Gil e la moglie avevano lasciato l’ambasciata il 10 novembre e che “la figlia aveva chiesto di ritornare nel suo Paese dai nonni”. La nota prosegue e spiega inoltre che la ragazza vi aveva fatto ritorno 4 giorni dopo “accompagnata da personale femminile dell’ambasciata”. Un comunicato precedente, datato 20 novembre, aveva informato Roma della sostituzione di Jo Song Gil con il signor Kim Chol, che da quel momento avrebbe assunto il ruolo di incaricato d’affari di Pyongyang facente funzioni di ambasciatore. Quando da Seoul è giunta la notizia che Jo Song Gil si trovava all’estero sotto la protezione di un governo occidentale la Farnesina aveva già fatto sapere dell’avvicendamento del funzionario presso l’ambasciata di Roma. Perché Jo non ha chiesto protezione alla Corea del Sud, di solito meta dei disertori nordcoreani? La sorte a cui vanno incontro i familiari di chi abbandona Kim e scappa in Corea del Sud è ben peggiore, di chi chiede asilo a un altro Paese, ha detto ancora Thae all’agenzia Yonhap. Per questa ragione Thae ha ritirato il suo vecchio invito rivolto a Jo di andare in Corea del Sud e di unirsi ai sostenitori alla causa della “riunificazione della Corea”. Il motivo potrebbe anche essere che la storia di Jo non doveva rendere ancora più difficili i negoziati tra Seoul, Washington e Pyongyang.

La vicenda della ragazza intanto si è trasformata in un mistero: niente si sa dei 4 giorni trascorsi tra la scomparsa di Jo Song Gil e della moglie e il rientro in Corea del Nord della minorenne. E non si sa nemmeno come sia stato possibile che una ragazza di 17 anni possa aver potuto decidere da sola di “tornare dai nonni” in un Paese per giunta come la Corea del Nord dove è noto che i figli dei disertori vengano internati in campi di lavoro forzato e sottoposti a violazioni dei diritti umani.

A cinque anni di distanza dalla pubblicazione dell’inchiesta delle Nazioni Unite sulla violazione dei diritti umani in Corea del Nord, il quadro è ancora molto serio. I prigionieri politici vengono torturati o giustiziati pubblicamente. Si stima che siano tra gli 80 mila e i 120 mila i prigionieri internati, alcuni sarebbero stati catturati anche per motivi religiosi. Molti sono espulsi da Pyongyang e finiscono la loro vita ai margini delle miniere. Il dossier dei diritti umani non figura nei punti del documento firmato da Trump e Kim a Singapore e si spera venga affrontato nel prossimo vertice. Ad ottobre dell’anno scorso Tomas Ojea Quintana, esperto Onu di diritti umani, ha detto che la situazione non è cambiata neanche dopo i recenti sviluppi delle relazioni tra Corea del Nord, Corea del Sud e Stati Uniti. «I diritti umani vengono usati per scopi politici», ha detto Quintana ripreso da AP.

Il leader nordcoreano Kim Jong un avrebbe giustiziato più di 70 membri dell’élite nazionale da quando ha ereditato il potere nel 2011. Il rapporto di North Korea Strategy Center di Seoul, visionato di recente da Nikkei, ha fornito i nomi di 76 persone tra diplomatici, membri di gabinetto, ufficiali del Partito dei Lavoratori di Corea e musicisti finiti nelle mire del dittatore. Tre di questi si sarebbero tolti la vita prima di essere giustiziati. Il report si basa sulla testimonianza di almeno 20 disertori di alto rango. Secondo il think tank, Kim sta cercando di basare il suo potere istituendo un regime di terrore. Un ricercatore del centro ha detto in condizioni di anonimato che Kim sarebbe in difficoltà nel gestire l’élite al potere nel Paese. Questa élite sarebbe sempre più desiderosa di diritti e interessata a cogliere le opportunità offerte dal capitalismo.

Manca meno di una settimana al secondo summit con Trump e Kim sarebbe perciò sempre più malvisto dai suoi uomini. Il leader ha infatti disposto purghe e ricambi ai vertici ministeriali che hanno portato a uno svecchiamento della classe politica. Questo ricambio avrebbe permesso di fare affidamento su persone che promettono di non voltargli le spalle. Kim non si fida e non riceve in cambio la fiducia dei suoi alti ufficiali e rappresentanti del governo. La probabile defezione di Jo non fa che rafforzare questa tesi, come anche la sostituzione di Choe Sun Hui, vice ministro degli Esteri prima alla guida nei negoziati con gli Stati Uniti. Kim Hyok Chol, ufficiale di alto rango del State Affairs Commission ed ex ambasciatore in Spagna espulso dopo i test missilistici del 2017, da poco è stato nominato al posto Choe Sun Hui controparte di Steve Biegun, rappresentante speciale degli Usa nella complicata trattativa con la Corea del Nord. Infine, ci sarebbe Han Song Ryol, ex viceministro degli esteri finito forse in un campo di lavoro con l’accusa di aver svolto attività di spionaggio per conto del governo americano.