A fine luglio il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha annunciato 113 milioni di dollari di investimenti in tecnologia, energia e infrastrutture nei Paesi emergenti dell’Asia. La nuova strategia statunitense per l’“Indo-Pacifico” cerca di contrastare la crescente influenza economica cinese nel continente proprio nel momento in cui non sembrano placarsi le tensioni nel Mar Cinese Meridionale. Nei primi giorni di agosto Pompeo ha visitato Singapore, Malesia e Indonesia per discutere della missione americana, che punta ad aumentare la sicurezza, lo sviluppo di tali Paesi e l’influenza Usa nella regione.
Il piano lanciato da Washington durante l’Indo-Pacific Business Forum, organizzato dalla Camera di commercio Usa è stato immediatamente paragonato al vasto e ambizioso progetto cinese Belt and Road Initiative. Gli Stati Uniti non hanno sostenuto l’iniziativa a e non sono parte dell’Asian Infrastructure Investment Bank, l’istituto finanziario che approva i fondi per i progetti della Belt and Road. Parlando al Forum delle imprese Indo-Pacifico, Pompeo ha detto che le iniziative americane lasceranno l’area “libera e aperta”, in contrapposizione, ha lasciato intendere, all’approccio seguito da Pechino e al suo progetto della Nuove Vie della Seta.
Tra i diversi investimenti proposti da Pompeo ci sarebbero 25 milioni di dollari destinati a espandere le esportazioni di prodotti tecnologici nella regione, in aggiunta ai 50 milioni che nel 2018 sono andati ai progetti di sviluppo di energia e a quelli di assistenza al miglioramento delle rete infrastrutturale. Inoltre, il governo americano ha promesso 350 milioni di dollari alla Mongolia per migliorare l’approvvigionamento d’acqua e centinaia di milioni di dollari allo Sri Lanka per la riforma dei trasporti. La strategia americana non può però competere, né per il totale dei fondi stanziati né per la sostanza dei progetti, con l’iniziativa strategica cinese sviluppata nel 2013 che ha raggiunto i mille miliardi di dollari di finanziamenti.
Con la presentazione di questo programma gli Stati Uniti hanno dimostrato di voler passare dalla consapevolezza riguardo l’impatto degli interventi di Pechino sulla geopolitica dell’Asia a una risposta politica concreta. I progetti a guida americana non andrebbero visti quindi in opposizione alla Belt and Road, piuttosto, ha affermato lo stesso Pompeo: “provano ad offrire un’alternativa valida per stimolare lo sviluppo e gli investimenti dei privati”. Eppure, la nuova strategia di sicurezza nazionale diffusa a gennaio 2018 dal Pentagono sottolineava l’impegno della Cina nel perseguire le sue aspirazioni strategiche attraverso le infrastrutture e il commercio con il resto dell’Asia. La Cina, secondo la strategia, sta usando un approccio all’economia di tipo “predatorio” per costringere i Paesi vicini a piegarsi ai suoi interessi. Lo stesso documento auspicava per gli Stati Uniti una maggiore cooperazione multilaterale con Giappone, Australia, India e un incremento della collaborazione con gli alleati della regione, da realizzarsi attraverso progetti infrastrutturali di alto valore strategico. Un altro aspetto interessante del nuovo atteggiamento americano verso la Cina è stata la scelta dell’Amministrazione di sostituire il termine “Asia-Pacifico” con “Indo-Pacifico” per riferirsi a un’area che va dalla costa occidentale dell’India a quella occidentale degli Stati Uniti. La denominazione non è casuale perché si riferisce a una regione democratica che esclude il gigante asiatico.
Confronto USA-Cina a parte, l’ostacolo principale alla realizzazione della strategia americana dell’Indo-Pacifico è la diffidenza che i Paesi asiatici opporranno alle iniziative americane, soprattutto a fronte dell’abitudine dell’Amministrazione Trump di ritornare sui propri passi, come hanno dimostrato i negoziati con la Corea del Nord in primis. Washington cerca di porsi come un partner degno di fiducia, ma la prima mossa per rendere efficace la strategia dovrebbe essere riconsiderare il TPP, il cui ritiro ha privato l’Asia del dinamico modello di commercio americano.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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