Approccio win – win e una pioggia di investimenti, così la Cina di Xi Jinping sta plasmando la relazione con i Paesi arabi, da poco elevata al rango di “partnership strategica”. Intervenendo alla cerimonia di apertura dell’ottavo meeting del China-Arab States Cooperation Forum, tenutosi a Pechino a inizio luglio, il presidente della Repubblica Popolare ha annunciato un «futuro sino-arabo orientato verso la cooperazione onnicomprensiva e lo sviluppo comune». Il discorso di Xi ha inaugurato una nuova fase dei rapporti tra la Cina e il Medio Oriente che deriva dal rafforzamento della collaborazione in campo economico. Pechino guarda in particolare ai progetti infrastrutturali, i Paesi arabi sono partner naturali della Belt and Road Initiative, ma anche ai finanziamenti nel settore energetico, nell’economia digitale e nell’intelligenza artificiale. In Medio Oriente Pechino vuole vincere la sfida posta dalle crescenti richieste di energia rinnovabile, di auto elettriche e di tecnofinanza, settori in cui è leader mondiale. La novità sta però nel diverso orientamento di Pechino verso le crisi della regione, un cambio di rotta che potrebbe segnare in via definitiva la fine della linea del non intervento e della non interferenza nelle questioni politiche.

Le cifre dell’impegno cinese in Medio Oriente vanno dai 15 milioni di dollari da destinare allo sviluppo economico palestinese ai 91 milioni da distribuire tra Giordania, Libano, Siria e Yemen. Xi ha dichiarato inoltre di voler istituire un consorzio di banche centrali e un fondo speciale di 3 miliardi di dollari che saranno investiti in forma di aiuti e prestiti. Ma la Cina ha anche l’ambizione di accrescere in maniera esponenziale le importazioni dai Paesi arabi entro il 2025, per questo motivo saranno discussi i termini di accordi commerciali con 21 Stati. La necessità di Pechino di rispondere alla domanda di fonti di energia ha guidato negli anni gli investimenti nella regione, motivo che spinge la Repubblica Popolare a considerare petrolio, gas, nucleare e decarbonizzazione aspetti chiave della cooperazione con i Paesi di lingua araba. Mentre gli Stati Uniti continuano a perseguire una politica di disimpegno in Medio Oriente e sono concentrati sul motto dell’“America First”, la Cina cerca una collaborazione più solida, fondata su interessi reciproci, che possa assicurarle privilegi economici e metterla al riparo dai rischi posti da governi potenzialmente molto instabili. La linea preferita da Pechino era l’impegno esclusivamente economico senza alcuna interferenza politica, ma tale linea si sta gradualmente trasformando in una politica di maggiore coinvolgimento al fine di preservare gli investimenti. «Ritengo fondamentale lavorare alla soluzione dei due Stati e uscire dallo stallo in cui si trovano i colloqui tra Israele e Palestina il prima possibile», ha infatti affermato Xi Jinping proprio in occasione del China-Arab States Cooperation Forum di luglio. Per guardare al futuro della presenza cinese in Medio Oriente basterebbe considerare il ruolo sempre maggiore di Pechino nelle missioni di peacekeeping in Africa, dove il contributo cinese inaugurato nei primi anni Novanta è costantemente aumentato durante gli anni Duemila. Oggi il 75% delle missioni cinesi di peacekeeping riguardano il continente africano.

Una relazione speciale lega la Cina e l’Iran. Pechino, a differenza dei Stati Uniti, ha intuito che l’Iran è il Paese relativamente più stabile su cui conviene contare in una regione scossa da onde tumultuose. Teheran sarà uno dei maggiori beneficiari della Belt and Road, ma i rapporti tra i due attori oltrepassano l’aspetto economico e commerciale. La posizione geografica dell’Iran rende il Paese un collegamento terrestre tra la Cina e gli Stati dell’Asia centrale, che per gli investitori cinesi rappresentano un appetibile mercato da quasi 65 milioni di persone, e la regione del Caucaso. Pechino vede l’Asia centrale come una sorta di nervo scoperto che necessita di essere stabilizzato attraverso l’integrazione economica. Già da tempo la Cina ha rimpiazzato la Russia come maggiore partner commerciale degli Stati dell’area ma si appresta a consolidare la sua presenza intorno alle questioni più strettamente connesse alla sicurezza. L’alleanza militare tra Cina e la Repubblica Islamica, invece, risale all’inizio degli anni Ottanta è stata ulteriormente rafforzata dopo la firma dell’accordo sul nucleare del 2015. Pechino si è posta come uno dei maggiori artefici dell’uscita dall’isolamento internazionale dell’Iran. Nel novembre del 2016 i due Paesi hanno sottoscritto un accordo per combattere il terrorismo e a giugno 2017 le acque comprese tra il Golfo dell’Oman e lo Stretto di Hormuz hanno ospitato l’esercitazione militare più importante tra l’Iran e una grande potenza. Teheran però non può non riconoscere che l’amicizia con Pechino è ben lontana da costituire un’alleanza per le guerre che il regime combatte in Medio Oriente. I legami militari sono per i cinesi l’unico modo per salvaguardare gli ingenti interessi economici e commerciali, dal momento che nel 2016 i due Paesi hanno deciso di aumentare il volume degli scambi fino a raggiungere la somma di 600 miliardi di dollari entro i dieci anni successivi. La Cina è però al fianco dell’Iran nella guerra in Siria. Gli sforzi cinesi a sostegno di Assad sono funzionali agli interessi nella corsa al petrolio e agli idrocarburi. La Cina cerca di guadagnarsi un posto in prima fila nella ricostruzione dell’economia siriana e punta a integrare il Paese nel vasto disegno della rete infrastrutturale delle Nuove Vie della Seta.

A un Piano Marshall in versione cinese a favore dell’Africa potrebbe quindi seguirne uno destinato ai Paesi arabi. Lo sviluppo economico è per la Cina la chiave per risolvere le crisi umanitarie e politiche del mondo arabo, ma niente potrà essere realizzato senza lasciare da parte la tradizionale politica del non intervento e della salvaguardia della sovranità nazionale negli Stati in cui la Cina vorrà investite.