L’uso di armi chimiche da parte del Giappone in Cina nella seconda guerra sino-giapponese è stato confermato per la prima volta nella storia. La conferma arriva dall’agenzia Kyodo. La prova di questo crimine è contenuta in un report compilato dai membri di un battaglione dell’Esercito imperiale nipponico di stanza nel nord della Cina durante la guerra. Lo storico giapponese Seiya Matsuno ha riferito del contenuto di tale imporante documento che testimonierebbe l’uso di gas nervino nel 1939 da parte dei giapponesi.
Gli agenti utilizzati causarono l’infiammazione della pelle e delle mucose e comportarono dolori molto forti al sistema respiratorio delle vittime. Matsuno ha affermato che per la prima volta in assoluto è stato scoperto un rapporto redatto dai membri stessi dell’Esercito nipponico in cui vengono fornite informazioni molto dettagliate sull’utilizzo dei gas letali. Documenti di questo tipo sono stati distrutti dall’Esercito imperiale, ma a quanto pare, uno sarebbe stato conservato personalmente da un ufficiale. La scoperta permette di ritornare a una fase triste della storia della Cina e svela di nuovo al mondo la spietatezza dell’Esercito niponnico durante l’occupazione. «Rivelare ciò che accadde sul campo di battaglia nel corso della seconda guerra sino-giapponese è solo la punta di un icerberg. Dobbiamo cercare la verità per impedire che tragedie come questa si ripetano», ha commentato Matsuno. Il rapporto, di quasi 100 pagine, si riferisce alla battaglia che avvenne sulle montagne della provincia del Shanxi nel luglio del 1939, due anni dopo lo scoppio della guerra. «L’esercito nipponico era consapevole che stesse violando il diritto internazionale, ecco perché probabilmente scelse le montagne per lanciare attacchi con armi chimiche. Lì sarebbe stato più difficile dimostrarlo», ha spiegato ancora lo storico. L’uso di armi chimiche era proibito dalla Convenzione dell’Aja concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre del 1907, ratificata dal Giappone.
La seconda guerra sino-giapponese
La seconda guerra sino-giapponese venne combattuta dal 1937 al 1945 tra Giappone e Cina. Il 7 luglio del 1937 si verificarono degli scontri tra le forze armate giapponesi e un’unità dell’Esercito cinese vicino al Ponte di Marco Polo, a Pechino. Fu una copia dell’incidente di Mukden, forse inventato dai giapponesi. Il 18 settembre del 1931 i giapponesi avevano iniziato l’occupazione della Manciuria, dichiarando che l’intervento era stato causato da un attentato ai binari della ferrovia della Manciuria meridionale nei pressi di Mukden. La ferrovia era stata strappata dal Giappone alla Russia nel 1905. Lo scontro che ne seguì fu usato come pretesto dal Giappone per intervenire. Le truppe nazionaliste di Chiang Kai-shek nel 1930 avevano preso Pechino e il Giappone temeva che anche la Manciuria di lì a poco sarebbe finita nelle mani dei nazionalisti. Quello del Ponte di Marco Polo non fu quindi il primo caso di contatti tra i due eserciti, ma il Giappone approfittò dell’incidente per dare avvio a un’offensiva di vaste proporzioni contro il governo di Nanchino. Pechino cadde il 10 luglio, Shanghai fu occupata il 27 ottobre. A Nanchino, dove l’Esercito del Giappone si rese responsabile di atti di violenza costati la vita a 300 mila civili innocenti, fu presa il 14 dicembre. Il 14 dicembre 1937 è passato alla storia come il giorno dell’eccidio di Nanchino, quando venne creato a Pechino un “governo della Cina del Nord”. Il Guomidang si rifiutò di collaborare con i giapponesi e Chiang fece capire chiaramente al Giappone che si sarebbe opposto ai piani di espansione di Tokyo in Cina. Il 13 dicembre i giapponesi circondarono Nanchino, bombardarono la città con lo scopo di abbattere la resistenza cinese. La presa di Nanchino viene ancora oggi considerata un evento particolarmente drammatico per i cinesi. Ma lì i giapponesi non si comportarono diversamente da quanto fecero in altre città o villaggi del Delta del Fiume Azzurro tra il novembre e il dicembre del 1937. Secondo alcuni studi, nell’estate del 1937, con le operazioni su vasta scala lanciate in Cina, il Giappone cominciò a intraprendere il cammino che l’avrebbe portato a combattere la guerra contro gli Stati Uniti nel Pacifico. Gli americani non reagirono subito alle operazioni militari in Cina e non adottarono alcuna misura di ritorsione contro i giapponesi. La situazione tuttavia cambiò tra il 1938 e il 1939. Gli Stati Uniti, presa coscienza di quanto stava accadendo in Europa, iniziarono a uscire dal loro isolazionismo. Stabilito che esisteva un pericolo in Europa, gli americani furono costretti ad ammettere che ne esisteva un altro in Estremo Oriente: l’espansionismo nipponico. Il 3 novembre il principe Konoe in una trasmissione radiofonica proclamò il programma del “Nuono Ordine in Asia orientale”, fu la fine dell’isolazionismo americano e l’avvio per gli Usa ad assumere di un ruolo più attivo in Estremo Oriente.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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