Muscoli, armi e intelligence. È questa la formula con cui dal post primavere arabe le agenzie di sicurezza private internazionali sono diventate gli alleati più affidabili per decine di governi africani. Addestrano le forze speciali, si occupano della sicurezza personale dei presidenti, alimentano o sventano tentativi di colpi di stato, difendono impianti energetici. Il loro apporto è sempre più centrale anche per le potenze straniere presenti nel continente: perché non esitano a spingersi oltre le canoniche condizioni di ingaggio, fornendo supporto militare contro milizie ribelli o gruppi jihadisti laddove le forze regolari sono rimaste impantanate. Buona parte dei contratti resta saldamente nelle mani delle agenzie americane, francesi, inglesi e israeliane. L’offerta interna arriva quasi esclusivamente dal Sudafrica. Russi, ucraini e cinesi, invece, provano a rompere queste gerarchie facilitando le forniture di armi e puntando su prezzi al ribasso.

Erik Prince, il “signore della guerra”

Africom, il comando militare africano degli Stati Uniti con sede in Germania, si serve di circa venti società di sicurezza private americane per supporto in operazioni di intelligence, trasporti e logistica, evacuazioni ed esfiltrazioni, missioni di combattimento.

Un “mistero” che non è più tale dal 4 ottobre del 2017, giorno in cui al confine tra Niger e Mali un commando del gruppo Stato islamico tese un’imboscata a una squadra di soldati americani e nigerini. Il Pentagono confermò che tra le vittime statunitensi c’era anche un contractor, mentre immagini dall’alto riprese da droni mostrarono che i soldati feriti vennero tratti in salvo da un elicottero Bell 214 di proprietà della compagnia privata Erickson.

Il “signore della guerra” americano più famoso in tutto il continente rimane Erik Prince, ex ufficiale dei Navy Seal, fondatore della famosa Blackwater e oggi a capo della FSG (Frontier Services Group) con sede a Hong Kong. FSG opera stabilmente in Sud Sudan, Somalia e Repubblica democratica del Congo. Nel maggio scorso ha raggiunto un accordo con Sharif Hassan Sheikh Aden, presidente dell’amministrazione regionale del Sudovest della Somalia, per sorvegliare i lavori di costruzione di un porto e l’ammodernamento di un aeroporto nella locale zona di libero scambio.

Dietro questo accordo c’è la China International Trust and Investment Company, con cui Prince è in affari e per la quale aveva già inviato i suoi uomini in Sud Sudan nel 2014 per trattare con presidente Salva Kiir e tutelare gli interessi petroliferi cinesi nella regione del Nilo Superiore. Prince è in ottimi rapporti anche con gli Emirati Arabi Uniti per cui gestisce strutture di addestramento alle porte di Mogadiscio e a nord dell’area portuale di Berbera nel Somaliland.

Contractor russi e ucraini

Mosca non sta a guardare. Mentre nel parlamento russo è in corso il dibattito per istituzionalizzare le PMC (Private Military Companies), in Africa a mettere gli stivali sul terreno sono soprattutto i mercenari della compagnia militare privata Wagner, della quale si è molto parlato nel luglio scorso dopo l’uccisione di tre giornalisti russi che stavano indagando sulle attività del gruppo in Repubblica Centrafricana.

Per fare presa su Bangui, Mosca ha ottenuto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una deroga alla possibilità di inviare armi e addestratori alle malmesse Forze armate centrafricane. Un “favore” che ha spianato la strada agli uomini di Wagner a Bangui. Qui, per circa 300mila rubli al mese, si occupano della protezione personale del presidente Faustin-Archange Touadéra e hanno trasformato in un compound le proprietà dell’ex presidente Jean-Bedel Bokassa.

In altre aree del paese vigilano sulle miniere di diamanti. La compagnia opera anche in Sudan, dove Putin punta a costruire una base navale sul Mar Rosso e dove, su richiesta del presidente sudanese Omar Hassan El-Bashir, i mercenari di Wagner vengono assoldati per missioni lampo nel Darfur e in Sud Sudan. Altre società di sicurezza private russe sono presenti nella regione libica della Cirenaica. Tra queste, la RSB-Group ha gestito operazioni di sminamento nell’area di Bengasi. Contractor russi sono inoltre stati ingaggiati per addestrare i soldati dell’esercito del generale Khalifa Haftar nella base egiziana di Sidi Barrani, vicino al confine con la Libia.

Nel Sahel, in Sudan, Repubblica del Congo e Costa d’Avorio sono attive diverse società ucraine. Dall’Ucraina sono arrivati elicotteri per l’evacuazione di personale medico della missione Onu Minusma in Mali. La Omega Consulting Group offre stipendi mensili che vanno da un minimo di 2mila a un massimo di 14mila dollari al mese in base al curriculum e al livello di rischio delle operazioni.

Ma cosa cercano, nello specifico, i governi africani? «Da un lato – spiega a Nigrizia Akram Kharief, giornalista algerino specializzato in difesa e sicurezza e fondatore dell’Osservatorio Menadefense – ci sono quegli stati che stanno affrontando il terrorismo ma non hanno conoscenze nel contrasto di insurgency, come Kenya, Nigeria o Burkina Faso.

Dall’altro ci sono paesi che non hanno costruito vere e proprie forze di sicurezza o in cui c’è scollamento tra il potere centrale e l’esercito, come accade in Repubblica Centrafricana o, in misura minore, in Repubblica democratica del Congo. Chi è interessato alla logistica può rivolgersi alle agenzie di Usa, Francia e Ucraina. Quei paesi dell’Africa Occidentale che invece hanno bisogno di muscoli si rivolgono soprattutto a società ucraine o russe, che poi, a loro volta, assumono sia locali sia nordafricani che parlano francese».

Le offerte al ribasso della Cina

Soluzioni a basso costo, infine, sono quelle proposte dalla Cina. La possibilità di disporre dal 2017 di una base militare a Gibuti ha permesso a Pechino di evitare i controlli portuali a Port Sudan (in Sudan) e aumentare così l’export bellico destinato non solo a Khartoum e al Sud Sudan ma a tutta l’Africa, dove oggi, secondo il Sipri (Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma), copre una quota di mercato superiore addirittura a quella degli Stati Uniti (17% contro 11%).

Questo canale sta già creando nuove opportunità anche per le società di sicurezza cinesi che oggi sono più di 5mila e impiegano quasi 4,3 milioni di persone. Tra queste, una delle più attive nel continente è la DeWe Security Services, che nel luglio del 2016 ha evacuato circa 300 dipendenti della China National Petroleum Corporation a Juba, capitale del Sud Sudan, a causa degli scontri tra forze governative e milizie ribelli.

A lungo andare l’offerta di Pechino potrebbe diventare sempre più allettante anche per i governi africani. I contractor cinesi non hanno particolare esperienza, ma la Cina sta inondando di armi l’Africa e in media i suoi “pacchetti sicurezza” costano dodici volte in meno rispetto a quelli degli altri competitor.

Articolo pubblicato su Nigrizia.it