Il parlamento di Baghdad ha eletto Barham Salih nuovo presidente dell’Iraq. Salih, candidato del Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), è considerato un moderato per il suo approccio morbido all’annosa questione dell’indipendenza curda.

Dall’invasione del 2003, che aveva portato al rovesciamento del regime di Saddam Hussein, il potere in Iraq è spartito fra i tre principali gruppi etnici e religiosi. La carica di Capo dello Stato, per lo più simbolica, è di norma assegnata a un curdo, quella molto più rilevante di primo ministro a un arabo sciita, mentre il ruolo di presidente del parlamento è ricoperto da un arabo sunnita. Salih, che era già stato primo ministro della regione autonoma del Kurdistan e vice primo ministro per il governo federale iracheno, vanta buone relazioni sia con l’Occidente, in particolare con gli Stati Uniti, sia con Iran e Turchia. Nato 58 anni fa a Sulaimania, nella regione curda, è conosciuto anche con il soprannome di “Doctor Barham”. Da esiliato del regime di Saddam, ha studiato ingegneria in Gran Bretagna e, tornato in Iraq, ha fondato l’American University of Iraq – Sulaimani.

L’elezione di Salih ha richiamato all’attenzione dei media la profonda spaccatura che esiste tra i due storici partiti curdi: Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) e il Partito Democratico del Kurdistan (KDP). Il voto per l’elezione del presidente era stato infatti rimandato di un giorno perché mancava il quorum necessario e perché PUK e KDP non sono riusciti a trovare un accordo su un nome comune. Fuad Hussein, candidato del KDP e braccio destro dell’ex presidente del Kurdistan e leader del partito Masoud Barzani, nel secondo giro di consultazioni si è fermato a 22 preferenze, contro le 219 ottenute da Salih. Lo scontro ha contribuito a mandare in frantumi l’intesa strategica tra i due partiti, secondo cui la presidenza del Kurdistan va a un esponente del KDP, mentre quella federale andrebbe a un membro del PUK. Nonostante la passata collaborazione nella politica nazionale con il PUK, il KDP ha continuato a spingere per il proprio candidato. L’elezione di Salih potrebbe dunque produrre un effetto destabilizzante sulla regione del Kurdistan iracheno e causare nuove tensioni tra i due partiti. PUK e KDP continuano a controllare infatti porzioni differenti di territorio: il primo è presente nelle province di Ebril e Dohuk; il secondo invece in quelle di Sulaimania e di Halabja. Durante la guerra civile degli anni Novanta i due schieramenti hanno combattuto l’uno contro l’altro ma, all’indomani della deposizione di Saddam, erano riusciti a raggiungere un’intesa. La rottura si è consumata nel 2017 in seguito alle dimissioni di Barzani dalla presidenza del Kurdistan, dovuta alla dura risposta di Baghdad al risultato del referendum sull’indipendenza curda, e alla morte del presidente iracheno Talabani. Sull’onda del referendum, Baghdad ha imposto un embargo economico sulla regione e ha riconquistato Kirkuk, territorio ricco di petrolio. Come conseguenza, KDP e PUK si sono accusati a vicenda di tradimento. I due partiti, inoltre, si sono fronteggiati domenica 30 settembre alle elezioni indette per il rinnovo del Parlamento locale del Kurdistan, i cui risultati non sono ancora stati diffusi e per le quali è stata formulata l’ipotesi di brogli. Sia KDP che PUK mirano ad ottenere la presidenza della regione, poltrona ancora vacante, ma il PUK punta anche marginalizzare il rivale.

La costituzione irachena riconosce 15 giorni di tempo al Capo dello Stato per la nomina del premier incaricato. Salih però ha subito rotto gli indugi, conferendo l’incarico ad Adel Abdul Mahdi, già ministro dell’Interno delle Finanze e successivamente del Petrolio. Questa mossa consentirebbe all’Iraq di uscire dallo stallo politico che perdura dalle elezioni dello scorso maggio. Mahdi, di estrazione sciita, ha adesso 30 giorni per formare il suo esecutivo e in seguito chiedere l’approvazione del parlamento. La sua nomina, arrivata nel giro di poche ore dall’elezione del presidente, ha portato a credere che sul suo nome fosse già stato sottoscritto un accordo durante un vertice segreto a Beirut tra il predicatore sciita iracheno Moqtada al-Sadr, il capo degli Hezbollah libanesi Hassan Nasrallah e il capo della Forza Qods, costola delle Guardie della rivoluzione islamica. Il compromesso avrebbe avuto dunque l’appoggio dell’Iran che vorrebbe estromettere gli Stati Uniti dall’Iraq. Washington avrebbe infatti preferito la linea della continuità, garantita dal premier Haider al-Abadi.