Mentre nel Paese cresce di ora in ora il numero dei contagiati da Covid-19 e si annunciano lockdown regionali (tutti segnali che la gestione della pandemia non è stata ottimale), il Governo è fermo in attesa degli Stati Generali del M5S.
Qualche mese fa, l’esecutivo era immobile in attesa delle elezioni regionali, vinte di poco dal centrosinistra, adesso sembra immobile in attesa degli «Stati Generali» del Movimento Cinque Stelle, il Congresso in cui decideranno “cosa fare da grandi”. Alla kermesse pentastellata si scontreranno le due anime del Movimento: i governisti, capitanati dal Ministro degli Esteri, Luigi di Maio, e i movimentisti, guidati dal fu deputato Alessandro di Battista.
In cosa divergono le due anime? In primis, da inimicizia personale fra i leader dei due schieramenti, un tempo uniti da sincera amicizia battagliera e barricadera. Tuttavia, la vera distinzione è sulla visione politica del partito (il M5S) e del Paese. Di Maio si è calato bene nella parte del Ministro della Repubblica e, conseguentemente, non gradisce gli interventi a gamba tesa dei pentastellati della prima ora, come appunto Di Battista. Questi ultimi giudicano in maniera molto severa l’operato del titolare della Farnesina e del Movimento tutto, richiedendo che si torni allo spirito originario e fondativo, cioè il movimentismo di piazza continuo. La compagine dei descamisados: i “movimentisti”, appunto, che hanno anche presentato un’agenda di Governo, in vista degli Stati Generali. Tra i punti vi sono: fermare l’edilizia e stop a tutte le infrastrutture pubbliche; chiudere tutti i centri commerciali la domenica; ritirare ogni contingente italiano impegnato in missioni di peacekeeping nel mondo; presentare una legge per la prevenzione del suicidio.
Al momento, Di Maio e i «governisti» non hanno un vero e proprio programma da contrapporre al manifesto di Di Battista, se non continuare con la politica del Governo giallorosso e insistere per una più forte sinergia col Pd, soprattutto in vista delle prossime elezioni amministrative. Importante sarà soprattutto il nodo di Roma, dove la figura di Calenda, sembra, al momento, l’unico sfidante del campo di centrosinistra. Linea, questa, che ha avuto la benedizione del fondatore Beppe Grillo.
I due programmi, quantomeno le due visioni politiche del Paese, sono comunque un’importante divisone politologica di cosa è il Movimento 5 Stelle.
Se la politica di Di Maio, ciò che è il partito attualmente, è stata determinata in buona parte dalle necessità contingenti di adattamento alle situazioni del momento – e per questo spesso è risultata incoerente – ha comunque tagliato il traguardo di aver portato il Movimento al Governo. I “movimentisti”, al contrario, sono rimasti alle origini, cioè come il Movimento si era presentato al mondo, ovvero “quello che avrebbe potuto essere”.
Si vocifera di una scissione, che sembra abbastanza improbabile, se non la fuoriscita di singoli come nel caso di Gianluigi Paragone. Questo perchè il Movimento 5 Stelle, al di là della dicotomia congressuale, non ha vere e proprie “correnti”, quindi non ha voti sul territorio.
Concludendo, il Governo è fermo, in attesa di un congresso di partito, che rischia di trasformarsi in una lite condominiale. Una situazione che ricorda molto i riti della Prima Repubblica, senza però i grandi pensieri politici che erano dietro ad essa e, soprattutto, coniderato che la priorità dovrebbe esere la gestione della pandemia
Michele Rosini
Nato a Livorno nel 1989, studia studia Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l'Università di Pisa. Appassionato di geopolitica e politica italiana. Europeista e atlantista, parla fluentemente inglese e spagnolo, un po' di tedesco e di olandese.
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