Ad oggi in Messico, dopo l’arresto del Chapo Guzman, boss del cartello di Sinaloa, i cartelli vivono un periodo di transizione in cui le dinamiche e i rapporti delle strutture criminali sono sempre più fluidi e soggetti a cambiamenti. Benché i media, per esigenze narrative, tendano a identificare le leadership dei cartelli in personalità più o meno carismatiche, le organizzazioni si ritrovano in una forma sempre più parcellizzata e liquida (si contano ormai fra i 60 e gli 80 gruppi criminali classificabili come cartelli nel solo Messico), in cui capi o presunti tali si alternano, senza spesso ricevere un “battesimo” da parte della stampa.

Questa nuova conformazione acefala sembra trovare riscontro in alcune interviste fatte a uomini del cartello di Sinaloa, per i quali la figura di un capo non è più così centrale nell’economia di un cartello, ma viene subito sostituita, senza alterarne sostanzialmente la struttura. Questo storicamente contrasta con l’impostazione leaderistica dei cartelli colombiani di Cali e Medellìn. Ulteriori differenze si riscontrano anche nella gestione del traffico di cocaina: i cartelli colombiani erano organizzazioni complesse e strutturate che agivano come un vero e proprio oligopolio del narcotraffico, i cartelli odierni assomigliano invece più ad armate di gangster e vigilantes in guerra tra loro per preservare il controllo territoriale.

Il fattore che sembra ancora determinante per i cartelli è l’esercizio di un dominio territoriale che coinvolga anche aspetti economici, sociali e culturali. In Messico in alcune zone abbandonate, come il triangolo d’oro messicano, specialmente nello Stato di Sinaloa, la coltivazione di papaveri da oppio costituisce l’unica fonte di reddito per intere frange sociali di campesinos, ben risoluti a difendere le piantagioni. Questo aspetto, sommato alla morfologia della catena montuosa della Sierra Madre, rende difficilissime le operazioni e gli interventi da parte delle autorità.

Controllo territoriale, capitalizzazione dello malcontento sociale delle comunità autoctone e un avanzamento in quella che può essere definita come una guerra anche sempre più tecnologica, sembrano essere gli strumenti che permettono ai cartelli di esercitare, benché frammentati, la loro influenza.

 

Chi sono i Los Zetas

Il successo di gruppi come Los Zetas (ad oggi il gruppo più potente del Messico, la cui egemonia si estende da Couhuila, al confine con gli Stati Uniti, fino a Campeche, confinante con il Guatemala) sembra infatti attribuibile alla sua organizzazione e strutturazione di tipo paramilitare. Ex disertori dell’esercito messicano, i membri dei Los Zetas sono stati per anni la costola armata del cartello di El Gulfo da cui si sono distaccati nel 1999. L’organizzazione, una volta indipendente, è stata responsabile di una trasformazione radicale nella fisionomia del narcotraffico messicano.

Il loro modo di combattere, mutuato dalle piccole unità speciali dell’esercito, ha finito ben presto per caratterizzare le guerre della droga in Messico. Le tecniche di combattimento paramilitare degli Zetas vennero infatti emulate da tutti i cartelli dei narcos, che passarono da un’impostazione gangsteristica a una paramilitare, dotandosi di vere e proprie milizie d’assalto con armi pesanti e mezzi corazzati.

Il caso dei Los Zetas conferma che negli ultimi anni i cartelli si sono trasformati da gruppi criminali tradizionali in gruppi terroristici paramilitari con tecniche di guerriglia. Tunnel scavati nel sottosuolo per trasportare illecitamente stupefacenti o per darsi alla fuga in caso di necessità (usati anche da El Chapo Guzman per due sue evasioni dal carcere), unitamente all’utilizzo di jeep militari per eludere i controlli, sono alcune delle tecniche ideate dai cartelli per sfuggire alle autorità, che, di converso, hanno iniziato a utilizzare droni e mezzi corazzati.

Gli scontri avvenuti nel maggio 2016 tra il cartello di Jalisco Nueva Generación (ex braccio armato di Sinaloa) e l’esercito, conclusisi con l’abbattimento di un elicottero militare con il lancio di un razzo RPG e con decine di morti da entrambi gli schieramenti, ricordano più scene di guerra tra eserciti che non tra crimine e polizia.

Inoltre, se omicidi ed esecuzioni hanno sempre caratterizzato la storia del narcotraffico e in generale della criminalità organizzata, gli Zetas si sono costruiti una reputazione sanguinaria ricercando la maggior copertura mediatica possibile. Gli Zetas sono stati infatti il primo gruppo terroristico-criminale a pubblicare su internet le esecuzioni dei loro nemici e, come ISIS e Al Qaeda, a realizzare video propagandistici per attirare nuove leve. L’infierire sui cadaveri e il ricorrere a una brutalità estrema nelle loro uccisioni sembrano funzionali principalmente a fargli ottenere le prime pagine sui quotidiani: nella città di Monterrey (Stato di Nuevo Leon) gli Zetas prediligono uccidere il martedì sera, giorno in cui consegnano le offerte alla Santa Muerte e all’orario in cui vanno in onda i telegiornali più seguiti.

Benché gli Zetas siano un gruppo terroristico-criminale post ideologico, i suoi membri non sono insensibili alla diffusione di culti sincretici di derivazione cristiano-popolare in cui simbologie funeree e santificazioni personalistiche di banditi del passato (emblematica la figura di Jesus Malverde) rappresentano ancora oggi un forte catalizzatore fideistico sia per le classi più povere che per il mondo della criminalità.

Altari improvvisati a questo pantheon sovversivo prosperano lungo le strade che collegano le città della frontiera tra Messico e Stati Uniti, dove non è raro imbattersi in vere e proprie cappelle dedicate alla Santa Muerte, spesso allestite dagli stessi narcos. Lungo la strada Ribereña, nello Stato di Tamaulipas al confine con il Texas, ci si poteva imbattere in ben venti cappelle dedicate al culto della Santa, fatte costruire dagli Zetas, per segnalare la loro presenza sul territorio. Le cappelle sono state distrutte dall’esercito nel 2010.

È interessante, infine, notare come il laicismo che da sempre ha contraddistinto i cartelli abbia lasciato il posto in alcune nuove organizzazioni di narcotrafficanti a una sorta di grottesca mistica criminale, in cui passi del Vangelo e figure classiche della cristianità vengono reinterpretati per “giustificare” le efferatezze dei cartelli.  Frammentati (e forse anche per questo) potenti, i cartelli rimangono articolazioni del crimine integrate nella struttura sociale del Centro-America, in cui ad oggi sembrano prevalere i gruppi più preparati sul piano tattico-militare.

Nonostante i cartelli alternino ciclicamente crisi e rinascite, attualmente sembrano uscire vincitori da un conflitto con istituzioni sempre più colluse e incapaci di gestire questa piaga: l’epilogo della presidenza Javier Duarte, governatore di Veracruz, latitante dopo l’accusa di aver razziato ingenti somme dai fondi pubblici e arrestato nel marzo scorso, è sovrapponibile per molti aspetti a quella di un boss del narcotraffico.

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