Inizia il nuovo anno lunare, tempo di bilanci tra Italia e Cina. In tutto il territorio italiano la comunità cinese festeggia l’arrivo dell’“anno del maiale”, animale associato alla ricchezza. Ed è proprio questo che Roma e Pechino si augurano per il futuro. L’anno scorso l’interscambio commerciale tra Italia e Cina è cresciuto del 4,8% rispetto al 2017, scrive il Sole 24 ore. Ma il governo di Roma vuole fare anche di più. L’Italia infatti ha posto grande impegno nella promozione dei rapporti bilaterali con la seconda economia del mondo e l’intenzione di stimolare tali legami trova spazio in un vero e proprio piano strategico. Lo hanno dimostrano la creazione della task force Cina del Ministero dello Sviluppo Economico, affidata alla guida del sottosegretario Michele Geraci, e il memorandum di intesa firmato a settembre sulla collaborazione in campo macroeconomico con la Cina e sulla cooperazione bilaterale sino-italiana verso Paesi terzi. Tra questi in primo luogo l’Africa, dove però l’Italia si scontrerebbe con gli interessi francesi.

Negozi, bar, ristoranti, b&b, il territorio italiano si colora di rosso. Se si potesse disegnare una mappa delle attività imprenditoriali cinesi attive nella penisola, proprio come c’era da aspettarsi, questo rosso sarebbe più carico al Nord e più sbiadito al Sud. La Camera di Commercio di Milano ha tirato le somme. Sono 50.797 i piccoli imprenditori nati in Cina e impegnati nella penisola. La comunità cinese in Italia è cresciuta del 23% negli ultimi sei anni e dell’1,8% nel 2018. I titolari cinesi lavorano in particolare nel commercio, che si conferma l’attività più diffusa con 20 mila presenze. Sono 17 mila, invece, quelli attivi nel settore manifatturiero. Anche la ristorazione e l’alloggio vedono una buona presenza cinese, più di 7 mila imprenditori, mentre 4 mila lavorano nel settore dei servizi alla persona. La prima regione per titolari di imprese nati in Cina è la Toscana, che conta un totale di 10.487 imprenditori. La Lombardia è seconda con 10.290. Seguono: Veneto con più di 5.500; Emilia Romagna con 4.820; Lazio con 3.776. La manifattura è più forte in Toscana, in Veneto, in Emilia Romagna. La Lombardia, dove gli imprenditori cinesi impiegati nel settore manifatturiero sono comunque numerosi, si distingue in particolare per l’alto numero di bar, ristoranti, parrucchieri, centri estetici e lavanderie. Nel Lazio l’attività maggiore è il commercio all’ingrosso e al dettaglio e le riparazioni di automobili. A Milano si concentra il maggior numero di titolari di imprese cinesi: 5.620, valore che rappresenta da solo l’11% del totale dei titolari di attività in Italia. Dopo Milano, l’area che vede una maggiore presenza di titolari cinesi è Prato, dove gli imprenditori nati nell’ex Impero Celeste sono 5.245. Questa comunità è cresciuta del 18% tra il 2012 e il 2018 e del 2% tra il 2017 e il 2018. Più di 4 mila sono i titolari cinesi di imprese manifatturiere. Milano e Prato sono seguite da Firenze, dove si contano quasi 4 mila imprenditori e dove la principale attività è la manifattura. A Roma, infine, gli imprenditori cinesi sono più di 3 mila.

La penetrazione della Cina nel tessuto economico italiano è sempre maggiore. Tra gli accordi più rilevanti siglati tra Italia e Cina si ricordano, ad esempio, quello della China National Chemical Corp che ha acquisito Pirelli nel 2015. Altri casi di società statali cinesi che controllano grandi gruppi italiani sono State Grid Corporation of China che nel 2014 ha acquistato il 35% di Cdp Reti e la collaborazione tra Shanghai Electric e Ansaldo Energia. Nel 2018 le aziende italiane controllate da trecento gruppi cinesi e di Hong Kong sono arrivate a 641, scrive il Sole 24 ore.

L’Italia è tra i Paesi europei in cui la Cina ha investito di più nel periodo compreso tra il 2008 e il 2018, come aveva confermato anche un’indagine di Bloomberg dell’aprile dell’anno scorso. Secondo i dati aggiornati di China Global Investment Tracker, archivio di dati curato dal think tank americano Heritage Foundation e impegnato a valutare annualmente il valore e la tipologia degli investimenti cinesi all’estero, il totale degli investimenti della Cina e delle costruzioni cinesi in Italia nel 2018 ha raggiunto i 24.9 miliardi di dollari. Il settore dei trasporti vede l’ammontare maggiore di investimenti cinesi, vale a dire 8.6 miliardi di dollari totali tra il 2012 e il 2018. Nell’ultimo anno sono arrivati a 6.4 miliardi di dollari gli investimenti della Cina nel campo dell’energia, mentre quelli relativi al settore della tecnologia hanno raggiunto i 4 miliardi. Ammontano, invece, a 2.8 miliardi di dollari gli investimenti finanziari cinesi nel nostro Paese;

La Cina guarda con interesse sempre maggiore all’Italia in quanto anello di congiunzione naturale tra Africa e resto d’Europa e in prospettiva dello sviluppo del mega progetto delle Nuove Vie della Seta. Nella vasta rete di infrastrutture terrestri e marine rientra anche l’ipotesi di partecipazione cinese in Alitalia. Tuttavia, durante la China International Import Expo, la prima esposizione internazionale per le importazioni della Cina svoltasi a novembre 2018 a Shanghai, l’Italia non ha firmato il memorandum di intesa per l’adesione alla Belt & Road Initiative. Roma si trova in una posizione difficile perché stretta tra le riserve europee e le inevitabili reazioni dell’alleato Usa al perfezionamento del memorandum sull’adesione italiana alla Bri, rimandato intanto ad aprile 2019. A spingere in questo senso sono gli interessi comuni di Cina e Italia a favore degli investimenti cinesi nei porti italiani, a cominciare da Trieste. Sono gli investimenti greenfield e brownfiled a cui l’Italia pensa con maggiore interesse, oltre che all’acquisizione di titoli di Stato italiani e alla maggiore penetrazione di capitale strategico dalla Cina. Tutto questo, però, avrebbe la scomoda conseguenza di compromettere l’alleanza con gli Stati Uniti, che con la strategia dell’Indo-Pacifico vogliono rispondere alle ambizioni cinesi. Sull’acquisto di titoli di Stato da parte della Cina Michele Geraci ha rassicurato, ma fino a un certo punto, quando ha detto:«Con gli investimenti in arrivo dalla Cina l’Italia non rischia la trappola del debito. È la Banca Centrale Europea che ha in mano il debito italiano».

Ma Bruxelles e Washington incidono anche sulle prospettive di collaborazione sino-italiana nel campo della ricerca tecnologica, in particolare con aziende come Huawei. Da tempo gli Stati Uniti stanno spingendo i propri alleati a escludere il colosso delle telecomunicazioni di Shenzhen dai progetti per lo sviluppo delle reti 5G. Australia e Nuova Zelanda lo hanno fatto, gli alleati europei starebbero correndo ai ripari contro i rischi per la sicurezza nazionale posti dai presunti legami tra Huawei e lo spionaggio di Pechino. L’eco della guerra per la leadership digitale tra Usa e Cina ostacolerebbe la trasformazione digitale europea e la cooperazione in ambito scientifico, ma per l’Italia comporterebbe anche una minore propensione da parte delle imprenditori cinesi a investire nel nostro Paese.

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