di Erminia Voccia
Ad accogliere i pescherecci diretti al porto di Unten c’era un panorama fatto di colline «desolate e spoglie», dove gli americani avevano bruciato ogni singolo albero per la paura delle mine inesplose. A Okinawa negli anni Cinquanta, subito dopo la fine della Guerra di Corea, il cemento fresco dei fabbricati dei militari americani faceva da contrasto ai tetti rattoppati di latta delle case degli indigeni, simili a delle «pustole che deturpavano il paesaggio».
Yukio Mishima (1925-1970) descrisse così l’isola di Okinawa nel romanzo La voce delle onde. Nel 1954, anno in cui l’autore ambientò una storia d’amore giovane e fresca come la spuma del mare, gli abitanti di una delle terre più remote del Giappone erano già costretti «a subire dalla mattina alla sera il frastornante rimbombo dei voli d’addestramento degli aerei e il traffico continuo dei mezzi militari».
«Subire dalla mattina alla sera il frastornante rimbombo dei voli d’addestramento degli aerei e il traffico continuo dei mezzi militari». Yukio Mishima, La voce delle onde
Quell’isola dell’arcipelago delle Ryukyu, nato nel tratto di mare dove l’Oceano Pacifico incontra il Mar Cinese orientale, ospita il 70% delle forze USA in Giappone. Il 6 novembre scorso, come disposto dal governo di Tokyo, sono ricominciati i lavori per la costruzione di una nuova base vicino alla cittadina costiera di Nago. Contro il piano, che prevede il trasferimento della base di Funtenma dalla città di Ginowan alla baia di Henoko, si sono scagliati sia il governatore della prefettura di Okinawa, Takeshi Onaga, che i residenti. La battaglia legale intrapresa da Onaga per bloccare la costruzione della base è arrivata alla Corte Suprema, che nel dicembre del 2016 ha respinto il ricorso del governatore. Gli attivisti, invece, hanno pagaiato a bordo di canoe fino ai cancelli del campo militare americano Camp Schwab pur di farsi sentire dagli americani.
La questione della nuova base pone anche un pericolo naturalistico per l’isola dopo il ritrovamento, a luglio, di una rara varietà di corallo nelle acque tropicali di Henoko. Il governo nipponico ha risposto alle proteste affermando che il corallo non verrà danneggiato e che la base è fondamentale per le capacità di deterrenza degli USA nel Pacifico.
I residenti di Okinawa devono anche fare i conti con le minacce alla propria incolumità. Sono frequenti gli incidenti causati dagli aerei Osprey, atterrati qui nel 2012, che Tokyo accettò di dislocare sull’isola attraverso un accordo siglato con Washington nel 1996. Alla prefettura di Okinawa la decisione è stata notificata solo nel 2011, forse proprio per il timore che i velivoli fossero malsicuri, scriveva ad ottobre il quotidiano nazionale nipponico Asahi Shimbun.
Alle vittime degli incidenti, non pochi dal 1965, vanno aggiunti anche i casi di violenza. L’ultimo episodio riguarda una ragazza di 20 anni violentata e poi uccisa a Uruma la notte del 28 aprile 2016, della cui morte sarebbe responsabile un ex marine americano.
Okinawa sopporta da sola il peso della storica alleanza tra Stati Uniti e Giappone nella totale indifferenza delle istituzioni centrali rispetto ai diritti civili e alle libertà dei suoi abitanti. Si sentono così, abbandonati, i residenti, spesso anche oggetto di insulti razzisti da parte dei giapponesi dell’hondo, come viene chiamata l’isola principale del Giappone. Dalla stipula del Trattato USA-Giappone sembra cambiato ben poco. I tribunali giapponesi non hanno alcuna giurisdizione sulle attività militari, gli aerei volano ovunque senza autorizzazione e i soldati americani non sono perseguibili dalla legge nipponica, tranne che in pochi casi.
Secondo un sondaggio di NHK, il servizio pubblico radiotelevisivo nipponico, i giapponesi danno per scontato che Okinawa debba essere sacrificata in nome della sicurezza nazionale e senza la necessità di chiedere il parere di chi ci vive. Prima del 1972, anno in cui l’isola è tornata formalmente sotto l’amministrazione del Giappone, la maggior parte delle truppe statunitensi erano dislocate nell’hondo. Ma a seguito delle proteste dei giapponesi, il primo ministro di allora, Nobusuke Kishi, trasferì quasi tutte le basi a Okinawa. Oggi, ha spiegato Japan Times, Tokyo non è intenzionata ad ascoltare le richieste dei residenti di Okinawa come avvenne per quelle dei giapponesi tra gli anni Cinquanta e Sessanta.
Redazione
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