India

Asia del sud
Aggiornata a maggio 2021 - L’India oggi è una federazione, la cui forma di governo è la repubblica costituzionale, a democrazia rappresentativa. Vige la classica divisione dei poteri delle democrazie occidentali, come retaggio della dominazione coloniale britannica (Compagnia delle Indie Orientali). La costituzione è entrata in vigore nel 1950, tre anni dopo l’indipendenza, e ha progressivamente accresciuto il peso e l’autonomia degli stati federali, soprattutto in seguito agli emendamenti dagli anni 90 in poi. l’India raggiunge l’indipendenza nel 1947, al termine della lunga campagna non violenta di disobbedienza civile intrapresa dal 1920 da Mohandas Karamchand “Mahatma” Gandhi. Con la fine dell’era coloniale, il subcontinente indiano viene suddiviso in due Stati: quello dell’India, a maggioranza induista, e quello del Pakistan, a maggioranza musulmana. Nel 1948 scoppia il primo conflitto tra i due Stati per l’annessione della regione del Kashmir, situata al confine tra i due territori. Gandhi, sostenitore di un’equa ripartizione delle riserve del vecchio impero inglese, viene assassinato da un fondamentalista indù il 30 gennaio di quell’anno. Il successore Jawaharlal Nehru guiderà l’India fino al 1964, ponendo le basi per uno stato moderno e democratico, con un’economia pianificata d'ispirazione socialista. Secondo la costituzione del 1950 il presidente ha compiti di mera rappresentanza mentre l'esecutivo è nelle mani del primo ministro. Nel 1965 scoppia un nuovo conflitto con il Pakistan e nel 1966 Indira Gandhi, figlia del Mahatma, diventa primo ministro. Nel 1977 le succede il figlio Rajiv: vengono assassinati entrambi, rispettivamente nel 1984 e nel 1991. Dal 2004 al 2014, dopo un breve periodo di governi di coalizione con il Partito Nazionalista Indù (BJP), l’India è guidata dal premier Manmohan Sing, esponente dell’Indian National Congress, lo storico partito fondato nel 1885 da cui ebbe origine il movimento di indipendenza indiano. Nel luglio 2007 Pratibha Patil, membro dell'Indian National Congress, è la prima donna ad essere eletta presidente. Il 23 luglio 2012 viene eletto presidente con il 69,31% dei voti Pranab Mukhrjee, candidato della United Progressive Alliance (UPA, coalizione di governo), battendo l’avversario politico cristiano, appoggiato dal partito ultranazionalista indù, P.A. Sangma. Nelle elezioni del 2014 il partito Hindu nazionalista Bharatiya Janata Party (BJP) e il suo candidato Narendra Modi vincono le elezioni parlamentari. Il successo del BJP viene interrotto nel 2015 con la schiacciante vittoria del Aam Aadmi Party (AAP), guidato da Arvind Kejriwal, alle elezioni per l'assemblea legislativa di Delhi. Vittoria nella capitale anche nel 2020, da parte del volto politico dell’anticorruzione, mentre a livello centrale continua a guidare il paese il BJP, capeggiato dall’uomo forte dell’India, Narendra Modi. Quest’ultimo ha infatti confermato il suo ruolo alle elezioni del 2019, grazie anche ad una larga coalizione politica di centro-destra, che sono apparse più come un referendum confermativo della sua persona. Uomo di umili origini, si è fatto strada nella politica incorporando le istanze delle caste più basse, raggiungendo progressivamente consensi nella classe media e finendo poi per ottenere credibilità anche tra le frange imprenditoriali della popolazione. Tutto questo a spese della minoranza musulmana, che costituisce il 14% della popolazione, nei confronti dei quali è stato polarizzato il discorso politico, vedendosi aggravare anche gli episodi di discriminazione. Tutto ciò gli è valso lo pseudonimo di “Politico dell’odio”, per i detrattori della sua linea d’azione. Al contrario, i sostenitori pongono l’accento sull’aumento degli investimenti, le leggi anticorruzione, come la demonetizzazione del 2016 e gli strabilianti tassi di crescita economica, in alcuni trimestri superiori anche alla Cina. Rimane tuttavia ancora problematica la questione relativa ai dati sulla disoccupazione, anche a causa di un’enorme crescita demografica, che fatica ad inserirsi nel ciclo di creazione di nuovi posti di lavoro. Dato che si inserisce nella sempre crescente diseguaglianza economico-sociale, che vede l’1% della popolazione detenere quasi il 52% della ricchezza complessiva. Ciò che invece contraddistingue maggiormente questo 2021 è la rivolta degli agricoltori, a seguito delle leggi del settembre 2020, che secondo il governo dovevano liberalizzare il settore, per promuoverne lo sviluppo. Gli oppositori fanno invece leva sul concreto rischia di esporre gli agricoltori, ovvero il 60% della forza lavoro, al monopolio/oligopolio di alcuni grandi aziende. Oltre al fatto che la riforma non ha seguito il formale iter di discussione parlamentare, sorpassando l’opposizione e scatenando critiche anche nel mondo politico. Le proteste imperversano da diversi mesi, a cui il governo ha spesso risposto con la violenza e con il blocco delle reti internet nei luoghi di riferimento, per interrompere la circolazione di informazioni e dissensi. La riforma è stata al momento congelata e si attendono sviluppi. Sotto la lente d’ingrandimento anche la complessiva centralizzazione delle riforme di Modi, che secondo molti tendono a favorire i pochi colossi industriali, in quello che viene definito “Conglomerate Capitalism”. Criticato per trovare risposte generali a problemi che necessiterebbero di interventi particolaristici. Questione che si sta inserendo nei moti di piazza, amplificando il bacino delle proteste. In politica estera invece l’India fa parte del dialogo quadrilaterale QUAD, con Australia, USA e Giappone, volto al contenimento dell’espansionismo cinese. Proprio con il dragone asiatico ci sono stati molti episodi di conflitto nel 2020. Primo fra tutti lo scontro di confine, che è costato la vita di decine di militari da ambo le parti. Ha fatto seguito la chiusura del social network Tik Tok, per il timore di spionaggio cinese, e c’è anche chi attribuisce il blackout di Mumbai dello scorso ottobre ad hacker di Pechino, in quello che è uno scenario geopolitico sempre più teso.
Il World Economic Outlook di aprile 2021, da parte del FMI, profetizza una crescita sostanziale del PIL dell’India, le cui previsioni si assestano addirittura attorno al 12%. Unico paese con prospettive di crescita a due cifre, tra tutti i 189 paesi facenti parte. Fanno da traino gli imponenti consumi del paese, che ancora non sono stati totalmente assorbiti dal tessuto produttivo di New Dehli, che per questo non necessita di sbocchi esterni. Dato che fa presagire un futuro di prim’ordine, se contestualizzato ad un debito contenuto. Grazie al piano “Make in India”, Modi sta attirando ingenti investimenti, che gli hanno permesso di scalare un centinaio di posizioni nella classifica globale dei paesi dove è più facile fare impresa (Ease of doing business). Anche il settore manufatturiero è in espansione, e come sottolineato dal primo ministro, entro il 2025 si prospetta un contributo al PIL del 25%, contro il 15 degli ultimi anni. Parametri positivi, che però lasciano spazio ad una grande incertezza soprattutto per i tassi di disoccupazione, i livelli di corruzione, le nuove sacche di povertà create dalla pandemia e il settore agricolo, come osservato nella sezione “Politica”, e come sottolineato dai moti di piazza che registrano decine di migliaia di manifestanti, scontenti delle politiche di governo. Quest’ultimo ha preannunciato una spesa pubblica esorbitante di 500 miliardi per il 2021, che secondo molti però, non riuscirà a risollevare la situazione del paese. Nonostante appaia più rassicurante la previsione del FMI, come detto in precedenza. Di fatti, nonostante sia uno dei Paesi più industrializzati al mondo, con una forza lavoro di oltre 500 milioni di persone, in India erano circa 300 milioni a vivere al di sotto della soglia di povertà, prima della pandemia. Numero drasticamente salito a 650 milioni, dopo il disastro Covid, che rischia di cancellare gli svariati progressi iniziati con le riforme di Singh, negli anni 90. Dal 1991, il governo aveva infatti progressivamente liberalizzato i propri mercati attraverso: riforme economiche, riduzione dei controlli sul commercio estero e sugli investimenti, privatizzazione delle imprese di proprietà pubblica e apertura di alcuni settori privati alla partecipazione straniera. Il Paese ha registrato una crescita media annuale intorno al 7% dal 1997 al 2011. L'aumento dei tassi di interesse, unito a un aumento dell'inflazione, hanno portato a una riduzione massiccia degli investimenti e a un deprezzamento della valuta nazionale, a partire dal 2011. Grazie ad un piano di riforme economiche e a un conseguente ritorno degli investimenti, il tasso di crescita si è riassestato intorno al 7% tra il 2014 e il 2015, rimanendo su questi livelli fino al drastico calo dovuto alla pandemia, che ha colpito però l’intera economia mondiale. I principali prodotti dell’agricoltura sono: riso, the (l’India è il secondo produttore al mondo dopo la Cina), canna da zucchero, spezie, frumento, semi oleosi, cotone, iuta, patate e caucciù. A causa delle credenze religiose che vietano agli induisti di consumare la carne bovina (si consumano solo il latte e i suoi derivati), l’allevamento è sfruttato in minima parte. Anche la pesca è poco sviluppata, nonostante l’India sia il terzo produttore mondiale di pescato dopo Cina e Perù. Le principali attività industriali sono concentrare nei seguenti settori: automobili, cemento, prodotti chimici, elettronica, trasformazione alimentare, macchinari, miniere, petrolio, prodotti farmaceutici, acciaio, mezzi di trasporto e tessile. Le principali risorse energetiche sono carbone, lignite e petrolio (giacimenti nel Gujarat, nel Nagaland e nell’Assam, quello offshore nel golfo di Cambay al largo della costa del Maharashtra e nel golfo del Bengala), bauxite, cromite, diamanti, minerali di ferro, calcare, manganese, mica, gas naturale e titanio. È rilevante il potenziale idroelettrico ed è in crescita anche il settore elettronucleare. Il Bhabha Atomic Research Centre di Trombay, presso Bombay, è un centro all’avanguardia per la ricerca dell’energia nucleare. L'India è una potenza nucleare e dispone di dieci centrali nucleari e quasi un centinaio di armi nucleari. In India continuano inoltre a crescere in maniera esponenziale l’export di software e i servizi di alta tecnologia. I centri più importanti sono nelle aree di Hyderabad e Bangalore, nella cosiddetta “Silicon Valley indiana”, dove investono IBM, HP, Texas Instruments, Oracle e Microsoft. I più importanti partner commerciali sono Stati Uniti, Unione Europea e Cina.
La vera criticità dell’ultimo anno è la pandemia di Covid. L’India è infatti diventata a tutti gli effetti il centro globale della pandemia, con più di 17,5 milioni di casi e 200.000 morti. I forni crematori non riescono a gestire i continui decessi e le città sono costrette ad inventarsi pire straordinarie nelle periferie. La drastica situazione sta generando moti di protesta contro il premier Modi, tant’è che sta dilagando sul web l’hashtag “Resign Modi”. L’invito a dimettersi è stato accolto con la cancellazione di circa 12.000 post su Facebook, perché ritenuti “Violare” gli standard dei social media. L’India si caratterizza per la presenza sul territorio nazionale di movimenti politici violenti, di gruppi separatisti e di terroristi islamici, che cercano deliberatamente di colpire gli stranieri. La criminalità rappresenta un ulteriore elemento di rischio diretto, in particolare nelle grandi città come Nuova Delhi, Mumbai e Hyderabad. La principale fonte di rischio è attualmente rappresentata dal riemergere di gruppi estremisti di matrice maoista, legati al Movimento Naxalita. La minaccia è diffusa nell’India rurale centrale (Stati dell’Andhra Pradesh e del Chattisgarh) e orientale (Bengala occidentale, Bihar, Jharkhand, Orissa). I ribelli maoisti contano oggi circa 9mila operativi e godono di estese reti di supporto con altri gruppi eversivi di sinistra (come l’Esercito Popolare di Liberazione, attivo nello Stato di Manipur). Secondo un rapporto del Dipartimento di Stato americano il numero di persone rapite o prese in ostaggio durante attacchi terroristici è quasi triplicato nel 2015, passando dai 305 del 2014 a 862. L'India è così salita vertiginosamente tra i paesi che più hanno subito attacchi terroristici al mondo. Ulteriore elemento di rischio è costituito da conflitti locali a carattere etnico e religioso: al momento dell’indipendenza dalla Gran Bretagna, infatti, numerosi musulmani optarono per rimanere in India, nonostante la creazione del Pakistan. Una parte di essi ha aderito al Movimento degli Studenti Islamici Indiani (SIMI) o all’Indian Mujahadeen. Scontri religiosi possono verificarsi negli Stati del Gujarat e del Maharashtra, le cui capitali Gandhinagar e Mumbai sono state teatro di violenze tra comunità musulmane e indù, o nello Stato settentrionale di Uttar Pradesh. Dalle tensioni con il Pakistan musulmano emergono invece minacce terroristiche legate al fondamentalismo islamico. Il perdurare della questione sul controllo della regione nord-occidentale del Kashmir, nel cui ambito si inseriscono anche frizioni tra India e Cina, rappresenta un ulteriore pericolo. Movimenti separatisti sono all’opera anche nelle aree a predominanza bengalese, nell’estrema propaggine orientale dell’India (Stati di Assam, Manipur, Nagaland e Tripura), i cui effetti si riverberano sugli Stati di Bihar e Chattisgarh, dove sono all’opera movimenti separatisti pro-Nepal. Un'altra criticità riguarda proprio la spartizione della regione del Kashmir, a confine tra India e Pakistan che dal 1947 è contesa dai due Stati: la frontiera venne stabilita al momento della divisione tra India e Pakistan, a indipendenza acquisita. Tuttavia, i due governi non sono mai arrivati alla stipula di un trattato di pace che chiarisca definitivamente i confini. Per il Kashmir, India e Pakistan hanno combattuto due guerre dichiarate (nel 1948-49 e poi nel 1965) oltre a una non dichiarata sui ghiacciai dell'Himalaya (nell'estate 1999), e una lunga guerra per procura condotta a partire dai primi anni '90 da guerriglieri infiltrati in territorio indiano dal settore sotto controllo pakistano: in quegli anni lo scontro ha raggiunto l'intensità di una guerra civile. Nel dicembre 2008, dopo anni di attenuazione del conflitto, l'attacco terroristico a Mumbai organizzato dal gruppo jihadista Lashkar-e-Taiba (che ha base in Pakistan), ha riportato il gelo e benché siano ripresi i contatti bilaterali, le relazioni restano fredde. Ad oggi lo Stato resta sotto leggi speciali che conferiscono alle forze di polizia poteri quasi assoluti. Anni di guerra civile e di stato di emergenza hanno aumentato il dissenso dei kashmiri, i quali hanno più volte provocato ondate di protesta e manifestazioni. La crescente insoddisfazione della regione potrebbe favorire un nuovo terreno di reclutamento per una nuova leva di combattenti nelle varie sigle del jihad. Nonostante i cambiamenti dello stato di salute del paese siano stati sostanziali dalle riforme degli anni ’90 fino ad oggi, le quattro principali cause di decesso sono ancora malnutrizione, inquinamento, rischi alimentare e ipertensione. Ciò a dimostrazione del fatto che la crescita economica deve ancora affiancarsi ad un reale e conseguente allineamento del welfare, il che provoca ancora rischi sistemici. Anche se l’aumento della prospettiva di vita e la crescita demografica potrebbero, secondo le analisi, farsi promotrici di disordini sociali. Si stima infatti che l’India superi la Cina come paese più popoloso al mondo. L’urbanizzazione che ne consegue porterà la maggior parte degli indiani a vivere in città sovrappopolate, generando tensioni a cui dover porre rimedio. Tutto questo in un panorama già estremamente variegato di 2000 gruppi etnici e circa 1700 lingue e dialetti.
Capitale: Nuova Delhi
Ordinamento: Repubblica federale
Superficie: 3.287.263 km²
Popolazione: 1.390.456.911
Religioni: induista (81%), islamica (13%)
Lingue: inglese (ufficiale), hindi, bengali
Moneta: rupia indiana (INR)
PIL: 6,826.701 USD (PIL pro capite PPA prezzi costanti)
Livello di criticità: Medio
Aggiornata a maggio 2021 - L’India oggi è una federazione, la cui forma di governo è la repubblica costituzionale, a democrazia rappresentativa. Vige la classica divisione dei poteri delle democrazie occidentali, come retaggio della dominazione coloniale britannica (Compagnia delle Indie Orientali). La costituzione è entrata in vigore nel 1950, tre anni dopo l’indipendenza, e ha progressivamente accresciuto il peso e l’autonomia degli stati federali, soprattutto in seguito agli emendamenti dagli anni 90 in poi. l’India raggiunge l’indipendenza nel 1947, al termine della lunga campagna non violenta di disobbedienza civile intrapresa dal 1920 da Mohandas Karamchand “Mahatma” Gandhi. Con la fine dell’era coloniale, il subcontinente indiano viene suddiviso in due Stati: quello dell’India, a maggioranza induista, e quello del Pakistan, a maggioranza musulmana. Nel 1948 scoppia il primo conflitto tra i due Stati per l’annessione della regione del Kashmir, situata al confine tra i due territori. Gandhi, sostenitore di un’equa ripartizione delle riserve del vecchio impero inglese, viene assassinato da un fondamentalista indù il 30 gennaio di quell’anno. Il successore Jawaharlal Nehru guiderà l’India fino al 1964, ponendo le basi per uno stato moderno e democratico, con un’economia pianificata d'ispirazione socialista. Secondo la costituzione del 1950 il presidente ha compiti di mera rappresentanza mentre l'esecutivo è nelle mani del primo ministro. Nel 1965 scoppia un nuovo conflitto con il Pakistan e nel 1966 Indira Gandhi, figlia del Mahatma, diventa primo ministro. Nel 1977 le succede il figlio Rajiv: vengono assassinati entrambi, rispettivamente nel 1984 e nel 1991. Dal 2004 al 2014, dopo un breve periodo di governi di coalizione con il Partito Nazionalista Indù (BJP), l’India è guidata dal premier Manmohan Sing, esponente dell’Indian National Congress, lo storico partito fondato nel 1885 da cui ebbe origine il movimento di indipendenza indiano. Nel luglio 2007 Pratibha Patil, membro dell'Indian National Congress, è la prima donna ad essere eletta presidente. Il 23 luglio 2012 viene eletto presidente con il 69,31% dei voti Pranab Mukhrjee, candidato della United Progressive Alliance (UPA, coalizione di governo), battendo l’avversario politico cristiano, appoggiato dal partito ultranazionalista indù, P.A. Sangma. Nelle elezioni del 2014 il partito Hindu nazionalista Bharatiya Janata Party (BJP) e il suo candidato Narendra Modi vincono le elezioni parlamentari. Il successo del BJP viene interrotto nel 2015 con la schiacciante vittoria del Aam Aadmi Party (AAP), guidato da Arvind Kejriwal, alle elezioni per l'assemblea legislativa di Delhi. Vittoria nella capitale anche nel 2020, da parte del volto politico dell’anticorruzione, mentre a livello centrale continua a guidare il paese il BJP, capeggiato dall’uomo forte dell’India, Narendra Modi. Quest’ultimo ha infatti confermato il suo ruolo alle elezioni del 2019, grazie anche ad una larga coalizione politica di centro-destra, che sono apparse più come un referendum confermativo della sua persona. Uomo di umili origini, si è fatto strada nella politica incorporando le istanze delle caste più basse, raggiungendo progressivamente consensi nella classe media e finendo poi per ottenere credibilità anche tra le frange imprenditoriali della popolazione. Tutto questo a spese della minoranza musulmana, che costituisce il 14% della popolazione, nei confronti dei quali è stato polarizzato il discorso politico, vedendosi aggravare anche gli episodi di discriminazione. Tutto ciò gli è valso lo pseudonimo di “Politico dell’odio”, per i detrattori della sua linea d’azione. Al contrario, i sostenitori pongono l’accento sull’aumento degli investimenti, le leggi anticorruzione, come la demonetizzazione del 2016 e gli strabilianti tassi di crescita economica, in alcuni trimestri superiori anche alla Cina. Rimane tuttavia ancora problematica la questione relativa ai dati sulla disoccupazione, anche a causa di un’enorme crescita demografica, che fatica ad inserirsi nel ciclo di creazione di nuovi posti di lavoro. Dato che si inserisce nella sempre crescente diseguaglianza economico-sociale, che vede l’1% della popolazione detenere quasi il 52% della ricchezza complessiva. Ciò che invece contraddistingue maggiormente questo 2021 è la rivolta degli agricoltori, a seguito delle leggi del settembre 2020, che secondo il governo dovevano liberalizzare il settore, per promuoverne lo sviluppo. Gli oppositori fanno invece leva sul concreto rischia di esporre gli agricoltori, ovvero il 60% della forza lavoro, al monopolio/oligopolio di alcuni grandi aziende. Oltre al fatto che la riforma non ha seguito il formale iter di discussione parlamentare, sorpassando l’opposizione e scatenando critiche anche nel mondo politico. Le proteste imperversano da diversi mesi, a cui il governo ha spesso risposto con la violenza e con il blocco delle reti internet nei luoghi di riferimento, per interrompere la circolazione di informazioni e dissensi. La riforma è stata al momento congelata e si attendono sviluppi. Sotto la lente d’ingrandimento anche la complessiva centralizzazione delle riforme di Modi, che secondo molti tendono a favorire i pochi colossi industriali, in quello che viene definito “Conglomerate Capitalism”. Criticato per trovare risposte generali a problemi che necessiterebbero di interventi particolaristici. Questione che si sta inserendo nei moti di piazza, amplificando il bacino delle proteste. In politica estera invece l’India fa parte del dialogo quadrilaterale QUAD, con Australia, USA e Giappone, volto al contenimento dell’espansionismo cinese. Proprio con il dragone asiatico ci sono stati molti episodi di conflitto nel 2020. Primo fra tutti lo scontro di confine, che è costato la vita di decine di militari da ambo le parti. Ha fatto seguito la chiusura del social network Tik Tok, per il timore di spionaggio cinese, e c’è anche chi attribuisce il blackout di Mumbai dello scorso ottobre ad hacker di Pechino, in quello che è uno scenario geopolitico sempre più teso.
Il World Economic Outlook di aprile 2021, da parte del FMI, profetizza una crescita sostanziale del PIL dell’India, le cui previsioni si assestano addirittura attorno al 12%. Unico paese con prospettive di crescita a due cifre, tra tutti i 189 paesi facenti parte. Fanno da traino gli imponenti consumi del paese, che ancora non sono stati totalmente assorbiti dal tessuto produttivo di New Dehli, che per questo non necessita di sbocchi esterni. Dato che fa presagire un futuro di prim’ordine, se contestualizzato ad un debito contenuto. Grazie al piano “Make in India”, Modi sta attirando ingenti investimenti, che gli hanno permesso di scalare un centinaio di posizioni nella classifica globale dei paesi dove è più facile fare impresa (Ease of doing business). Anche il settore manufatturiero è in espansione, e come sottolineato dal primo ministro, entro il 2025 si prospetta un contributo al PIL del 25%, contro il 15 degli ultimi anni. Parametri positivi, che però lasciano spazio ad una grande incertezza soprattutto per i tassi di disoccupazione, i livelli di corruzione, le nuove sacche di povertà create dalla pandemia e il settore agricolo, come osservato nella sezione “Politica”, e come sottolineato dai moti di piazza che registrano decine di migliaia di manifestanti, scontenti delle politiche di governo. Quest’ultimo ha preannunciato una spesa pubblica esorbitante di 500 miliardi per il 2021, che secondo molti però, non riuscirà a risollevare la situazione del paese. Nonostante appaia più rassicurante la previsione del FMI, come detto in precedenza. Di fatti, nonostante sia uno dei Paesi più industrializzati al mondo, con una forza lavoro di oltre 500 milioni di persone, in India erano circa 300 milioni a vivere al di sotto della soglia di povertà, prima della pandemia. Numero drasticamente salito a 650 milioni, dopo il disastro Covid, che rischia di cancellare gli svariati progressi iniziati con le riforme di Singh, negli anni 90. Dal 1991, il governo aveva infatti progressivamente liberalizzato i propri mercati attraverso: riforme economiche, riduzione dei controlli sul commercio estero e sugli investimenti, privatizzazione delle imprese di proprietà pubblica e apertura di alcuni settori privati alla partecipazione straniera. Il Paese ha registrato una crescita media annuale intorno al 7% dal 1997 al 2011. L'aumento dei tassi di interesse, unito a un aumento dell'inflazione, hanno portato a una riduzione massiccia degli investimenti e a un deprezzamento della valuta nazionale, a partire dal 2011. Grazie ad un piano di riforme economiche e a un conseguente ritorno degli investimenti, il tasso di crescita si è riassestato intorno al 7% tra il 2014 e il 2015, rimanendo su questi livelli fino al drastico calo dovuto alla pandemia, che ha colpito però l’intera economia mondiale. I principali prodotti dell’agricoltura sono: riso, the (l’India è il secondo produttore al mondo dopo la Cina), canna da zucchero, spezie, frumento, semi oleosi, cotone, iuta, patate e caucciù. A causa delle credenze religiose che vietano agli induisti di consumare la carne bovina (si consumano solo il latte e i suoi derivati), l’allevamento è sfruttato in minima parte. Anche la pesca è poco sviluppata, nonostante l’India sia il terzo produttore mondiale di pescato dopo Cina e Perù. Le principali attività industriali sono concentrare nei seguenti settori: automobili, cemento, prodotti chimici, elettronica, trasformazione alimentare, macchinari, miniere, petrolio, prodotti farmaceutici, acciaio, mezzi di trasporto e tessile. Le principali risorse energetiche sono carbone, lignite e petrolio (giacimenti nel Gujarat, nel Nagaland e nell’Assam, quello offshore nel golfo di Cambay al largo della costa del Maharashtra e nel golfo del Bengala), bauxite, cromite, diamanti, minerali di ferro, calcare, manganese, mica, gas naturale e titanio. È rilevante il potenziale idroelettrico ed è in crescita anche il settore elettronucleare. Il Bhabha Atomic Research Centre di Trombay, presso Bombay, è un centro all’avanguardia per la ricerca dell’energia nucleare. L'India è una potenza nucleare e dispone di dieci centrali nucleari e quasi un centinaio di armi nucleari. In India continuano inoltre a crescere in maniera esponenziale l’export di software e i servizi di alta tecnologia. I centri più importanti sono nelle aree di Hyderabad e Bangalore, nella cosiddetta “Silicon Valley indiana”, dove investono IBM, HP, Texas Instruments, Oracle e Microsoft. I più importanti partner commerciali sono Stati Uniti, Unione Europea e Cina.
La vera criticità dell’ultimo anno è la pandemia di Covid. L’India è infatti diventata a tutti gli effetti il centro globale della pandemia, con più di 17,5 milioni di casi e 200.000 morti. I forni crematori non riescono a gestire i continui decessi e le città sono costrette ad inventarsi pire straordinarie nelle periferie. La drastica situazione sta generando moti di protesta contro il premier Modi, tant’è che sta dilagando sul web l’hashtag “Resign Modi”. L’invito a dimettersi è stato accolto con la cancellazione di circa 12.000 post su Facebook, perché ritenuti “Violare” gli standard dei social media. L’India si caratterizza per la presenza sul territorio nazionale di movimenti politici violenti, di gruppi separatisti e di terroristi islamici, che cercano deliberatamente di colpire gli stranieri. La criminalità rappresenta un ulteriore elemento di rischio diretto, in particolare nelle grandi città come Nuova Delhi, Mumbai e Hyderabad. La principale fonte di rischio è attualmente rappresentata dal riemergere di gruppi estremisti di matrice maoista, legati al Movimento Naxalita. La minaccia è diffusa nell’India rurale centrale (Stati dell’Andhra Pradesh e del Chattisgarh) e orientale (Bengala occidentale, Bihar, Jharkhand, Orissa). I ribelli maoisti contano oggi circa 9mila operativi e godono di estese reti di supporto con altri gruppi eversivi di sinistra (come l’Esercito Popolare di Liberazione, attivo nello Stato di Manipur). Secondo un rapporto del Dipartimento di Stato americano il numero di persone rapite o prese in ostaggio durante attacchi terroristici è quasi triplicato nel 2015, passando dai 305 del 2014 a 862. L'India è così salita vertiginosamente tra i paesi che più hanno subito attacchi terroristici al mondo. Ulteriore elemento di rischio è costituito da conflitti locali a carattere etnico e religioso: al momento dell’indipendenza dalla Gran Bretagna, infatti, numerosi musulmani optarono per rimanere in India, nonostante la creazione del Pakistan. Una parte di essi ha aderito al Movimento degli Studenti Islamici Indiani (SIMI) o all’Indian Mujahadeen. Scontri religiosi possono verificarsi negli Stati del Gujarat e del Maharashtra, le cui capitali Gandhinagar e Mumbai sono state teatro di violenze tra comunità musulmane e indù, o nello Stato settentrionale di Uttar Pradesh. Dalle tensioni con il Pakistan musulmano emergono invece minacce terroristiche legate al fondamentalismo islamico. Il perdurare della questione sul controllo della regione nord-occidentale del Kashmir, nel cui ambito si inseriscono anche frizioni tra India e Cina, rappresenta un ulteriore pericolo. Movimenti separatisti sono all’opera anche nelle aree a predominanza bengalese, nell’estrema propaggine orientale dell’India (Stati di Assam, Manipur, Nagaland e Tripura), i cui effetti si riverberano sugli Stati di Bihar e Chattisgarh, dove sono all’opera movimenti separatisti pro-Nepal. Un'altra criticità riguarda proprio la spartizione della regione del Kashmir, a confine tra India e Pakistan che dal 1947 è contesa dai due Stati: la frontiera venne stabilita al momento della divisione tra India e Pakistan, a indipendenza acquisita. Tuttavia, i due governi non sono mai arrivati alla stipula di un trattato di pace che chiarisca definitivamente i confini. Per il Kashmir, India e Pakistan hanno combattuto due guerre dichiarate (nel 1948-49 e poi nel 1965) oltre a una non dichiarata sui ghiacciai dell'Himalaya (nell'estate 1999), e una lunga guerra per procura condotta a partire dai primi anni '90 da guerriglieri infiltrati in territorio indiano dal settore sotto controllo pakistano: in quegli anni lo scontro ha raggiunto l'intensità di una guerra civile. Nel dicembre 2008, dopo anni di attenuazione del conflitto, l'attacco terroristico a Mumbai organizzato dal gruppo jihadista Lashkar-e-Taiba (che ha base in Pakistan), ha riportato il gelo e benché siano ripresi i contatti bilaterali, le relazioni restano fredde. Ad oggi lo Stato resta sotto leggi speciali che conferiscono alle forze di polizia poteri quasi assoluti. Anni di guerra civile e di stato di emergenza hanno aumentato il dissenso dei kashmiri, i quali hanno più volte provocato ondate di protesta e manifestazioni. La crescente insoddisfazione della regione potrebbe favorire un nuovo terreno di reclutamento per una nuova leva di combattenti nelle varie sigle del jihad. Nonostante i cambiamenti dello stato di salute del paese siano stati sostanziali dalle riforme degli anni ’90 fino ad oggi, le quattro principali cause di decesso sono ancora malnutrizione, inquinamento, rischi alimentare e ipertensione. Ciò a dimostrazione del fatto che la crescita economica deve ancora affiancarsi ad un reale e conseguente allineamento del welfare, il che provoca ancora rischi sistemici. Anche se l’aumento della prospettiva di vita e la crescita demografica potrebbero, secondo le analisi, farsi promotrici di disordini sociali. Si stima infatti che l’India superi la Cina come paese più popoloso al mondo. L’urbanizzazione che ne consegue porterà la maggior parte degli indiani a vivere in città sovrappopolate, generando tensioni a cui dover porre rimedio. Tutto questo in un panorama già estremamente variegato di 2000 gruppi etnici e circa 1700 lingue e dialetti.