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Con la pandemia da Covid-19 ci siamo tutti resi conto di quanto la filosofia e la sociologia ci dicono da almeno un ventennio: non solo il mondo è profondamente cambiato dopo la fine della Guerra fredda, ma è cambiato anche il modo in cui le cose cambiano. Si è passati da un mondo dominato dalla logica newtoniana a un mondo che spesso può essere compreso solo con gli strumenti della fisica quantistica. Nel mondo di ieri, in tutti gli scenari che andavamo ad analizzare c’erano un soggetto e un oggetto, una causa e un effetto, un centro e una periferia. Non stiamo parlando di come le cose effettivamente funzionavano, ma di un paradigma, di uno schema concettuale che dominava il mondo e la sua rappresentazione.

Era un mondo in cui esistevano «gerarchie» (gerarchie di problemi, di competenze, di potere e così via, di valori). Gerarchia come sappiamo viene dal greco ιερός (unito ad αρχία, che viene da ἄρχω, «essere a capo», «guidare», «principiare»), che traduciamo con «sacro». Il termine serviva a designare, tra l’altro, gli spazi e i tempi di competenza sacerdotale. Quel concetto rende possibile una rappresentazione ordinata della terra e del cielo.

Oggi viviamo in un mondo disordinato. In tanti lo definiscono anarchico. Anarchia è, per l’appunto, l’opposto di gerarchia. Significa assenza di governo, di comando e, dunque, di regole. In ultima analisi, significa caos. La scommessa del Centro Studi GEODI – Geopolitica e Diritto Comparato dell’Università degli Studi Internazionali – UNINT di Roma è che non si tratti di caos, ma di qualcosa che può essere compreso e, in qualche modo, dominato. Bisogna solo lavorare a nuovi strumenti cognitivi, a nuovi paradigmi.

È cambiato il modo in cui le cose cambiano. Dal mondo della gerarchia non si passa semplicemente al suo opposto, al caos: questo è ancora un modo meccanico di ragionare. Dalla contrapposizione tra soggetto e oggetto, non si passa all’annullamento dell’uno e dell’altro, ma alla loro relazione come qualcosa di costitutivo, originario, di cui bisogna tenere conto nell’analisi. Se studio una determinata minaccia strategica, devo sapere che il mio studio, per motivi legati alla cultura e allo sviluppo tecnologico, sta interagendo con quella stessa minaccia. Cambia il rapporto soggetto e oggetto e cambia il rapporto tra causa ed effetto. Così come cambia il rapporto tra centro e periferia. In base al paradigma centro/periferia ogni input si presenta come l’emanazione da un punto originatore («inizio», «nucleo», «vertice», etc.), più o meno distante. Oggi il paradigma centro/periferia cede a quello della «rete», che non si oppone al primo, ma lo ingloba e lo «usa», lo accetta parzialmente e lo ignora quando non serve, lo riduce da presupposto a opzione, senza però negarne in assoluto la validità. In base al paradigma della rete, l’impulso viene consapevolmente reinterpretato, e in qualche misura ricreato a ogni «nodo». L’αρχία – la «guida», l’«indirizzo» nel senso tecnico di «regime», inteso come insieme di regole comportamentali – c’è, ma non è più sorretto solo dallo ιερός, dal «sacro». A sorreggerlo – ci soccorre ancora, qui, il mondo classico – è l’«altro» dal «sacro», vale a dire il «profano», l’«aperto» – in greco βέβηλος, termine che indica anche lo spazio antistante il tempio.

Se proprio volessimo trovare un termine alternativo a «gerarchia» dovremmo, dunque, parlare non di anarchia, bensì di «bebelarchia», indicando con ciò un regime a carattere tendenzialmente (non assolutamente) «orizzontale», nel quale la capacità comunicativa conta più della precisione, le relazioni tendono a essere multidimensionali e incongruenti e la trasgressione è importante quanto la regola in quanto quest’ultima non è mai definita una volta per tutte, ma sottoposta a una continua negoziazione.

L’analisi di intelligence ci dice che è sempre più difficile prevedere i rischi e che è sempre più difficile distinguere in maniera netta tra minacce geopolitiche, sociali e religiose o di isolare le minacce a carattere politico rispetto a quelle «neutrali». La pandemia è un’emergenza sanitaria, ma con effetti politici non accessori, come sono state le polemiche o le speculazioni successive al terremoto del 1980, bensì essenziali, ovvero parte della genesi, dello sviluppo e della gestione del fenomeno. Lo vediamo nel fenomeno migratorio, nella già citata emergenza pandemica, nelle dinamiche geopolitiche del mondo islamico e nei problemi legati alla sicurezza cibernetica. Viviamo in un’emergenza senza fine. Quelli che una volta erano considerati eventi eccezionali, oggi si ripetono con frequenza settimanale. È ora di mettere mano alla nostra cassetta degli attrezzi concettuali.

Dal libro Democrazia in Emergenza
di Ciro Sbailò
Paesi Edizioni