Mentre gli Usa stanno preparando un confuso e caotico ritiro delle truppe dalla Siria, abbandonando al loro destino i curdi alleati contro l’Isis, Pompeo al Cairo ha affermato che “il vero nemico in Medio Oriente e l’Iran”
Beppe Grillo, che ha una moglie iraniana e conosce bene la repubblica islamica, definirebbe anche il segretario di Stato americano Mike Pompeo un “terrapiattista”. Mentre gli Usa stanno preparando un confuso e caotico ritiro delle truppe dalla Siria, abbandonando al loro destino i curdi alleati contro l’Isis, Pompeo al Cairo ha affermato che “il vero nemico in Medio Oriente e l’Iran”.
Dopo avere distrutto l’Iraq nel 2003, abbattendo Saddam Hussein, e contribuito ad affondare la Libia di Ghedddafi e la Siria, a destabilizzare l’intero Medio Oriente e il Mediterraneo, a bombardare insieme ai sauditi i civili in Yemen, lavandosi ora velocemente le mani sporche di sangue, il segretario di Stato Usa Pompeo dice che il nemico è l’Iran.
Ma agli Stati Uniti che dovremmo fare per avere provocato in questo ultimo decennio centinaia di migliaia di morti e qualche dozzina di milioni di profughi? Fortunatamente in Siria, proprio grazie all’Iran, alleato di Assad, agli Hezbollah libanesi e, soprattutto, all’intervento della Russia di Putin, agli Stati Uniti non è riuscito l’ennesimo disastroso cambio di regime che come quelli precedenti in Iraq e in Libia _ qui con l’attivismo decisivo della Francia e della Gran Bretagna _ hanno sprofondato nel marasma un’intera regione e aperto il vaso di Pandora a migrazioni incontrollabili.
Se agli Usa e ai loro alleati turchi e alle monarchie del Golfo fosse riuscito di eliminare Assad ,l’Isis e i jihadisti oggi farebbero colazione sulle rovine di Damasco. Agli Usa ogni tanto bisogna rinfrescare la memoria soprattutto quando si scagliano contro Teheran con cui Obama aveva firmato nel 2015 un trattato che Trump ha stracciato imponendo nuove sanzioni.
Se l’Iran sciita è diventato in Iraq un Paese chiave questo è stato dovuto proprio all’iniziativa di Bush junior di far fuori il sunnita Saddam Hussein. E meno male che dopo il ritiro americano dall’Iraq del 2010 deciso da Obama, erano rimaste sul terreno le formazioni iraniane dei pasdaran comandate dal generale Qassem Soleimani: quando nel 2014 l’Isis di Al Baghdadi ha conquistato Mosul l’esercitò iracheno si sbandò completamente e furono gli iraniani con le milizie sciite a impedire che il Califfato arrivasse alle porte di Baghdad mentre gli Stati Uniti non muovevano un dito.
Queste non sono opinioni ma cronaca. Pompeo nel suo discorso del Cairo non ha neppure citato il caso di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita ammazzato a Istanbul su ordine dall’erede al trono di Riad Mohammed bin Salman, a conferma del sostegno al regno wahabita, il più retrogrado e conservatore del Medio Oriente, e del fatto che democrazia e diritti umani non sono più discriminanti, anche se solo in apparenza, della politica americana.
Se c’è uno stato contro il quale puntare il dito per avere favorito l’estremismo e la destabilizzazione quello è proprio l’Arabia Saudita che sta facendo di tutto per distruggere anche lo Yemen. E proprio lì, a Riad, che Juventus e Milan andranno a giocare la settimana prossima la finale di Supercoppa, è a questa monarchia assoluta che della Sardegna arrivano le bombe che massacrano i civili yemeniti fabbricate dalla tedesca Rvm.
Così, in questo groviglio di contraddizioni americane e occidentali, Washington punta tutto sull’isolamento dell’Iran, avversario dei sauditi e di Israele incolpando Teheran dei disastri americani in Medio Oriente. L’ossessione anti-iraniana è tale che Pompeo ha annunciato per febbraio un vertice in Polonia centrato sulla minaccia rappresenta da Teheran. L’Unione europea intanto non è ancora riuscita a varare un meccanismo per aggirare le nuove sanzioni Usa contro Teheran che costeranno a un paese come l’Italia 1,7 miliardi di euro di esportazioni l’anno. In poche parole anche noi paghiamo le scelte Usa.
Non che il regime della repubblica islamica sia diretto da mammolette ma gli iraniani sono stati abbastanza intelligenti e astuti da sfruttare gli errori degli Stati Uniti che in questa regione di guerre non ne hanno vinta neppure una, a partire dall’Afghanistan che dopo l’11 settembre 2001 e gli attentati di Al Qaida a New York e Washington è diventato il più lungo conflitto dell’intera storia dell’America. A proposito: Osama bin Laden era saudita e pure alleato degli americani quando c’era da fare la guerra negli anni Ottanta contro l’Armata Rossa in Afghanistan. Degli amici degli Stati Uniti forse c’è da fidarsi ancora meno che dei loro nemici.
Trump se ne vuole andare dalla Siria e dall’Afghanistan, dove intende ridurre di metà le truppe, perché sono guerre perse ma lasciando il campo potrebbe aprire spazio per nuovi conflitti. Per la verità gli Stati Uniti mantengono truppe e flotte navali nel Golfo e continuano a controllare i flussi energetici della regione. Ma adesso la nuova dottrina americana è di affidarsi come gendarme nella regione su Israele sperando che siano altri come l’Arabia Saudita a combattere, e soprattutto a pagare, le loro future guerre per procura. L’impressione è che non saranno in molti ad abboccare all’amo.
Alberto Negri
articolo pubblicato su tiscali.ti
Redazione
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