Le proteste in Cile sono l’esito di un eccessivo statalismo

“Colpa del liberismo? Al contrario: la crisi che ha portato alle proteste in Cile viene dallo statalismo di Michelle Bachelet”. La tesi è di Axel Kaiser, autore di saggi bestseller e direttore di uno dei più importanti think tank cileni, la Fundación para el Progreso: “siamo liberali classici – spiega Kaiser – e ci riconosciamo in quell’orizzonte intellettuale di cui ad esempio in Italia il referente è l’Istituto Bruno Leoni”. Per lui, il governo della Bachelet “ha fatto una riforma fiscale che ha aumentato le imposizioni sugli investimenti in maniera pesante, al di sopra della media Ocse. Ciò ha danneggiato l’investimento e frenato l’economia”. Per questo la popolarità della Bachelet, presidente per due mandati non consecutivi (2006-2010; 2014-2018), “è crollata e Sebastiano Piñera ha vinto agevolmente le elezioni promettendo ‘tempi migliori’. Ma non ha avuto né l’intelligenza politica né il coraggio per lanciare un pacchetto di riforme aggressivo nei primi giorni del suo governo, approfittando del capitale politico che aveva. La disoccupazione è cresciuta, mentre i salari sono fermi da almeno sei anni. Da lì la frustrazione. Anche molta gente che aveva votato per Piñera è scesa in piazza”.

Di riforme mancate si parla anche in Argentina, dove il liberale Mauricio Macrí ha appena perso le elezioni. Kaiser condivide il parallelismo, ma “con la differenza che Piñera aveva più capitale politico, e il Cile sta molto meglio dell’Argentina. La situazione fiscale è buona, l’economia funziona relativamente bene, disoccupazione e inflazione sono inferiori rispetto all’Argentina, la povertà è all’8 per cento contro il 30-40. Però non cresce come dovrebbe. E dell’insoddisfazione approfittano gruppi violenti per seminare il caos, anche perché da molto tempo lo stato di diritto non si applica. La polizia non fa il suo lavoro, i giudici neanche, i politici hanno fatto una riforma processuale e penale molto favorevole ai delinquenti. E così si vede gente rubare, assaltare, bruciare, rompere, distruggere, in un clima di sostanziale impunità. Sembra uno stato fallito, e a sinistra si predica un ritorno al populismo”.

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In questo momento tali problemi riguardano un po’ tutti i governi della regione. Le proteste in Cile contro Piñera sono in contemporanea a quelle in Bolivia contro Evo Morales. “Sono realtà differenti – dice Kaiser – Lì la gente scende a protestare contro un presidente che ha ignorato la Costituzione e che pur di non lasciare il potere è pronto a rubare le elezioni. Da noi è frustrazione economica, in cui si sono infilati gruppi violenti. In alcuni casi hanno utilizzato materiali che non si trovano in Cile, e ciò può accreditare il sospetto di infiltrazioni straniere”. I problemi però nel modello cileno ci sono: la diseguaglianza per esempio. “In realtà il Cile è il paese con la maggior mobilità sociale tra tutti i paesi Ocse. Sono gli stesso dati Ocse a indicarlo”. E le pensioni non sono basse? “Sì, ma perché la grande maggioranza dei cileni non apporta abbastanza. Andiamo in pensione alla stessa età che 20 anni fa quando l’aspettativa di vita è cresciuta di 10-15 anni”. Il costo dell’Istruzione? “Ma il Cile ha i migliori indici di istruzione popolare di tutta l’America latina, grazie a un sistema di istituti sovvenzionati. Anche i nostri tassi di partecipazione all’istruzione superiore sono sui livelli Ocse, grazie a un sistema di borse di studio a credito. Certamente l’Università costa, anche per via di curricula troppo lunghi. Basterebbe tagliarli per abbattere il costo del 40 per cento. Comunque già oggi il 60 per cento della popolazione con minori entrate può andare all’università gratis. In Argentina è gratis per tutti, però lì i laureati non trovano lavoro”.

C’è poi l’immagine dei carri armati in strada. “Ma che si poteva fare di fronte alla distruzione di 80 stazioni della metro e 100 supermercati? E quando ci fu il terremoto la Bachelet non schierò anche lei i militari?”. Ci sono anche le denunce per violazioni dei diritti umani. “E’ possibile che qualcosa sia successo, e bisogna indagare. Però gran parte delle denunce viene da ambienti poco credibili. Lo stesso direttore dell’Instituto Nacional de Derechos Humanos, Sergio Micco, ha ammesso l’errore di aver avvallato la denuncia su un inesistente centro di tortura in una stazione della metro. Sempre l’Instituto ha smentito un pretesto rapporto che parlava di 42 morti, 12 stupri e 121 desaparecidos”. Piñera ha poi chiesto scusa, annunciando un pacchetto di riforme economiche: “Che secondo me non sarà finanziabile – conclude Kaiser – A meno che l’economia non riprenda a correre”.

Da Il Foglio, 1 novembre 2019

Demonstrators react during a protest against Chile’s government in Santiago, Chile November 4, 2019. REUTERS/Jorge Silva