Il riconoscimento facciale preoccupa sempre di più i cittadini cinesi. Un nuovo studio pubblicato a inizio dicembre ha evidenziato che quasi l’80% delle persone intervistate teme per la mancanza di leggi che dovrebbero assicurare la protezione dei dati, mentre il 74% vorrebbe avere l’opzione di scegliere metodi di indentificazione tradizionali come alternativa. Lo studio del Nandu Personal Information Protection Research Center è stato condotto nei i mesi di ottobre e novembre su oltre seimila persone ed è stato definito il primo e il maggiore studio di questo tipo mai elaborato nella Cina continentale.
Il riconoscimento facciale in Cina è sempre più diffuso e ormai viene utilizzato nelle scuole, nelle stazioni, nei centri commerciali di tutto il Paese. I cinesi hanno buoni motivi per preoccuparsi perchè, stando per esempio a una ricerca di Comparitech, azienda specializzata nella cybersecurity, la Repubblica Popolare sarebbe tra i peggiori Paesi al mondo per l’uso estensivo e invasivo di tali sistemi di sorveglianza. Anche questo secondo studio rileva che in Cina non ci sono leggi a tutela dei dati biometrici e definisce anzi preoccupante la situazione nei luoghi di lavoro. Le statistiche del Nandu hanno riscontrato anche che molti cittadini cinesi, tra il 60 e 70% degli intervistati, credono tuttavia che il rinoscimento facciale possa rendere i luoghi pubblici più sicuri. L’intelligenza artificiale infatti è uno strumento valido per combattere e perseguire i cybercriminali e, allo stesso tempo, permette di evitare la congestione di alcune stazioni della metro, come quelle super affollate di Pechino perché i controlli avvengono molto più velocemente. Per molti osservatori, però, la Cina starebbe diventando uno Stato distopico. Nel 2017 c’erano 170 milioni di videocamere CCTV nel Paese, ma l’obiettivo è arrivare 400 milioni nel 2020. La situazione generale sarebbe sempre più grave e sempre più simile alla quella della regione autonoma Xinjiang, dove il riconoscimento facciale viene impiegato per tenere sotto stretta osservazione la minoranza musulmana degli uiguri e per evitare disordini o manifestazioni di dissenso.
Il primo dicembre è entrata in vigore in Cina una legge che impone il riconoscimento facciale a chiunque voglia sottoscrivere un contatto con un operatore telefonico. La misura era stata presentata a settembre e prevede che tutte le compagnie telefoniche facciano ricorso all’intelligenza artificiale e ad altri strumenti tecnici per verificare l’identità dei possessori di SIM card. Per il governo di Pechino, la legge è uno strumento utile a evitare le frodi e sarebbe parte di una più ampia campagna di cybersecurity e controterrorismo. Tuttavia, cresce sempre di più il timore che i dati vengano raccolti senza il consenso degli interessati e che il governo li utilizzi per tracciare i movimenti dei cittadini.
Il Guardian racconta il caso di un’università di Nanjing dove i software per il riconoscimento facciale sarebbero stati installati senza il consenso degli studenti e dei loro genitori per monitorare i livelli di partecipazione e concentrazione in aula. Ha fatto molto discutere inoltre il caso del professore Guo Bing, docente alla Zhejiang Sci-Tech University, che per primo ha intrapreso un procedimento giuridico contro l’abuso del riconoscimento facciale. Il professore ha denunciato il Parco Safari di Hangzhou che avrebbe scannerizzato il suo volto e raccolto i dati personali senza alcuna autorizzazione. Ancora secondo il Guardian, questo episodio potrebbe aprire un dibattito in Cina sull’uso di tale tecnologia da parte delle aziende e del governo. In effetti, vista l’eco mediatica del caso del professore, sembrerebbe che il Pcc, il Partito Comunista Cinese, voglia avviare un dibattito pubblico per testare le conseguenze di tale tecnologia per la privacy.
Un campo di sperimentazione dell’intelligenza articiale è l’Africa, dove in 18 Paesi su 68 presi in esame dalla Freedom House, le compagnie cinesi stanno fornendo ai governi locali la tecnologia del riconoscimento facciale per identificare le minacce all’ordine pubblico. I progetti rientrano nel mega programma della Nuova Via della Seta, ma sono anche fondamentali alla Cina per diventare leader nel campo del riconoscimento facciale e per sviluppare software sempre più precisi che includano anche le differenze etniche, scrive The Diplomat. Per le persone con la pelle nera, infatti, queste tecnologie sono molto meno affidabili. Le aziende cinesi ZTE, Dahua Technology e la compagnia statale China Telecom sono tra quelle che stanno contribuendo a definire standard Internazionali per l’uso del riconoscimento facciale, riporta il Financial Times. Questi standard ratificati dalla International Telecommunication Union delle Nazioni Unite (ITU), che conta 193 membri, sono sempre più considerati nelle politiche degli Stati in via di sviluppo in Africa e in Medio Oriente parte della Belt and Road. Dahua, tuttavia, è tra le 8 aziende del tech cinese che Trump ha aggiunto alla Entity List a causa delle violazioni dei diritti umani contro gli uiguri.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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