Sanzioni Usa, Cuba tra Russia e Cina

Una grave crisi economica sta spingendo Cuba tra le braccia di Russia e Cina. Con il collasso finanziario del Venezuela, L’Avana non regge più ed è inevitabilmente sempre più vicina ai due più importanti rivali – politici e non solo – degli Stati Uniti. Cuba non è più in grado di ricoprire il ruolo di avamposto anti-Usa nell’emisfero occidentale, ruolo che aveva fino a circa trent’anni fa. Ma è pur sempre a novanta miglia dalla Florida, nel pieno del cortile di casa di Washington, e può ancora infastidire la Casa Bianca nel caso in cui Pechino e Mosca dovessero riuscire ad allungare ulteriormente le mani sull’isola. La crisi cubana, però, è figlia anche delle politiche di Trump, che è convinto di poter strangolare L’Avana economicamente per ottenere il tanto agognato regime change – stessa strategia adottata con l’Iran, ma non sta pagando dividendi. Le recenti sanzioni statunitensi – tra cui uno stop alle navi da crociera e limitazioni su viaggi e rimesse – avranno un grosso impatto sul turismo dell’isola: in un recente articolo, Bloomberg stima un calo dell’8,5% nel settore turistico per il 2019, e si tratta della seconda fonte di  ingresso di valuta estera per Cuba.

È chiaro ormai che lo Stato caraibico è in grossa difficoltà economica, con una pericolosa stagnazione che è legata a doppio filo alla situazione in Venezuela oltre che alle sanzioni Usa. Dall’avvento di Hugo Chávez, Caracas ha finanziato L’Avana garantendole forniture petrolifere in cambio di medici e consiglieri militari e d’intelligence. Ma le sanzioni varate da Washington contro i due alleati – anche il Venezuela bersaglio degli Usa, ovviamente – hanno contribuito ad affossare l’economia di entrambi i Paesi. Così a inizio luglio Cuba ha imposto un tetto ai prezzi delle attività commerciali pubbliche e private nell’isola, nel quadro delle misure economiche emergenziali annunciate dal presidente Miguel Díaz-Canel.

 

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Tuttavia, questo inasprimento dell’embargo non dovrebbe velocizzare una transizione verso la democrazia a Cuba, anzi. Al più, aiuterà Cina e Russia ad espandere la loro influenza nelle Americhe. Nel caso della Cina, che ha già avvicinato il Venezuela di Maduro, l’Argentina di Cristina Kirchner, e l’Ecuador ai tempi di Rafael Correa predecessore dell’attuale presidente Lenin Moreno) è ben disposta ad erogare prestiti a Paesi in difficoltà – sia per il surplus nella bilancia commerciale, sia per incentivare i Paesi a schierarsi dalla sua parte. Già oggi la Cina è creditore e il maggior partner commerciale per Cuba, e la stessa isola Caraibica ha aderito alle Nuove Vie della Seta proprio nel novembre 2018.

E poi la Russia. Una forte presenza nell’emisfero occidentale è un vecchio pallino della geopolitica di Mosca che Putin ha rispolverato nei suoi anni al potere, per stuzzicare Washington nel suo cortile di casa. Ed è una strategia sulla quale il presidente russo sa di poter puntare le sue fiches. In Venezuela il sostegno al regime chavista di Maduro è totale, onnicomprensivo; poi ci sono gli investimenti – economici e politici – in Nicaragua, Messico, Bolivia. Mentre a Cuba, Mosca si è fatta carico del decremento di petrolio proveniente dal Venezuela – dovuto alle difficoltà di Caracas degli ultimi anni – oltre a ingenti investimenti militari, con prestiti nell’ordine dei quaranta milioni di dollari in armamenti ed equipaggiamenti.

Da qui l’idea, portata avanti da Rebecca Bill Chavez, ex vice segretario alla difesa aggiunto durante l’amministrazione Obama, in un articolo di Foreign Policy, che le strategie di Trump in merito alla questione cubana non stanno facendo altro che peggiorare la situzione. «La decisione, presa da Donald Trump il mese scorso, di incrementare le sanzioni nei confronti di Cuba – spiega Rebecca Bill Chavez – sono un grave errore strategico che rischia di avere ripercussioni di lungo periodo sulla sicurezza nazionale. Inoltre, la sua ossessione per i migranti provenienti dall’America Latina e dai Caraibi non si allinea alla sua politica verso Cuba», ricordando che la grave crisi economica sofferta da L’Avana all’inizio degli anni Novanta, subito dopo il crollo dell’Urss aveva portato al cosiddetto periodo especial en tiempo de paz sull’isola: una condizione che ovviamente avrebbe condotto ad un esodo di massa che poi si tradusse nella crisi dei balseros del 1994, quando sulle coste Usa arrivarono oltre 30.000 rifugiati fuggiti dall’isola con zattere di fortuna. Uno scenario che nessuno si augura possa ripresentarsi. Men che meno Trump. Eppure, le recenti sanzioni sembrerebbero suggerire il contrario.