Spy Games, intervista ad Alfredo Mantici

«Gli agenti segreti non sono uomini eccezionali che saltano dai tetti o si lanciano dalle macchine in corsa. Non portano la pistola dietro la cinta e non sono sempre pronti a fare a cazzotti con i cattivi». Parola di Alfredo Mantici, capo della caccia all’uomo, ex numero uno del Dipartimento Analisi del Sisde, il servizio segreto interno italiano, e direttore editoriale di Babilon. «Hanno gli occhiali, sono senza capelli, magari hanno anche la pancia. Sono come le persone che incontriamo tutti i giorni in autobus o in metropolitana. Ma hanno un unico tratto distintivo comune: essere molto intelligenti. La loro dote non è la forza bruta di James Bond. In tantissimi casi, un’altra loro dote è la prudenza». 

Mantici, oggi è un celebre detective per il reality di Amazon prime Celebrity Hunted – Caccia all’uomouna nuova serie italiana di Amazon Prime Video (le prime tre puntate sono gratuite). Una «real-life thriller», la definisce Amazon. «Con il programma, come vedrete – spiega Mantici – abbiamo raggiunto dei risultati sempre con il ragionamento e con l’analisi. Le tecnologia ci ha aiutati ma i risultati vengono raggiunti grazie alla capacità di ragionare. Il contrario di James Bond, che è tutto muscoli e poco cervello. L’intelligence vera è solo cervello. Nel programma coordino un gruppo di investigatori che devono rintracciare otto personaggi famosi, partendo soltanto dai nomi e dalla fotografie. La fuga dura 14 giorni e noi, disponendo di alcune possibilità, come le intercettazioni telefoniche, le telecamere disseminate ormai in tutte le città, dobbiamo trovare i vip in fuga. Ma come vedranno gli spettatori, il lavoro si basa sull’analisi, è un lavoro di raccolta di informazioni e di azione. Ma di azione sempre successiva al ragionamento». 

Nel libro Spy Games, il primo di una serie ed edito Paesi Edizioni, Mantici racconta con maestria la storia segreta dell’intelligence: da Mata Hari a Osama Bin Laden, dalla secessione americana al Russiagate. «Il libro è un racconto di come gli uomini dell’intelligence hanno determinato alcuni avvenimenti significativi della storia – continua l’autore – Oppure, è il racconto della realtà, il resoconto veritiero di come alcune figure sono diventate leggendarie. È una messa a punto della realtà».

«Si parte da Mata Hari, una leggenda dello spionaggio che però non ha mai fatto la spia in vita sua. Ma è stata semplicemente strumentalizzata dai servizi francesi in un momento di difficoltà della Francia, quando serviva un grande colpevole. E così e si sono inventati questa donna, la cui unica colpa era essere bella e di facili costumi. Ci sono nel libro le descrizioni di altri personaggi attraverso cui tento di dimostrare come alcune figure abbiano invece davvero inciso sul corso della storia. Una di queste figure è il matematico Alan Turing, le cui scoperte furono alla base della decriptazione dei codici tedeschi. Per capire meglio, Alan Turing venne giustamente presentato da Winston Churchill a Re Giorgio V alla fine della guerra con la frase: «Maestà, se mi permette, le presento l’uomo che ha vinto la Seconda Guerra Mondiale». Su di lui è stato girato anche un bellissimo film, che rende ancora poco, per motivi comprensibili, la complessità dell’azione svolta da Turing. Il film però fa capire che dal 1943 in poi, qualsiasi cosa facessero, i tedeschi venivano anticipati dagli Alleati».

«Ci sono nel libro anche alcuni racconti che non si riferiscono a pure operazioni di intelligence ma all’intelligence applicata alla politica. Penso al Golfo del Tonchino, all’episodio della morte di Kennedy. In questi racconti non c’è la descrizione del lavoro di un singolo agente ma il resoconto di come le attività segrete siano riuscite a condizionare grandi scelte strategiche».

«Oggi, rispetto al passato anche più recente, c’è una dominanza della tecnologia. Ora tanti grandi servizi di intelligence, come quelli americani, si affidano molto, e a mio avviso troppo, alla tecnologia, all’incursione nelle reti telematiche di amici e avversari. Tutto questo produce spesso un eccesso di informazioni. Ma se non c’è un uomo che le interpreta, anche le migliori informazioni non servono a niente. L’intelligence deve essere Human intelligence, ovvero umana. L’intelligenza e l’utilità dell’uomo superano quelle della macchina. Se io reputo come mio agente o mia fonte la segretaria di un Presidente del Consiglio, riesco ad avere più informazioni di quante riuscirei ad averne intercettando il Presidente. Perché, attraverso la segretaria, capisco i suoi umori, le sue volontà segrete, le sue intenzioni reali. Questo avvenie solo grazie alla Human intelligence, che deve rimanere la parte fondamentale dell’intelligence».