Il fenomeno del terrorismo di matrice islamica ha radici molto lontane, sia nel tempo che nei luoghi. Lo stesso si può dire delle parole che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni come “muhjaeddin” “salafita”, “jihad” oppure ”soggetto radicalizzato”, “kuffar” oppure “sharia- zone” e moltissime altre. Il terrorismo islamico dall’11 settembre 2001 ad oggi  è uno degli argomenti più dibattuti del nostro tempo. Non studiato ma dibattuto, spesso con analisi superficiali dove le dinamiche politiche si mischiano alle analisi del fenomeno. A descrivere le origini del terrorismo islamico, i suoi mutamenti, le sue complesse dinamiche e le sue numerose implicazioni geopolitiche, si sono cimentati molti autori con analisi e proposte.

Nella vastità delle proposte editoriali, molte delle quali spesso non sono di buon livello, spicca l’interessantissimo ultimo volume del magistrato Stefano Dambruoso, già parlamentare della Repubblica Italiana, oggi Sostituto Procuratore della Repubblica di Bologna. Il titolo del libro è Jihad. La risposta italiana al terrorismo: le sanzioni e le inchieste giudiziarie (Dike Giuridica Editrice). Dambruoso ha alle spalle una lunga carriera nel contrasto della criminalità organizzata prima e del terrorismo islamico e già nel 2001, qualche mese prima delle stragi che colpirono gli Stati Uniti, nell’ambito delle sue indagini presso la Procura di Milano, fece arrestare per tempo una cellula di terroristi composta da quattro elementi che aveva come capo il tunisino Essid Sami Ben Khemais (detto “il viaggiatore” (per via dei frenetici spostamenti) che se non fosse stato fermato in tempo, avrebbe probabilmente fatto saltare in aria la Cattedrale di Strasburgo durante le feste di Natale di quell’anno.

In sede processuale venne provato che l’uomo era in grado di di mantenere contatti in tutta Europa, specie in Paesi come il Belgio che dopo qualche hanno scopriremo essere uno dei luoghi più importanti della jihad europea. Gli arrestati, tutti tunisini, vennero condannati a pene detentive che andavano dai quattro ai cinque anni di reclusione per i reati «di associazione per delinquere finalizzata al traffico di armi, esplosivi, ricettazione, utilizzo di documenti falsi e favoreggiamento».

La forza del libro di Stefano Dambruoso, che si avvale per le conclusioni del volume dell’esperienza del Consigliere di Stato Francesco Caringella, non è solo nel racconto delle storie degli italiani che hanno intrapreso la strada della lotta religiosa armata come il giovane genovese Giuliano Delnevo, ma anche nella puntuale descrizione delle strategie utilizzate dall’Intelligence, dalla Magistratura e dalle forze di Polizia italiane per contrastare il fenomeno terroristico islamico.

Non solo. L’autore ha analizzato le diverse legislazioni europee e le varie leggi approntate per far fronte all’ondata di attentati che hanno colpito l’Europa, dando al lettore l’opportunità di avere un quadro completo della complessa situazione europea nel metterle a confronto. Oltre che dell’Italia, l’autore si sofferma sulle leggi antiterrorismo introdotte in Belgio, Francia, Germania, Inghilterra e Spagna.

Il volume, che per la vastità della ricerca se tradotto in inglese potrebbe diventare una risorsa importante per tutti coloro che in Europa si occupano del tema, analizza il contrasto operativo ma anche le strategie preventive per evitare la radicalizzazione nelle carceri e nelle scuole, elemento fondamentale per evitare di dover recuperare donne e uomini che dopo aver rotto con la loro esistenza cercano la soluzione ai loro problemi nella violenza religiosa.

Infine una piccola nota da parte di chi scrive questa recensione. Se la Procura della Repubblica di Bologna ha guadagnato un grande magistrato che ha nel suo DNA notevoli capacità analitiche, il Parlamento italiano ha lasciato andar via una risorsa preziosissima. Leggerne il libro non può che dare conferma dell’occasione persa dalla politica italiana.