La complessità del conflitto in Siria deriva dalla sovrapposizione d’interessi e azioni di attori locali, potenze regionali e internazionali. È questo, con ogni evidenza, che rende così complesso trovare una soluzione. Ciascun protagonista ha infatti obiettivi “di massima” – ideali, difficilmente raggiungibili alla realtà dei fatti – e “di minima” – cioè di ripiego, visti gli ostacoli da affrontare – che si sovrappongono gli uni agli altri. Capirli, o meglio spiegarli, aiuta a comprendere i rapporti tra le varie fazioni e il perché di certe scelte.
Bashar al-Assad
Il suo ideale è riconquistare l’intero Paese, ma più realisticamente il suo miglior risultato oggi sarà sopravvivere e mantenere il controllo su quanta più parte della Siria possibile Il suo problema è che dipende dalle forze armate russe e iraniane, cosa che lo rende sacri cabile, se mai servisse ai suoi sponsor Mosca forse lo avrebbe già sostituito con un altro esponente alawita (si dice che Assad li abbia prevenuti giustiziando eventuali rivali), ma per l’Iran la famiglia Assad è ancora il riferimento fondamentale.
Russia
La Russia attualmente è forse l’unico attore capace di conseguire un risultato concreto ed è vicina al massimo successo ottenibile: proteggere le proprie basi militari (quella navale di Tartus e quel- la aerea di Hmeimim vicino a Latakia), evitando che il governo di Damasco crolli Sta inoltre ridu- cendo la propria presenza diretta usando una compagnia di contractor – la Wagner – che permette al Cremlino di ridurre il proprio intervento militare diretto. Non guasta l’aver potuto riaffermare il proprio ruolo in Medio Oriente: oggi tutti i governanti della regione guardano a Mosca e non solo a Washington, e non è un risultato da poco.
Iran
Anche l’Iran sta raggiungendo il proprio risultato massimo: evitare la caduta di Assad e costruire così un corridoio sciita che dall’Iran permetta di muovere mezzi e armi fino al Libano Il che è fondamentale per una prospettiva di egemonia così come contemplata dagli Ayatollah. Al contrario della Russia, per Teheran sono proprio il presidente Assad e la sua famiglia il contatto principale da tutelare: si teme che un qualsiasi sostituto non possa essergli altrettanto amico. Se da un lato gli eventi hanno permesso agli alleati/strumenti dell’Iran (Hezbollah in primis) di posizionarsi strategicamente anche in postura anti-israeliana, rimane però il problema di una guerra che ha mangiato notevoli risorse umane ed economiche alla Repubblica Islamica, cosa che in patria ha creato parecchio scontento e tumulti, vedi le recenti proteste di inizio anno in numerose città del Paese.
Turchia
Se l’obiettivo massimo del presidente Recep Tayyip Erdogan era provocare la caduta di Assad e ottenere un governo amico di Ankara a Damasco, anche per riproporsi come punto di riferimento regionale, questo si è infranto contro l’intervento russo che rende il rais siriano inattaccabile. Rimane allora almeno un obiettivo minimo: evitare che i curdi di Siria possano creare un loro Stato indipen- dente o anche solo un’autonomia sufficientemente stabile da far venire “brutte idee” ai curdi residenti in Turchia Inizialmente, questo schema prevedeva il chiudere un occhio davanti all’ISIS, considerato un utile strumento per tenere a bada le fazioni curde; oggi, invece, lo strumento sono diventati vari gruppi di miliziani siriani che non possono più fare a meno di Ankara.
Milizie ribelli
Questo insieme di gruppi più o meno vario – ormai dominato dalle frange estremiste, con numerose formazioni ispirate o composte da gruppi di terroristi/jihadisti – aveva come obiettivo ideale abbattere Bashar Al Assad e creare una nuova Siria aderente alle proprie convinzioni, tutte islamiste ma spesso di erenti da gruppo a gruppo. Impossibilitati a fare ciò e ormai sempre più deboli, il loro obiettivo minimo è la sopravvivenza. In Siria, però, sarà difficile trovare veri e propri accordi o amnistie con il regime, a meno di non essere tutelati da altri sponsor esterni, come appunto la Turchia. Perdendo quindi qualsiasi aspirazione all’indipendenza.
Stati Uniti
La posizione di Washington e dei suoi alleati è per ora forse la più confusa. I risultati ideali come la caduta di Assad e l’ottenimento di un governo democratico laico amico, si sono rivelati un’illusio- ne n dai primi anni di guerra Cosa rimane adesso da raccogliere? Da un lato si vorrebbe vedere la ne della guerra, ma senza che Russia, Iran e Assad possano dichiarare di aver trionfato. Si vorrebbe anche un’opposizione sunnita moderata, che però è al momento quasi scomparsa, mentre come ovvio non si vuole dare spazio ai terroristi I curdi piacciono, ma non si può rischiare lo scontro diretto con la Turchia e, almeno per quanto riguarda il governo americano, si pensa a sganciarsi progressivamente dalla zona; cosa che, tuttavia, sacri cherebbe il popolo curdo e aiuterebbe tutti i suoi avversari. Al momento, dunque, per l’Occidente è di cile decidere anche solo cosa costituisca un “risultato di minima”, e questo non consente ad alcuno di formulare una strategia coerente e comune.
Israele
Prima della guerra, Bashar Al Assad era considerato tutto sommato un “avversario comodo” Non c’era prospettiva di confliitto sul Golan e la politica damascena era prevedibile. Questi anni di guerra hanno però cambiato tutto e oggi per Israele l’unico obiettivo rimane la stabilità del confine e la protezione del proprio territorio. Dunque, l’unico risultato possibile – di massima e di minima – è ridurre l’influenza iraniana in Siria, cosa che ci porta alle tensioni (e ai raid aerei) degli ultimi mesi Per Israele, la sfida è appena cominciata.
Lorenzo Nannetti
articolo pubblicato sul numero 2 di Babilon
Redazione
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