Il presidente sudcoreano Moon Jae in e il leader nordcoreano Kim Jong Un si sono incontrati una seconda volta sabato 26 maggio nel villaggio di frontiera di Panmunjom. Secondo l’agenzia di stampa sudcoreana Yonhap, con questo meeting Moon avrebbe cercato di convincere Kim a incontrare il presidente americano Trump. Il summit, non previsto, arriva dopo un mese dal vertice intercoreano del 27 aprile, quando i due si erano incontrati per la prima volta nella zona demilitarizzata lungo il confine che taglia in due la penisola. L’evento, seguito da tutti i media del mondo, era stato il primo vertice intercoreano dal 2007.

Durante quest’ultimo faccia a faccia i due leader hanno discusso di come realizzare quanto promesso il mese di aprile nella Dichiarazione di  Panmunjom e della riapertura del dialogo sull’atteso summit tra Stati Uniti e Corea del Nord. Prima di separarsi, i presidenti delle due Coree si sono scambiati un caldo abbraccio a dimostrazione del clima di collaborazione che continua nonostante gli scossoni accaduti in settimana tra Pyongyang e Washington. La tempestività con cui è stato organizzato il meeting di oggi mostra quanto sia Kim che Moon vogliano proseguire sulla strada del negoziato che potrebbe condurre a un trattato di pace tra i due Paesi, atteso dal 1953. La Casa Blu esporrà i risultati dell’incontro nel corso di una conferenza stampa prevista per domenica 27 maggio.

L’incontro tra Moon Jae e Kim Jong Un è seguito all’ultimo annuncio della Casa Bianca che sempre nella giornata del 26 maggio ha cambiato per l’ennesima volta le carte sul tavolo dei negoziati tra Washington e Pyongyang. Il  presidente americano Trump ha infatti affermato che gli Stati Uniti sono di nuovo in contatto con la Corea del Nord e che il summit con il leader Kim Jong un potrebbe ancora tenersi nella data del 12 giugno a Singapore. Trump ha accolto con favore la risposta di Pyongyang alla lettera inviata il 24 maggio con cui la Casa Bianca aveva cancellato il meeting. «Cordiale e produttiva», queste le parole pronunciate dal presidente in merito alla risposta dei nordcoreani al suo messaggio. La Corea del Nord, anche se colta di sorpresa, aveva ribadito la disponibilità al dialogo con gli americani, lasciando aperta la speranza che le trattative sul summit riprendessero. I tempi però stringono. Secondo un funzionario della Casa Bianca, anche se il meeting fosse riconfermato, sarebbe inimmaginabile tenerlo il 12 giugno.

La mattina di giovedì 24 maggio Trump in persona avrebbe dettato al suo consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton il contenuto della lettera destinata a Kim Jong un in cui veniva annunciata la decisione della Casa Bianca di annullare lo storico summit. In questo modo Trump avrebbe anticipato Kim, temendo che fosse lui stesso a lanciargli un tiro mancino cancellando per primo l’incontro a poche settimane dal suo inizio.

Nella lettera Trump non ha abbandonato l’ottimismo sulla possibilità che il summit possa tenersi in futuro in un’altra data, ma ha anche sottolineato «la tremenda rabbia e aperta ostilità mostrata nelle recenti dichiarazioni di Kim». «E’ inappropriato in questo momento- ha proseguito Trump – avere questo incontro a lungo pianificato».

I vertici di Pyongyang non avevano gradito la decisione del presidente perché contraria allo spirito di pace, ma come lui, avevano lasciato aperta la porta al dialogo. Il vice ministro degli Esteri nordcoreano Kim Kye Gwam aveva fatto sapere attraverso l’agenzia di Stato Kcna che la Corea del nord «vorrebbe dare agli Stati Uniti il tempo e l’opportunità di riconsiderare i negoziati». «Pyongyang – aveva proseguito il vice ministro – è ancora intenzionata a parlare con gli Stati Uniti in qualsiasi momento e in qualsiasi modo».

La notizia dell’annullamento del summit, come spesso accade con Trump, era arrivata all’improvviso, tanto che l’amministrazione americana non è riuscita a informare in anticipo i suoi alleati, e ha colto di sorpresa i giornalisti, alcuni dei quali erano in Corea del Nord per assistere alla distruzione del sito usato dal regime di Pyongyang per condurre i test atomici. I reporter si sono sentiti abbastanza spaesati perché poco più di un’ora prima il Dipartimento di Stato USA aveva diffuso una nota molto positiva sul tono delle trattative che Mike Pompeo stava tenendo con le sue controparti in Asia.

L’incertezza di Trump ha rivelato un certo grado di disaccordo nella sua squadra di collaboratori. Il segretario di Stato Pompeo, ad esempio, avrebbe accusato Bolton di aver sabotato i progressi da lui raggiunti con Kim Jong un. Pompeo era stato ricevuto due volte in Corea del Nord e i suoi sforzi sarebbero serviti a ottenere il rilascio dei tre cittadini americani tenuti in ostaggio dal dittatore. Negli ultimi giorni il segretario di Stato avrebbe assunto un tono molto più conciliatorio e flessibile verso la Corea del Nord, mostrando aperture in particolare sul nodo cruciale della denuclearizzazione. Pompeo avrebbe infatti cambiato opinione sui tempi del disarmo, accettando la possibilità di un processo in più fasi. Lo stesso Trump avrebbe riconosciuto l’impossibilità per il regime di Pyongyang di smantellare l’intero programma nucleare tutto in una volta.

Bolton, al contrario, ha proseguito sulla strada della linea dura verso Kim, continuando ad auspicare un cambio di regime in Corea del Nord e sarebbe stato proprio lui a convincere il presidente a fare marcia indietro sul summit. Le incomprensioni fra Trump e i suo staff non hanno risparmiato neanche il vice presidente Mike Pence. Una fonte molto vicina alla Casa Bianca ha affermato che Trump era rimasto abbastanza scontento delle dichiarazioni fatte in settimana da Pence che, dopo Bolton, era tornato a minacciare Kim di subire lo stesso trattamento della Libia nel caso non avesse risposto alle richieste americane di abbandonare il nucleare. Queste affermazioni avevano portato Pyongyang a definire «ignorante e stupido» il vice presidente Pence.

Trump si trova ora nella stessa posizione degli ex presidenti USA, da lui accusati di aver sbagliato tattica per ottenere da Kim un accordo sulla rinuncia al nucleare. Se il summit andasse a monte, sarebbe un enorme nulla di fatto per la diplomazia che dovrebbe ricominciare tutto da capo. Tuttavia, With Ayres, consigliere politico di Trump, ha spiegato che sarebbe peggio se il meeting si svolgesse e si rivelasse un fallimento. «Cancellare un summit non produttivo è meglio che tenere un un summit non produttivo» ha detto Ayres ai reporter dell’agenzia Reuters.

L’attenzione della comunità internazionale si concentrerà adesso su Mike Pompeo. In qualità di segretario di Stato, dovrà dimostrare di reggere la pressione che grava su di lui. Pompeo infatti è chiamato a stipulare un accordo con Kim che non preveda nulla di meno rispetto a quanto il suo predecessore, John Kerry, era riuscito a ottenere dagli iraniani. Non è ancora chiaro quanto il negoziato con Pyongyang peserà sul futuro politico di Trump. Dalla vittoria con Kim il presidente si aspetta un ritorno di immagine e un aumento di popolarità da sfruttare nelle elezioni di metà mandato previste a novembre.

(Ultimo aggiornamento – 26 maggio 2018 ore 21:30)