Trump e Johnson a braccetto in politica estera?

Attacchi alle petroliere nel Golfo Persico, droni statunitensi abbattuti, presunti arresti ai funzionari della Cia a Teheran. Nell’ultimo mese e mezzo le relazioni tra Stati Uniti e Iran sono nuovamente precipitate in una spirale di ostilità che ha origine nell’uscita di Washington dall’accordo sul nucleare iraniano e nelle sanzioni annunciate da Trump nei confronti di Teheran.

Nella sua ostilità verso Teheran, Trump potrebbe trovare una sponda nel neopremier britannico Boris Johnson. Tra i due c’è una certa affinità – il presidente Usa ha fatto i suoi complimenti all’ex sindaco di Londra per il nuovo incarico, quest’ultimo viene già indicato come il “Trump britannico”, principalmente per i capelli e i modi grezzi – ed è probabile che il nuovo inquilino del numero 10 di Downing Street voglia avvicinarsi il più possibile all’alleato americano. Con la Brexit messa in cima alla lista di priorità da Johnson – il 31 ottobre come deadline per un No Deal che a questo punto sembra quasi inevitabile – il Regno Unito potrebbe aver bisogno del suo più potente alleato sullo scacchiere internazionale.

Da quando è alla Casa Bianca Trump ha sempre avuto una linea dura nei confronti della Repubblica Islamica, sia per mettersi in scia con le posizioni dei repubblicani più conservatori, sia per cancellare il più possibile l’eredità del suo predecessore Barack Obama. L’ultima notizia sulla questione arriva dalla Cina, con Pechino che sarebbe stata punita dagli Usa per aver acquistato grosse quantità di petrolio proprio dall’Iran (in realtà ad essere colpite sarebbero solo società di secondo piano, come Zhuhai Zhenrong, non i colossi Petrochina o Sinopec, a dimostrazione di quanto le sanzioni siano puramente simboliche).

È probabile, dunque, che BoJo si avvicini Trump, e viceversa. Perché anche gli Usa hanno sembrano avere posizioni sempre più distanti dall’Europa: lo stesso accordo sull’Iran, da quando è saltato, ha allontanato la Casa Bianca dalla UE; ma anche la questione legata alle spese militari della Nato e i colpi di testa di The Donald sui dazi sulle merci europee stanno scavando una voragine tra le parti.

Così la previsione del Telegraph sulla possibilità che ci siano tre incontri tra Johnson e Trump nei primi cento giorni di lavoro del nuovo premier sembra sempre più realistica: servirà ad inaugurare un nuovo corso nelle relazioni bilaterali tra i due Paesi. A dispetto di quel che suggerisce la prima impressione, però, Londra non sarà lo sgabello politico di Washington e non necessariamente dovrà avallare tutte le posizioni di Trump in politica estera. È probabile che sia su alcuni dossier sia il Regno Unito a condizionare gi Usa. E l’Iran è proprio uno di questi: l’escalation non conviene a nessuno e Johnson potrebbe avere un ruolo chiave nel mediare per cercare un’alternativa alla linea dura. Come ha spiegato sul Guardian Suzanne Maloney, vicedirettrice della politica estera al Brookings Institution, «Johnson arriva al momento giusto per lavorare con Washington per rafforzare questo messaggio e ricostruire un approccio comune alla sicurezza del Golfo. Dovrebbe cercare di rilanciare la carta diplomatica con l’Iran. Le aspettative devono essere modeste, perché è impossibile accontentare tutte le richieste di Washington. Ma un nuovo processo negoziale può offrire aperture per la risoluzione di questioni specifiche, come la detenzione ingiusta da parte dell’Iran di cittadini stranieri tra cui Nazanin Zaghari-Ratcliffe, nonché opportunità per ridurre i conflitti nel Golfo e rafforzare la fiducia nella regione. L’alternativa – incessanti minacce al corridoio energetico più importante del mondo e la perpetuazione della morsa americana sull’economia iraniana – sarebbe rovinosa per tutte le parti».