Cattedrali, sinagoghe, grandi moschee. Antiochia, a soli quattro chilometri dal confine siriano, è una città coacervo di religioni, culture ed etnie diverse. Cristiani, musulmani ed ebrei hanno convissuto per millenni in questa terra che per tutte queste fedi ha un significato molto profondo. Soprattutto per i cristiani. «In questa città San Paolo e San Barnaba fondarono la prima chiesa – spiega Cesar Kurute, rappresentante della locale comunità cattolica, – è qui che i loro fedeli iniziarono a convertire non solo gli ebrei ma anche i greci ed è qui che hanno iniziato a chiamarsi cristiani».

Oggi, però, sono rimasti in pochi. Se fino agli anni Sessanta i cristiani rappresentavano il 50 per cento della popolazione locale, oggi in tutta la Turchia sono solo in 125mila e in questa regione sopravvivono appena 45 famiglie divise tra armeni, protestanti e cattolici. Questi ultimi celebrano messa nella Chiesa dell’Annunciazione, nel cuore della vicina città di Alessandretta. La chiesa è ampia, il chiostro circostante è ordinato e ben curato. Di fedeli, però, non se ne vede quasi nessuno. «Anche qui siamo sempre di meno» continua Cesar «e siamo soprattutto anziani. I giovani vanno via e spesso non tornano, hanno paura di vivere da cristiani in Turchia».

Lo spopolamento cristiano della Turchia va avanti da oltre un secolo. Nel 1922 il governo turco e quello greco si accordarono per scambiarsi le proprie popolazioni favorendo la partenza di intere comunità greco-cattoliche residenti in terra turca. Fu però soprattutto durante la prima guerra mondiale che si ebbero i cambiamenti più profondi. Con la trasformazione dell’impero ottomano in una nazione moderna ed etnicamente omogenea vennero espulsi molti cristiani di etnia armena ed eliminate fisicamente intere loro comunità. Ankara nega tutt’oggi che si sia trattato di un genocidio, sostenendo che alcune comunità armene di Turchia fossero colluse con quelle in Russia, allora il principale nemico, e che questa loro infedeltà fosse un pericolo che ne giustificasse l’espulsione.

La paura di essere associati a Paesi stranieri è oggi ancora presente nei cristiani di Turchia. «Molti turchi associano il Cristianesimo all’Occidente – spiega Cesar – più i rapporti tra Ankara e i governi occidentali peggiorano più aumentano gli attacchi verbali nei nostri confronti. Ad attaccarci sono soprattutto persone poco istruite che mischiano il nazionalismo con la religione, che però sono fortunatamente solo una parte della popolazione».

L’Islam sunnita, infatti, è diffusamente considerato una componente imprescindibile dell’essere turco da ben prima dell’affermazione di Recep Tayyp Erdogan al governo. Nella storia ciò ha generato attacchi, pressioni e veri e propri pogrom contro le minoranze religiose. «Un periodo molto difficile è stato tra il 2006 e il 2010 – continua Cesar – in quegli anni sono stati uccisi due preti italiani: Don Andrea Santoro e Don Luigi Padovese». Quest’ultimo era proprio il nunzio apostolico di Alessandretta e Cesar lo ricorda bene. Ricorda anche che Don Luigi nutriva speranza per Erdogan e che lo considerava un interlocutore molto più affidabile di quelli precedenti. «Con l’attuale governo turco non abbiamo problemi – racconta – ci sentiamo invece tutelati. Da quando Erdogan è al potere è diventato più facile costruire le chiese e recentemente ha fatto restaurare un monastero siriaco».

In effetti il leader turco ha aperto un dialogo costruttivo con le minoranze religiose restaurando chiese, permettendo pellegrinaggi e celebrazioni cristiane prima impossibili. Al contempo il suo governo si è impegnato a restituire ai legittimi proprietari i beni immobiliari sequestrati alle minoranze nel corso dell’ultimo secolo. Il problema è che questa apertura è avvenuta dopo decenni in cui le autorità turche precedenti all’attuale governo hanno represso anche con la forza la vita di tutte le comunità religiose in nome della laicità dello Stato. Se i musulmani sunniti sono riusciti a rimanere numerosi e a riaffermarsi alla testa dello Stato con la salita al potere di Erdogan, i cristiani sono stati ridotti a essere soltanto un tassello minuscolo del mosaico etnico e religioso che compone questa parte di mondo. Nonostante le tutele del governo essi si sentono spesso minacciati dalla poca propensione di alcune fette della popolazione ad accettare persone con una fede diversa dall’Islam. Secondo un sondaggio governativo il 35 per cento dei cristiani turchi ha sperimentato personalmente episodi di minacce e umiliazioni a causa della propria fede mentre l’80 per cento ritiene necessario adottare misure anti-discriminazioni maggiori, soprattutto sul web.

Ogni settimana, nel chiostro della Chiesa dell’Assunzione, la comunità cattolica organizza la distribuzione di pasti per le persone meno abbienti, a prescindere dalla loro fede. Continuando, con questi gesti, a far vivere una comunità sempre meno numerosa. Che appartiene però sempre alle radici di questa terra.

Articolo pubblicato su gentile concessione del Corriere del Ticino